Dakar 2002 | Mi chiamo Luiz Mingione e questa è la mia avventura

Mi chiamo Luiz Mingione, sono brasiliano con cittadinanza italiana e quando ho partecipato alla Dakar del 2002 avevo 43 anni, oggi ne ho 65 e vi voglio raccontare la mia avventura.
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Nel 1988, due brasiliani furono i pionieri a partecipare per la prima volta al Rally Dakar, Klever Kolberg e André Azevedo. Seguivo tutto sulle riviste dell’epoca e sognavo un giorno di fare il rally più difficile del mondo.
Sono passati anni…

Nel 2002 il sogno è diventato realtà. È stata la più grande avventura su due ruote della mia vita, partecipare al Rally Arras/Madrid/Dakar nel team PETROBRAS/LUBRAX composto dai ragazzi che mi hanno ispirato nel 1988, che sono stati i miei mentori e ora sono amici, i pionieri brasiliani in il Rally Dakar, Klever Kolberg e André Azevedo.

LA FRUSTRAZIONE

Il sogno di partecipare al Rally Dakar era maturato da tempo e finalmente nel 2001, dopo molte difficoltà per ottenere la sponsorizzazione e far parte di una grande squadra brasiliana, a soli quattro giorni dalla partenza per la Francia, ho avuto un incidente motociclistico nel traffico di San Paolo.
Purtroppo il sogno, tutti gli anni di lavoro, preparazione fisica, allenamento motociclistico, impegni con gli sponsor, si sono interrotti e sono finiti con me gettato sull’asfalto di una strada di San Paolo. Fatalità, sfortuna o “avvertimento divino”.

Per me è stato molto difficile e frustrante, un incidente in moto per strada, il sogno di un ragazzo che stava per fare il Rally Dakar, potete immaginare! La notizia era su tutti i media. C’erano grandi aspettative da parte di diverse persone, io non ero un pilota professionista, ma avevo già partecipato a diverse gare importanti con buoni risultati, puntando a fare esperienza e riprendere a partecipare al Rally Dakar.

Questa sarebbe la mia prima partecipazione al più grande rally del mondo. Il team, gli amici, la famiglia e gli sponsor erano dispiaciuti e solidali, ma coloro che lo hanno sostenuto sono stati implacabili, alcuni anche dell’azienda per cui ho lavorato e che produce motociclette in Brasile, erano entusiasti per il mio progetto. È stato un vero disastro.
Coincidenza o superstizione non lo so, ma dopo questo incidente stradale, col passare del tempo, ho capito che il destino non voleva che andassi alla Dakar del 2001.

PERSISTENZA

Dopo l’incidente, il recupero fisico e psicologico e la frustrazione di non essere potuto partire nel 2001,  ho ricominciato a riorganizzare tutto, gli allenamenti, tutta la preparazione e la battaglia più difficile, ossia convincere gli sponsor a sostenermi nuovamente per partecipare all’edizione 2002. Il Rally Dakar è una competizione  molto costoso e richiede molti investimenti,

LA MOTOCICLETTA

La scelta della moto è stata una grande sfida, ha reso ancora più difficile la mia prima partecipazione, infatti ho deciso di partecipare alla Dakar con una moto di soli 250 cc, scelta imposta dello sponsor che voleva utilizzare l’immagine della Dakar, il rally più difficile al mondo del pianeta, per dimostrare la robustezza e la resistenza del modello e creare strumenti di vendita. Iscritta nella categoria Produzione fino a 250cc con una Honda XR 250 R che è stata acquistata in Portogallo presso la concessionaria Honda e di proprietà del pilota portoghese della Dakar Paulo Marques. Ad oggi ho ancora la targa e la copia del documento della moto a suo nome.
Questa moto è stata preparata in Francia presso l’Officina Challenge 75 a Parigi, aveva un serbatoio in alluminio con una capacità di 10 litri all’anteriore e 9 litri al posteriore con il design di un modello di moto della stessa cilindrata appena lanciato sul mercato brasiliano,  la Honda XR 250 Tornado.

LA GARA

Il Rally Arras/Madrid/Dakar 2002 ha attraversato Francia, Spagna, Marocco, Mauritania e Senegal per un totale di 9.436 km, 6.486 km di prove speciali e collegamento in Africa in 17 giorni con un giorno di riposo ad Atar in Mauritania.
La partenza è avvenuta di notte ad Arras, una città a nord di Parigi, il 28 dicembre 2001 e si è conclusa a Dakar, in Senegal il 13 gennaio 2002.


Durante il percorso europeo della corsa, la mia più grande difficoltà è stata il rigido inverno, avevo molto freddo, durante i viaggi e le gare in circuito speciale, due in Francia, una a Chateauroux di 6 km, una a Narbone, Chateau-Lastours di 35 km e una a Madrid, Spagna di 6 km, queste speciali dovevano definire l’ordine di partenza delle tappe africane. In questi tre brevi prologhi sono arrivato primo nella mia categoria.

