Dakar | La sopravvivenza in un valigetta
Nei due briefing che istituzionalmente aprivano la Dakar, quello di Parigi e quello sulla nave che portava ad Algeri, Thierry Sabine non si stancava di ripeterlo qualora vi perdeste non abbandonate mai il vostro mezzo. Mai. L’istinto dell’uomo, infatti, in questi casi inusuali tradisce : spinge a cercare aiuto, ma il primo aiuto un corridore della Parigi-Dakar sa, invece, che deve dado ai propri soccorritori.
Deve cioè facilitargli il ritrovamento. Il primo comandamento, dunque, é non abbandonare l’auto. Il corollario di questo non dipingerla preferibilmente di giallo, colore che la rende invisibile nel deserto da un elicottero. La seconda regola prepararsi ad attendere. Una attesa, é chiaro, di un soccorso che non sarà immediato. Solo dopo 12 ore, e comunque mai di notte, si potrà iniziare con la prima operazione, la più semplice, ma anche la più importante. L’accensione della radio-balise.
Nell’equipaggiamento di ogni corridore, infatti, c’e una valigetta Samsonite che contiene il necessario per facilitare l’avvistamento. Il cuore dell’equipaggiamento é una radio che opera su di una sola banda di frequenza. La sua carica dura 48 ore ed il segnale, continuo, é un filo di Arianna per i soccorritori. Ma di notte il deserto è una immensa coltre senza riferimenti e confini. È il momento di sparare i razzi colorati che con la vivida luce del giorno sarebbero invisibili, mentre un fumogeno potrà essere lanciato quando un velivolo, magari, incrocia fuori dalla nostra portata.
Un filo di fumo, infatti, è visibile da molto lontano, e proprio grazie all’accorgimento di aver bruciato i pneumatici della sua auto uno ad uno, Simonin, in Mauritania nel 1984 fu trovato dopo tre giorni di ricerche. La gomma infatti fa molto fumo e brucia lentamente. Quindi l’ultima risorsa, come fu all’alba dell’uomo, é il fuoco. Per questo fra le tante raccomandazioni per i neo iscritti c’e quella di avere sempre con se almeno i fiammiferi, un coltello ed il telo di sopravvivenza.
Cos’é quest’ultimo? semplicemente un leggerissimo foglio di alluminio che da una parte riflette i raggi del sole, riparando dal calore, mentre avvolgendoselo addosso isola dal freddo. Ripiegato, sta in una tasca. Ma é molto semplice perdersi? Sembra una domanda scontata, invece con piccoli accorgimenti é possibile ridurre questo rischio al minimo. Il primo, naturalmente, é che appena ci si rende conto di aver sbagliato strada é più prudente ripercorrere le proprie tracce. Anche se ciò porta via del tempo.
Nel deserto, qualunque CAP, cioè rotta di bussola, si stia seguendo, si farà una marcia indietro di 180°. Imperativo é riprendere la pista principale. Ed uno dei trucchi, semplice ma vitale, è che quando le circostanze richiedono continue deviazioni per evitare, magari, tratti di pista troppo rovinata, si sappia sempre da che parte la si lascia. Se a destra o a sinistra. Non é difficile, intatti, che a forza di intersecarla alla ricerca del terreno più solido non ci si ricordi più da che parte si trovava n’ultima volta. La “pista” africana non è una strada asfaltata, è solo la rotta della consuetudine da villaggio a villaggio.
Può rovinarsi e divenire impraticabile, in un punto. Una nuova consuetudine traccerà, allora, una nuova pista, parallela, che tornerà a quella principale. E così decine, centinaia di volte. Tanto che nella savana più che nel deserto il terreno apparirà a volte come un dedalo inestricabile di sentieri. Si parla sempre, alla Dakar, di concorrenti che hanno sbagliato strada prendendo, per questo, ore di penalità. Bene, cioè accade quasi sempre quando il rally abbandona il deserto per le savane.
Nelle sconfinate distese del Ténéré infatti ad aiutarci c’è la bussola, e poi la posizione del sole. Servono principalmente nervi saldi. Quando la vegetazione invece forma schermi impraticabili, non c’è bussola o sole che tenga. Al massimo possono tornare utili le carte, possibilmente quelle militari, dettagliatissime, per rendersi conto della propria posizione. Tuoi i migliori equipaggi le hanno, e non sono solo utili nei momenti d’emergenza, anzi, non é raro vedere i piloti studiarsele prima del via. Prendere nota dei bivi, dei villaggi. Come sempre, anche in Africa, la migliore sicurezza viene dalla prevenzione.
Fonte Dakar Dakar2
Testo Paolo Scalera