Honda Africa Twin Marathon Dakar 1989

In un’epoca in cui i privati erano protagonisti della Dakar, pubblichiamo molto volentieri un tributo alla moto di Paolo di Mauro, una Honda Africa Twin 650 Marathon #168 preparata per la Dakar 1989 e con la quale concluse al 46° posto nell’assoluta (12° fra le Marathon):

Ringraziamo l’officina Moto Evasion SA che si è occupato della preparazione, per averci inviato le fotografie.

 

 

 

 

Claudio Torri MotoGuzzi T.A.P. 750 1988

Ci sono poche immagini della partecipazione di Claudio Torri e del suo prototipo di Moto Guzzi alla Dakar 1988.

Già dal prologo di Parigi erano emerse le prime difficoltà causate dalle pessime condizioni meteo che avevano reso il percorso una trappola infernale di fango e pioggia.

Purtroppo la gara di Claudio terminerà durante la seconda tappa (la prima in terra africana). Una curiosità che è stata confidata, la Tropicana, questo dal nome del main sponsor, venne chiamata T.A.P. dall’acronimo (ma ovviamente in bergamasco) “tutto a posto”, rassicurazione che dava lo stesso Torri quando gli capitava di cadere.

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Yamaha WR 450 F 2-Trac Dakar 2004

Il sistema di trazione integrale 2-Trac (doppia trazione) è stato sviluppato dalla Ohlins per conto della Yamaha, che è proprietaria dal 1987 della famosa Casa svedese di sospensioni. La spiegazione dell’interessamento della Ohlins nello sviluppo del 2-Trac risiede nella scelta di base compiuta dalla Yamaha al momento in cui ha deciso di investire nello sviluppo di una trazione integrale per motociclette. Le possibilità erano due: o una trasmissione meccanica, già tentata diverse volte nella storia della tecnica motociclistica con pessimi risultati, soprattutto per il peso e per la complicazione del sistema che obbliga a ristudiare tutto l’avantreno della moto, oppure una trasmissione attraverso una pompa e un circuito idraulico: appunto il pane della Ohlins…

Il sistema brevettato dalla Yamaha consiste di una pompa idraulica, posta sopra la scatola del cambio e azionata da un giro di catena in bagno d’olio. Il movimento della pompa crea un flusso unidirezionale ad alta pressione del fluido idraulico contenuto nel circuito chiuso che, attraverso lunghe tubazioni flessibili porta il fluido stesso ad azionare il motore idraulico inserito nel mozzo della ruota anteriore, e lo recupera riconducendolo alla pompa.
La capacità di trazione della ruota anteriore è direttamente proporzionale alla pressione del fluido idraulico generata dalla pompa, che varia in funzione della trazione della ruota posteriore. Il sistema è quindi autoregolante ed è sempre in grado di distribuire la trazione fra le due ruote secondo un rapporto ottimale. In pratica, a qualsiasi perdita percentuale di aderenza (e quindi di trazione) della ruota posteriore corrisponde un aumento della trazione applicata alla ruota anteriore. La taratura standard del sistema può oltretutto essere variata in funzione delle diverse esigenze. Inutile dire che la trazione della ruota anteriore non potrà mai essere superiore a quella della ruota posteriore.

La trazione integrale 2-Trac presenta non solo il vantaggio di una notevole efficienza e flessibilità, ma anche quello della leggerezza complessiva del sistema, del limitatissimo ingombro e soprattutto non richiede modifiche strutturali di alcun tipo al veicolo su cui è applicata.

La sperimentazione del sistema Yamaha-Ohlins per la trazione integrale delle moto inizia nel 1998, quando due Yamaha YZ250 dotate di 2-Trac vengono mostrate per la prima volta in Svezia.
Nel 1999 il sistema è sperimentato su una Yamaha TT600R e due prototipi di questa moto, affidati ai piloti del Team Belgarda, Angelo Signorelli e Antonio Colombo, partecipano al UAE Desert Challenge. Colombo vince poi il Rally di Sardegna. Un esemplare evoluto di questa TT600 R nel 2000 viene testato dal campione di cross Andrea Bartolini.

Il 2001 è l’anno del lancio internazionale: Jean Claude Olivier, presidente della Yamaha France e pilota, si iscrive con una WR426F 2-Trac al Rally del Marocco e si piazza al quinto posto finale. Lo stesso anno, David Frétigné vince una tappa del Trofeo Andros e coglie il settimo posto nell’Enduro del Touquet.
A un anno di distanza, Frétigné e Oliver partecipano nuovamente al Rally del Marocco e colgono un eclatante successo di squadra conquistando nell’ordine i primi due posti della classifica finale, sempre alla guida di WR426F 2Trac.
Nel 2003 la WR426F diventa WR450F 2-Trac e con questa moto Frétigné ancora una volta non ha avversari nel Rally del Marocco.

La sperimentazione è finita e la sfida si sposta verso la più dura competizione in fuoristrada: obiettivo Dakar 2004!

Il pilota prescelto è il francese David Frétigné, che ha nel suo curriculum quattro titoli nazionali enduro e tre vittorie alla Sei Giorni, ma è alla sua prima Dakar e l’affronta con questa filosofia: “per me il semplice partecipare è la realizzazione di un sogno. Il mio obiettivo non è battere le grosse cilindrate, ma sviluppare la moto e fare esperienza. I risultati fin qui ottenuti sono merito dell’agilità e dell’affidabilità della moto, nonché dei vantaggi della trazione integrale, che garantisce una stabilità superiore e rende molto più facile la guida nella sabbia”.