Da Madrid ci siamo diretti verso il sud della Spagna dove abbiamo attraversato il Mar Mediterraneo in barca entrando in Marocco a Rabat. Il Rally è già in Africa ed è lì che inizia veramente la gara. Abbiamo fatto un collegamento di 10 km, uno speciale di 80 km e un viaggio il 1 gennaio 2002 di 444 km per un totale di 534 km fino a Er Rachidia in Marocco, molti tratti in pietra e ancora freddo.

Nel deserto la difficoltà più grande è stata attraversare le dune alte, con sabbia molto soffice (Fesh-Fesh) e rispettare i tempi di tappa, pur guidando una moto affidabile dal punto di vista meccanico, era meno potente e veloce della maggior parte delle moto che hanno partecipato alla gara, tutte oltre i 400cc. Da quel giorno in poi, praticamente fino alla fine del rally, ho terminato le tappe quasi a fine giornata e di notte.

Nella settima tappa siamo partiti da Quarzazate passando per Tan Tan in Marocco e terminando a Zouerat in Mauritania per un totale di 1.545 km suddivisi in due tappe tra collegamento e speciale con una “finestra” di appena 6 ore di soste per riposo, rifornimento, breve revisione della moto e cambio road book.
Se rientravi nell’intervallo di tempo era possibile riposare entro questa finestra di 6 ore, ma per me, con una moto di cilindrata inferiore, era impossibile riuscire a riposare entro questo tempo.

Nella tredicesima tappa, il giorno prima di arrivare a Dakar, c’è stata un’altra prova speciale di 1.472 km divisa in due parti con viaggio notturno e riposo di 6 ore. In questa tappa sono arrivato al campo entro il tempo limite previsto per l’inizio della corsa, guidando per quasi 20 ore di fila senza riposo.
Con una moto di piccola cilindrata che aveva una grande affidabilità meccanica, ma poca velocità, la cosa più difficile era guidare entro il tempo limite per completare le tappe, dovevo stare attento a non superare quel tempo. In quell’edizione con tre penalità di tappa, il pilota veniva squalificato dalla gara.

Dovevo essere regolare, non perdere tempo con i rifornimenti e stare attento alla navigazione per non perdermi nel deserto e risparmiare la moto, per non finire lungo il percorso.
In sedici giorni sono stato penalizzato solo una volta, di un’ora. Ricordo ancora, ero su una prova speciale da completare con un tempo limite di 14 ore, una tappa con molta “erba di cammello”, per darvi un’idea, è una “piccola collina di sabbia” alta da 1 a 1,5 metri con un ciuffo d’erba in cima, ora immaginatela una accanto all’altra a 360 gradi a perdita d’occhio.

In questa giornata ho guidato alla fine della tappa percorrendo circa 100 km di notte, il che mi ha costretto a procedere ancora più lentamente, da qui l’inevitabile penalità. Durante le tappe nel deserto ho avuto inevitabili problemi con la navigazione, nei tratti con molte dune ho potuto completare le tappe solo di notte, riducendo la mia visibilità dei punti di riferimento in mezzo al deserto.

Ricordo ancora le  due tappe in “loop” con il GPS bloccato, e solo la funzione bussola abilitata alla navigazione per rendere ancora più difficile l’orientamento, e a complicare le cose in una di queste tappe si è verificata pure una tempesta di sabbia che mi ha impedito di individuare i riferimenti dal road book e cancellato tracce delle prime motociclette.
Nel briefing della sera prima che ha preceduto le prove speciali con GPS bloccato, abbiamo ricevuto un codice per sbloccare il dispositivo in caso ci fossimo smarriti nel deserto e al termine della tappa, l’organizzazione avrebbe controllato sia il dispositivo che i corridori che lo avevano utilizzato per trarne giovamento e ovviamente ricevendo la penalità di tempo.

L’ATTACCO TUAREG

In una delle tappe desertiche con il terreno più duro, c’era una prova speciale ad alta velocità in cui le auto più veloci andavano come il vento sorpassando molte motociclette, e questa tappa ha attraversato un villaggio in mezzo al deserto con il controllo radar della velocità da parte dell’organizzazione per la sicurezza. gente del posto, e tutti hanno dovuto rallentare.
Jean Louis Schlesser, ex pilota di Formula 1, era alla guida di una di queste vetture e quando arrivò in questa parte della città, i tuareg avevano eretto una barricata per bloccare e derubare i concorrenti. Schlesser ha sfondato la barricata e ha continuato la gara, ma sucessivamente la sua macchina ha preso fuoco e ha dovuto abbandonato la gara.

