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Il compagno di squadra Alessandro ‘Ciro’ De Petri, gli avversari Luigino Medardo, Franco Picco e Claudio Terruzzi, nonché il meccanico Federico Forchini ricordano il talentuoso pilota francese scomparso il 7 gennaio del 1992 durante la Paris-Le Cap

Testo: Daniela Confalonieri
Rivista: Fuoristrada e Motocross d’Epoca
Foto: Dune Motor di Villasanta e Alessandro ‘Ciro’ De Petri

Specializzato nell’Enduro e nei Rally Raid, Gilles Lalay è scomparso il 7 gennaio del 1992; avrebbe compiuto 30 anni il 21 marzo. Perse la vita durante quell’edizione della Dakar chiamata Paris-Le Cap, entrando in collisione con una vettura dell’organizzazione in territorio congolese. Su Honda NXR 800 V, tre anni prima vinse la gara che, da sempre, è considerata quella per eccellenza nel deserto africano, mentre nell’86, ’87 e ’89 si aggiudicò anche l’Atlas Rally.

È stato uno dei primi piloti, in un periodo in cui le Case europee dominavano, a scegliere di correre con un Marchio giapponese. Durante la sua carrie- ra si è aggiudicato per dieci volte il Titolo nazionale francese di Enduro e per due volte è stato vice iridato classificandosi al secondo posto nel Campionato Europeo (predecessore dell’attuale Campionato Mondiale).A 30 anni di distanza dalla sua prematura scomparsa, vogliamo ricordare questo bravo ragazzo dal grande talento, vittima di un destino davvero beffardo; gli fu fatale l’impatto frontale avvenuto con un’auto dell’organizzazione che stava tornando indietro per soccorrere un altro pilota in gara

Nell’unica edizione della lunga maratona africana che attraversò l’equatore arrivando fino a Città del Capo, uno dei suoi migliori interpreti perse la vita.
Questo è il ricordo di Gilles Lalay.

ALESSANDRO ‘CIRO’ DE PETRI
(suo compagno di squadra nel 1992)“
Sono stato suo compagno di squadra quando arrivai in Yamaha. Ricordo che mi contattarono da Gerno di Lesmo proponendomi di far parte del team ufficiale che sarebbe stato finanziato dalla Chesterfield: il noto Marchio di sigarette si sarebbe sobbarcato non solo il costo degli ingaggi, ma anche quello di tutta l’operazione, coinvolgendo il sottoscritto
per avere un proprio pilota testimonial nel mercato italiano, Carlos Mas in quello spagnolo e Gilles Lalay in quello francese.

Avevo un contratto, all’epoca suggellato da una semplice stretta di mano, con la Cagiva della famiglia Castiglioni, dove ero come di casa; andai comunque negli uffici della Yamaha per ascoltare la loro proposta e mi salutarono dicendomi di mettere nero su bianco il mio ingaggio. Tornai la settimana dopo vestito di tutto punto e con una valigetta 24 ore in mano: sparai una cifra improponibile negli uffici della Yamaha per ascoltare la loro proposta emi salutarono dicendomi di mettere nero su bianco il mio ingaggio.

Tornai la settimana dopo vestito di tutto punto e con una valigetta 24 ore in mano: sparai una cifra improponibile solo per farmi dire di no… perché stavo male al pensiero di dover salutare la famiglia Castiglioni. In Yamaha deglutirono più volte, si consultarono e alla fine, con mio grande stupore, mi dissero di firmare il contratto per l’ingaggio da me richiesto. Quando ne parlai a Claudio Castiglioni, mi rispose che sarei stato un cretino se non avessi accettato. Da quel giorno iniziò la mia esperienza in Yamaha accanto a Mas e Lalay; coinvolsi nel team anche il pilota Angelo Cavandoli come gregario, perché ero stufo di buttare via gare come avevo fatto finora.

Ho conosciuto Lalay prima come avversario e poi come compagno di squadra, ma la sostanza non cambiava: lui era uno dei più forti. Aveva un talento naturale ed era molto veloce, complice gli anni trascorsi disputando gare di Enduro. In altre parole,ci dava sempre del gran gas! Sapeva andare in moto alla grande e quando nel 1989 vinse la Parigi-Dakar in sella alla Honda bicilindrica ufficiale, pensai fosse il giusto coronamento del suo talento innato per le due ruote da fuoristrada. Ecco perché la sua scomparsa mi lasciò un amaro in bocca indescrivibile: mai avrei pensato potesse capitare proprio a lui.