Il mio compagno di squadra Joaquim Gouveia aka Juca Bala, con una moto da 400 cc stava guidando davanti a me ed è stato colpito da un bastone al braccio nello stesso villaggio, ma è riuscito a rimanere sulla moto e ha continuato.
Quando sono arrivato al villaggio i due tuareg armati di bastone si stavano dirigendo verso di me. Non ho esitato e istintivamente ho aumentato la velocità puntando la moto contro di loro che roteavano i bastoni senza riuscire a colpirmi così sono riuscito a passare illeso, ma è stato uno spavento. In un’altra tappa deserta non ho più visto il concorrente cileno che aveva un numero davanti al mio, si chiamava Luis Eguigurem, più tardi nel campo alla fine della tappa ho scoperto che era stato derubato mezzo al deserto e ha dovuto abbandonare la corsa.

LE CADUTA

Ho fatto diverse cadute durante i sedici giorni di gara, ma due in particolare sono state brutte, una di queste alla fine di un tratto notturno, a circa 40 km dal campo, sono caduto in un fosso profondo in un fiume in secca, ho colpito la testa al suolo, tutto è successo molto rapidamente, mi sono alzato con dolori in tutto il corpo. Mi ci è voluto un po’ per tirare fuori la moto dalla buca e sistemare le parti danneggiate in modo da poter riprendere la corsa.
Un altro è stato in Marocco, in una regione con molti sassi, la molla che regge il cavalletto laterale si è staccata e ha fatto leva a terra in una curva, la moto si è ribaltata frontalmente, ho sbattuto la testa molto violentemente. Sono rimasto completamente stordito per un po’, la caduta ha anche danneggiato molto la moto.

LE DUNE

Una delle tappe difficili del rally è stata la prova speciale prima del giorno di riposo all’arrivo ad Atar in Mauritania. Il decimo giorno di gara, diversi piloti con motociclette, auto e camion di grossa cilindrata sono rimasti lungo il percorso, bloccati le grandi dune arrivando a fine tappa solo la mattina dell’inizio della giornata successiva al giorno di riposo, praticamente fuori gara.
Penso che in questa giornata ho avuto un po’ di vantaggio, avevo una moto più lenta per le tappe veloci, ma molto più leggera, questo mi ha permesso di non piantarmi più di tanto nelle dune alte e morbide di questa giornata.
Ho sempre cercato di trovare il percorso migliore, scalando le dune in diagonale, fermandomi in cima e cercando la fila di dune successiva cercando di trovare l’opzione migliore, anche percorrere tra le dune nella parte bassa era pericoloso, potevo rimanere bloccato, è come un labirinto Una volta entrati, spesso non si torna più indietro ed è molto facile perdersi.
Ho cercato di controllarmi e di stare attento a non commettere errori e mettere a rischio la mia gara, con poco meno della metà delle tappe rimaste per raggiungere Dakar.
Nel deserto ci sono diversi tipi di dune, fra queste quelle “a imbuto” se cadi in una di queste, come è successo a me, per uscirne in pratica devi scalare degli autentici murid i sabbia. Per fortuna uno dei “muri” non era molto ripido, e dopo aver spinto la moto per circa 50 minuti sulla sabbia soffice come farina e con il motore sempre a manetta sono riuscito a uscire. In quel giorno ho dovuto dare fondo alle mie energie fisiche, una forza che non sapevo nemmeno di avere, non potevo lasciare tutto i miei sacrifici, le difficoltà e gli anni di preparazione per partecipare al rally potessero finire dentro quell’“imbuto” di sabbia in mezzo al deserto del Sahara.