Ma le circostanze di quell’incidente mi fecero subito capire che si trattò di una tragica fatalità. Andai al suo funerale, scoprendo un ambiente familiare al quale Gilles era molto legato; aveva una tenuta agricola, con tanto di palestra per allenarsi, in cui investiva quanto guadagnato correndo in moto. Vedendo i posti dove era nato e cresciuto, capii il suo modo di essere un po’ rustico: era un ragazzo semplice e genuino, ma un uomo tutto d’un pezzo”.

LUIGINO MEDARDO
(l’avversario su Gilera nel 1992)
“Ho corso con lui anche nell’Enduro e lo conoscevo bene. Era un pilota coraggioso e molto veloce, ma un ragazzo un po’ strano, dal carattere schivo con la voglia comunque di scherzare. In Francia risiedeva in un posto isolato immerso nel verde, dove amava andare a caccia. Non era certo tra i piloti della Parigi-Dakar che facevano vita mondana. Tutt’altro. Era schivo ma allo stesso tempo era sempre pronto alla battuta.In gara, poi, non si spaventava davanti a niente.

Ricordo una volta… eravamo al Rally dei Faraoni ed io correvo in sella alla Gilera RC 600: ero in testa e, quindi, partivo per primo. La notte appena trascorsa aveva piovutoa dirotto. Dopo un tratto molto veloce, il roadbook ci segnalava un guado d’attraversare: peccato che durante la notte, proprioper colpa della pioggia battente, questo guado fosse diventatoun fiume in piena. Era un mix di acqua e fango dal colore inquietante. Pauroso.

Ricordo di essermi fermato in attesa degli altri; ci confrontammo e nessuno aveva molte intenzionidi gettarsi in quel fiume. Tranne lui. Quasi incurante del pericolo che avrebbe corso, si guardò intorno e si buttò con la moto nell’acqua tutt’altro che cristallina. A un certo punto era immerso fino alla vita; ricordo che scese dalla moto, ormai in ammollo, e la spinse a mano fino alla sponda opposta. C’impiegòpiù di mezz’ora per riemergere, grazie soprattutto alla suastatura e al suo fisico possente. Rimanemmo a guardarlo dall’inizio alla fine, anche prontia intervenire in suo soccorsose gli fosse capitato qualcosa.

Dopo pochi istanti arrivarono quelli dell’organizzazione per dirci che da qui non dovevamo più passare per le condizioni in cui si era ridotto questo guado… Lui si ritrovò da solo al di là del fiume con la moto che non andava più. Lo rivedemmo a fine tappa eda quel giorno iniziammo tutti a rivalutarlo come pilota”.

FRANCO PICCO
(l’avversario su Gilera nel 1992)
“Il ricordo più importante di Gilles Lalay risale al 1989, quando lui vinse la Parigi-Dakar ed io arrivai secondo. Ero in testa fino alla giornata di riposo, ma nella savana il suo modo di guidare gli consentì di avere la meglio. Nell’ultima tappa del Mali, ci controllavamo a vicenda: lui era davanti a me più volte cercai di superarlo, finché c’imbattemmo entrambi in una nota errata sul roadbook. Superammo la barriera di una dogana pensando di essere entrati in Senegal, ma non ci tornavano i conti… Ci fermammo per chiedere informazioni ma, caso strano, non riuscimmo a trovare nessuno che parlasse francese. Volevamo solo capire dove eravamo finiti…

Menzionammo la località di Tampa Kumba a un indigeno e ci indicò una zona che si trovava da tutt’altra parte. Tornammo entrambi sui nostri passi edero davanti a lui, ma alla stessa barriera che prima aggirammo perché era chiusa, trovammo i militari con i mitra spianati. Mi fermarono trattenendomi peril manubrio mentre Lalay girò alla larga senza arrivare fino alla barriera. Poteva essere rischioso per lui, visto l’atteggiamento minaccioso di quei soldati, ma si allontanò velocemente.

Io invece persi tempo per far capire loro che ero in gara, mostrando più volte la mia pettorina e ripetendo il paese dove ero diretto, finché il militare mollò il manubrio consentendomi di allentare la frizione e ripartire. Lo feci comunque tenendola testa bassa… e temendoil peggio. In pratica avevamo sconfinato in Guinea-Bissau, una piccola colonia portoghese dove parlavano solo quella lingua; il roadbook ci aveva tradito perché c’era segnata una stradina molto brutta che, nel frattempo, era diventata ampia e liscia, e non l’avevamo riconosciuta.

Quella era l’ultima opportunità che avevo per concludere la gara davanti a Lalay, ma svanì e vinse lui.
I primi francesi con cui gareggiammo nel deserto furono Cyril Neveu e Hubert Auriol ed erano ‘solo’ navigatori, mentre Gilles Lalay era proprio uno smanettone, ed era un pilota completamente diverso dagli altri”.

CLAUDIO TERRUZZI
(l’avversario su Cagiva nel 1989)
“Ricordo che rideva sempre alle mie battute: la mia trasgressivitàlo faceva divertire. Eravamo due persone completamente diverse: lui molto timido e introverso, io l’esatto opposto. Ecco perché andavamo d’accordo. Era un bravo ragazzo, sempre molto attento ai suoi doveri di pilota e ai suoi impegni agonistici: era davvero un professionista serio. In sella alla moto era molto stiloso e andava come un treno; per giunta guidava sempre in piedi, benché fosse davvero alto.

Ricordo una volta… quando in una decina di piloti, fra l’altro di alta classifica, ci perdemmo nel deserto; così fece anche l’elicottero checi stava seguendo. Stavamo guardando la mappa per cercare di capire dove andare… e nemmeno quella volta disse una parola. Questa battuta per dirvi che Gilles era un pilota riservato e rispettoso dei compagni di squadra come degli avversari di gara; era un ragazzo d’oro e il modo in cui ci ha lasciato è stato a dir poco assurdo”.

FEDERICO FORCHINI
(il meccanico del team ufficiale Yamaha Chesterfield)
“Ero il meccanico di De Petri, mentre Lalay era seguito da Roberto Lavelli, storico tecnico in Belgarda. Conobbi Gilles appena arrivato in Yamaha e mi diede subito l’impressione di essere davvero un bravo ragazzo. Mai una parola fuori luogo, era proprio una bella persona, che in moto tirava fuori tutto il talento che aveva quando si trattava di condurla nel deserto. Ricordo che la sera prima dell’incidente mortale, gli cucinai la pastasciutta: cenò insieme a tutti noi del team ed era felice. Il giorno dopo ci crollò il mondo addosso…

Eravamo allibiti e increduli. La morte di Gilles Lalay fu per tutti noi una pugnalata nello stomaco. La sua moto era completamente piegata, mentre il suo corpo era pieno di fratture per quell’impatto frontale devastante. Toccò a
me fare il suo riconoscimento. Ricordo che andai nella camera mortuaria dove avevano portato la sua salma: c’erano un centinaio di celle frigorifere e in una di queste c’era il corpo straziato del povero Gilles. Dopo il riconoscimento,
mi fecero firmare una carta che penso fosse l’atto di morte e tornai dalla squadra.

Capimmo che la gara era finita per noi; Daniele Papi, che all’epoca era il nostro team manager, mi disse di rimanere per seguire i piloti delle classifiche Silhouette e Marathon, tra cui i compianti Fabrizio Meoni e Massimo Montebelli, ma tutti gli altri tornarono in Italia. Dopo quell’edizione del 1992, la Byrd, ovvero la Belgarda Yamaha Racing Division che si occupava di tutte le attività agonistiche della società, chiuse i battenti; i giapponesi ci diedero le moto ufficiali e i materiali superstiti del progetto Rally Raid per gestirli nel team Yamaha Chesterfield De Petri che costituimmo io e Ciro. Conclusa anche questa esperienza, smontai la moto di Lalay dando alcune parti anche ai ragazzi del Dune Motor di Villasanta, insieme al casco e all’abbigliamento da gara di Gilles. Ricordo un episodio. Qualche giorno prima della sua scomparsa mi parlò, con entusiasmo, della ‘Gilles Lalay Classic’ in programma il 25 febbraio 1992. Accettai il suo invito, dicendogli che avremmo festeggiato insieme il mio compleanno. Era la prima edizione, ma Gilles non vide mai la bellissima e durissima gara che aveva ideato”.

Testo: Daniela Confalonieri
Rivista: Fuoristrada e Motocross d’Epoca
Foto: Dune Motor di Villasanta e Alessandro ‘Ciro’ De Petri

Sognava di fare lo sciatore, invece è divenuto un famoso campione di enduro che cercherà gloria e fama anche alla Parigi-Dakar, se è vero che prima di lui altri piloti dell’enduro hanno conquistato nella capitale del Senegal un posto sul podio. Nel frattempo Angelo Signorelli, quest’anno, si è accontentato di vincere dapprima il campionato europeo, poi la Sei Giorni di enduro, sempre con la KTM 125, ed è ancora in lotta per vincere anche il titolo italiano.