SOLIDARIETÀ

Il Rally Dakar è una gara competitiva dove non sempre tutti si aiutano a vicenda, purtroppo ho potuto constatarlo da vicino, ma viceversa ho sempre aiutato i piloti in difficoltà che incontravo durante durante la gara.
In una tappa nella savana, con pista veloce, c’era un corridore fermo a circa 2 km alla mia diagonale sinistra, che sventolava la sua maglietta, diverse moto lo sorpassavano senza prestargli aiuto. Sul momento preso dallo sforzo non mi sono fermato, poi ho pensato che in futuro potrei essere io nella sua stessa situazione, quindi sono andato nella sua direzione. Era rimasto senza benzina, mancavano solo pochi km per finire la speciale, avevo ancora abbastanza carburante per finire quindi ho rinunciato a un po’ di benzina dalla mia moto per fargli finire la sua tappa.
Un altro giorno ho aiutato un pilota giapponese, anche lui senza benzina a 60 km dalla fine della tappa. Ma la situazione più triste è stata quando stavo facendo il pendolare di notte durante una delle tappe della maratona di 1.500 km, quando ho visto la luce posteriore della moto di un pilota francese che correva a poco più di 500 metri davanti a me, e all’improvviso la luce è scomparsa, ho rallentato per capire dove fosse finito. Purtroppo era caduto nel greto asciutto di un fiume (Oued).
Ho fermato la mia moto lontano da dove passavano altri veicoli per aiutarlo, l’ho trovato sdraiato sotto la moto ed era molto sofferente, l’ho trascinato con cautela in un posto sicuro e l’ho coperto con la coperta termica.
Aveva una caviglia rotta, sono tornato alla sua moto e ho attivato il suo segnalatore elettronico che era fissato ad una borsa di pelle sul retro della moto, che emette un segnale satellitare per chiedere aiuto, ho aspettato circa 50 minuti i soccorsi. Mentre veniva veniva preso in consegna dai soccorso mi ha sussurrato: “arriva a Dakar, arriva a Dakar”.
L’ho lasciato ai medici e quando sono tornato alla corsa, era sempre più buio e i camion, che partono dopo delle moto stavano già sopraggungendo. Era difficile passare in mezzo a loro che oltre ad essere mostruosi, alzavano una polvere infernale. Fortunatamente sono riuscito ad arrivare in tempo per alla partenza della speciale successiva mentre sorgeva l’alba, ma senza avere il tempo di riposarsi un po’ prima dell’inizio della prova speciale.

L’ARRIVO A DAKAR

Il mio obiettivo iniziale e quello del team era finire il rally, questa era la mia prima partecipazione e la mia strategia era quella di concentrarmi solo sulla tappa del giorno e non preoccuparmi della fine del rally, vivevo la corsa un giorno alla volta, ed è così che sono riuscito ad arrivare a Dakar.
Sono stati 17 giorni di gara, con un giorno di riposo, una gara stancante fisicamente ed emotivamente. Quando ci sei dentro, sei minato giorno dopo giorno dalla stanchezza, dalla paura, dalla preoccupazione per la resistenza della moto che temi debba abbandonarti da un momento all’altro, dalle poche ore di sonno, dal mangiare poco e male. Guidavo più di 12 ore al giorno, spesso senza potermi fare una doccia. Il Rally Dakar del 2002 è stato molto difficile, come di solito lo è un vero Rally Dakar. Opinione confermata anche dagli altri piloti e dei miei esperti compagni di squadra, André Azevedo e Klever Kolberg, e per loro quella era la loro quattordicesima partecipazione alla Dakar.
Dei 425 veicoli partiti da Arras a nord di Parigi il 28 dicembre 2001, di cui 117 auto, 34 camion, 53 auto di assistenza, 54 camion di assistenza e 167 motociclette, di cui solo 58 sono arrivate a Dakar, e 52 hanno concluso la gara regolare. Io con la mia Honda 250cc, sono stato Campione della categoria Produzione fino a 250cc e 44° posto assoluto, correndo fra le moto che andavano dai 250cc ai 900cc.


Una statistica dell’organizzazione della gara dice che solo il 5% di coloro che partecipano per la prima volta finiscono un Rally Dakar e solo l’1% vince, io faccio parte di questo 1%. Devo parte della mia vittoria all’esperienza e alla struttura del team PETROBRAS/LUBRAX prima e durante il rally.
A Dakar, in Senegal, sulla rampa d’arrivo, davanti al Lago Rosa, è stato difficile contenere le emozioni, concludendo con la vittoria nella categoria Produzione 250 cc, il rally più difficile del pianeta, dopo tanti problemi e difficoltà è stata una grande prova e sono riuscito a realizzare il sogno di una vita.
Il Rally Dakar del 2002 è stata una grande avventura, un’esperienza di vita ed emozioni che ricorderò per sempre.
Ho potuto conoscere da vicino idoli, piloti di Rally che vedevo solo sulle riviste come Fabrizio Meoni, Giovanni Sala, Alfie Cox, Richard Sainct, Nani Roma e tanti altri, è stato incredibile.


Durante il raduno mi sono perso nel deserto, sono caduto più volte, sono stato attaccato dai tuareg, ho perso 6 kg in 17 giorni, ho dormito poco o nulla senza potermi fare una doccia decente per diversi giorni, alcune mattine presto ho dormito nel deserto accanto alla moto aspettando l’alba per partire alla prova speciale, ho imparato a conoscere limiti, qualità e forza che non sapevo nemmeno di avere nelle situazioni più difficili, ho scoperto culture, luoghi e persone che mi non dimenticare mai.


Dedico la mia vittoria al Rally Dakar di Arras Madrid del 2002 nella categoria Produzione 250cc al team PETROBRASLUBRAX guidato da Klever Kolberg e André Azevedo, al mio compagno di squadra Joaquim “Juca Bala” Rodrigues e al giornalista Ricardo Ribeiro.
Nel 2024 questa storia compirà 22 anni.


Luiz Mingione