Alle corse è arrivato seguendo le orme dello zio Giuseppe che nelle vesti di campione ormai affermato e di pilota ufficiale lo presentò giovanissimo alla Fantic Motor, per lavorare come collaudatore. Poco per volta, Angelo divenne invece pilota-collaudatore, finendo per fare solo il pilota grazie ai successi conseguiti nelle piccole cilindrate. Appiedato dal ritiro della Fantic ed in età di servizio di leva, Signorelli entra a far parte delle Fiamme Oro passando nel 1982 alla Kramit e successivamente, dall’84, alla KTM-Farioli. Sempre disponibile al colloquio e con una carica di simpatia non indifferente, Signorelli viene definito da molti dell’ambiente come il play-boy dell’enduro, visto che lontano dalle corse, ma anche sui campi di gara, non è raro incontrarlo in compagnia di graziose fans, dopo essere apparso in alcune pagine pubblicitarie della KTM di qualche anno fa con una stupenda ragazza orientale fra le braccia. Scapolo d’oro e rubacuori incallito, Signorelli è però indiscutibilmente un professionista serissimo ed un vero e proprio «professore» di tecnica nelle prove e nella messa a punto di ogni particolare della moto, come pure talento naturale indiscutibile.
Il carattere cordiale e la grande volontà di riuscire, tipica della gente bergamasca, gli hanno poi permesso di raggiungere tutti i traguardi che di volta in volta si è prefissato, divenendo dapprima campione nelle piccole 50 cc, poi nella 80, poi ancora nella 125. Ora che correrà la Parigi-Dakar con la Yamaha del Team Chesterfield Scout potrà anche acquisire quell’esperienza che già in parte possiede per emergere anche nei lunghi raid africani.

«Non mi faccio nessuna illusione» dice Signorelli «la Dakar è per me una gara nuova ed anche se non sono nuovo a correre dei raily nel deserto, ho ancora bisogno di molta esperienza».

– Ma cosa ti ha portato ad accettare un contratto di tre anni con la Yamaha Belgarda?
«Già lo scorso anno avevo corso il RaIly dei Faraoni con la Belgarda e sicuramente avevo fatto una buona impressione prima dell’incidente che mi è costato la frattura di una clavicola e di una mano quando ero ancora tra i primi. Verso il mese di luglio sono stato nuovamente contattato da Papi che mi ha proposto un programma decisa mente interessante. Ne ho parlato con Farioli e dopo aver lungamente meditato sulla decisione da prendere ho scelto, anche se a malincuore per tutto l’ambiente KTM a cui ero legato ormai da 5 anni, di firmare un contratto triennale con la Belgarda. Il mio prossimo programma prevede la partecipazione ai più importanti rally a cui prenderà parte il Team ed ai vari campionati di enduro dove dovrei correre o nella 250 con una nuova moto o nella 125, oppure nella 350 4 T».

– Come hanno preso alla KTM questa tua decisione?
«Ogni pilota a fine stagione riceve sem pre delle proposte. Ma come spesso purtroppo accade le strade si possono dividere. Io sono comunque sicuro di avere scelto il programma più stimolante. Non è comunque stata una decisione facile perché lascia re la KTM voleva dire lasciare le persone con ci vivevo da cinque anni con un rapporto che era ormai andato ben oltre il semplice fatto di essere un pilota».

Come pensi che verrà affrontato e risolto il tuo problema di correre quest’anno la Dakar, visto che il rally prenderà il via il 25 dicembre ed il tuo contratto scadrà solo il 31?
«Spero che tutto si risolva per il meglio anche se devo ancora affrontare il problema con Farioli che per quanto mi riguarda si è sempre comportato in modo più che corretto.

Come ti vedi inserito in una squadra che ha grosse ambizioni di vincere la Dakar?
«Conosco benissimo Marinoni. Picco un po’ meno, anche se con lui mi sono trovato alla perfezione durante il RaIly dei Faraoni dello scorso anno. Poco o niente Neveu. Io non ho comunque nessuna ambizione in quanto il mio obiettivo principale rimane quello di fare esperienza ed una buona assistenza nelle vesti di gregario. L’anno prossimo se tutto andrà bene spero di essere un po’ più libero e chissà mai che fra tre anni possa vestire io i panni di pilota di punta».

– Il 1988 è stato fino ad oggi un anno d’oro per te. Te lo aspettavi che sarebbe stato così?
«Quando all’inizio della stagione Farioli mi ha detto che avrei dovuto correre nella 125 sono stato felicissimo perché per tutto il 1987 avevo corso nella 500 non riuscendo mai ad esprimermi al meglio delle mie possibilità. Ho iniziato una preparazione dura sotto tutti i punti di vista intensificando ancor più gli allenamenti quando ho vista che i risultati erano sempre più positivi».

– Nell’ambiente sei benvoluto d tutti ed in particolare modo sei uno dei piloti più richiesti in assoluto dalle ragazze. Come si giustifica questo, considerando che tra alcuni team esiste un forte attrito?

«Che vinca o che perda rimango sempre quello che sono ed è forse per questo motivo che sono simpatico a tutti. La storia delle ragazze, o che io sia un play-boy non è assolutamente vera anche se non mi dispiace soffermarmi a parlare o a conoscere meglio le ragazze… Naturalmente il più possibile carine!».

– Il fatto di essere stato nominato «gregario» di Cyril Neveu non ti spaventa un po’?
«Essere il secondo di Neveu che nella sua carriera ha già vinto cinque volte la Dakar è per me un grande onore».

– Perché ti definisci gregario quando hai le possibilità ed anche le capacità di non esserlo?
«Lo ripeto: credo di avere bisogno di fare molta più esperienza di quella che ho già per arrivare a Dakar svolgendo al meglio il mio compito di uomo ombra di Neveu. Se poi tra qualche anno divenissi il nuovo Orioli…sarei ovviamente molto felice»

di Dario Agrati (Motosprint)
http://www.motowinners.it/fuoriclasse%20Bg/SignorelliA/ASignorelli.htm

 

 

Nuovi colori per le Yamaha-Belgarda monocilindriche da 660 cc. che parteciperanno alla Parigi Dakar 1987, strettamente impa-rentate con quelle vincenti al rally dei Faraoni.

Tecnicamente va segnalata l’adozione del freno a disco posteriore da 200 mm di diametro che va ad affiancarsi all’anteriore da ben 300 mm, si è provveduto anche al recupero della benzina che in precedenza traboccava dalle vaschette dei carburatori, attraverso gli sfiati, adottando una piccola pompa di ricircolo. 

L’alimentazione infatti avviene tramite una pompa a depressione che provvede a prelevare carburante innanzitutto dai serbatoi laterali e poi da quello principale. Da notare che quest’ultimo è costruito in due sezioni distinte incernierate longitudinalmente in alto; l’apertura ad ala di gabbiano facilita la manutenzione e, in caso di caduta, limiterebbe la fuoriuscita di benzina.

Nell’immagine dall’alto si vede chiaramente anche la posizione del filtro aria a cartuccia mentre senza sella, appare evidente la conformazione portante dei serbatoi laterali che reggono sedile e codino; qui è previsto lo spazio per la scorta d’acqua, da trasferire nello spoiler anteriore solo nelle tappe più lunghe.

Parigi – Sirte – Le Cap 1992: il confine sud del Ciad segna l’ingresso dell’Africa Nera, ma non per tutti. Per Alessandro De Petri l’Africa è diventata nera molti chilometri prima, in Niger. È riuscito ad arrivare in moto a Dirkou, ma lo ha fatto con la clavicola destra fratturata. impossibile ripartire il giorno dopo.
Così, ancora una volta, «Ciro» si è visto sfuggire dalle mani una gara che sentiva di poter vincere, e la sua rabbia è quasi palpabile, resa ancora più forte dalla incredibile dinamica dell’incidente.

«Sono arrivato al rifornimento davanti a tutti— si sfoga ma i km dopo essere ripartito ho tolto una mano dal manubrio per sistemare il road book, perché la carta non scorreva. Non l’avessi mai fatto!
Stavo andando piano, ma ho preso una buca e la moto si è messa di traverso. Non ho nemmeno fatto in tempo a riacchiappare il manubrio, e con una mano sola davvero non potevo sperare di controllare la mia Yamaha, per giunta con il pieno. Mi ha buttato per aria ed ho picchiato duro. Che incidente stupido!».

De Petri parla a ruota libera, senza interrompersi. Non riesce ad accettare il ritiro, non riesce a capacitarsi della sfortuna che continua a perseguitarlo.
«Non puoi spiegare cosa provi quando ti succede una cosa del genere. Non puoi accettare di doverti fermare così dopo 8 mesi di preparazione.
Ore e ore passate in palestra ogni giorno e un’équipe di persone che lavora per preparare la tua gara. Subito dopo la caduta non riuscivo a tenere gli occhi aperti, ed ho perso i sensi. Quando lí ho ripresi mi sentivo come se mi stessi risvegliando da un brutto sogno, come se tutto dovesse finire lì. Evviva, ho pensato, ma quando ho messo a fuoco il casco di Peterhansel, che si era fermato per aiutarmi, ho capito che purtroppo non era solo un sogno».

«Ciro» però non ha voluto rassegnarsi al ritiro. Non ancora. (fonte MS)