David Frétigné correrà una Dakar brillantissima e porterà la Yamaha WR450F 2-Trac al settimo posto nell’assoluta, dimostrando con la vittoria nella seconda e nella terza tappa, di rappresentare una proposta tecnica serissima, di aver raggiunto la necessaria affidabilità, e soprattutto di disporre di un potenziale evolutivo notevole. Forse enorme. E magari non limitato al fuoristrada.

N.d.r. La storia dimostrerà il contrario, infatti il progetto 2-trac venne progressivamente accantonato ed ora il sogno del “due ruote motrici” non è più una priorità nel campo fuoristradistico.

fonte www.dueruote.it

Claudio Torri e la sua Moto Guzzi “Severe” alla Dakar 1991

Quanto a coraggio Claudio Torri non scherzava, trentanovenne (nel 1991 ndr.) architetto bergamasco partì da Parigi in sella ad una Guzzi da lui stesso interamente progettata. Se si esclude il motore la sua moto non conservò molto dal modello di serie: il telaio era costituito da un grosso trave di alluminio con due piastroni triangolari nella zona del fulcro del forcellone, e la culla inferiore che fungeva anche da serbatoio dell’acqua.

Sulla ciclistica realizzata dalla VRP Torri montò un motore Guzzi 940 identico a quello del modello SP ma con l’alimentazione ad iniezione elettronica invece che a carburatori i cilindri rovesciati, con gli scarichi all’indietro.

«Ma fu un errore – precisò Torri – ho fatto così per avere i pesi più centrati, solo che in questo modo gli scarichi si scaldavano troppo e diventavano addirittura roventi. Tra l’altro montai l’iniezione elettronica della California senza modificarne la mappatura perché non ne ebbi il tempo, ed ebbi grossi problemi di carburazione. Ma lavorai anche sulla trasmissione: era la mia è la prima Guzzi con la trasmissione finale a catena, e realizzai una coppia conica all’uscita del cambio per eliminare il cardano».

Anche con tanto lavoro però la Severe, questo è il nome ufficiale, pesava 207 kg: non poco, ma comunque sempre meno delle Africa Twin. Torri però aveva già in mente di realizzarne una nuova, più leggera e con il motore da 750 cm, con cui disputare il successivo Rally dei Faraoni. Perché, s’intende, non cambiò la sua intenzione di restare fedele all’Aquila di Mandello.

Con le bicilindriche lariane ha già partecipato a quattro Dakar senza portarne a termine nessuna, ed è deciso a non mollare.

«Non posso correre con una giapponese non voglio usare soldi italiani per fare pubblicità a stranieri. E poi la Guzzi è mitica. Con una giapponese passerei inosservato, con una Guzzi è sicuramente tutta un’altra cosa, anche se ti capitasse di fermarti già il primo giorno».

Esattamente quanto gli successe: rimase a piedi nella prima speciale, quella da Ghadames a Idri, e non arrivò più al campo, probabilmente raccolto dal camion scopa. Privo di ricambi e di assistenza, non tentò nemmeno di riparare la sua Severe. Forse in quell’anno non riuscì nemmeno a centrare il suo obiettivo primario:

«Partire solo per arrivare è riduttivo, vedere Dakar può essere una gratificazione, ma non mi interessa. Il mio obiettivo è divertirmi, riuscire ad entusiasmami per le cose che vedo e collaudare le soluzioni che io stesso ho studiato».
Quella volta durò davvero troppo poco per divertirlo.

Fonte motosprint
Foto fornite da
Clemente Chiappa

KTM bimotore? Si, alla Dakar 1988!

Il pilota francese Michel Assis nel 1988 riuscì a montare sulla sua KTM 125 ben due motori. Sotto il serbatoio infatti venne ricavato lo spazio per alloggiare un propulsore di ricambio, una soluzione che permetterà ad Assis di effettuare una sostituzione di emergenza se sarà necessario.

 

Il telaio della sua bella e rifinitissima KTM è realizzato in alluminio. Soluzione sicuramente fantasiosa ma che purtroppo non servì per arrivare a Dakar…

 

MBK Innovation: 2 tempi 2 cilindri alla Dakar 1985

Il nome MBK Innovation era un nome decisamente azzeccato per una moto di questo tipo in un mondo in cui la fantasia non va d’accordo con i risultati. Con un’estetica decisamente diversa dalla concorrenza, la moto realizzata da Jean Michel Basset per la Dakar 1985, è realizzata attorno al suo motore, decisamente inconsueto per una moto da fuoristrada, il bicilindrico 2 tempi della Yamaha RD LC 350!

Il progetto era tutto incentrato ad ottenere un rapporto peso/potenza particolarmente spinto, e gli ingegneri MBK ci riuscirono decisamente. Sulla bilancia la moto pesava solo 135 kg e alla ruota aveva una potenza di 65 CV! Per avere un’idea e un raffronto, in quegli anni la faceva da padrona la BMW GS, che era la più veloce con 180 kmh di velocità massima, la più potente con ca. 80 CV con un motore di cilindrata 1.050 cc.

La scelta di un motore 2 tempi, fu l’imperativo da seguire. Scegliere un monocilindrico da 500 cc sarebbe stato un suicidio, la potenza ed il rendimento non erano minimamente paragonabili ad un bicilindrico, pur se di cubatura minore. Per non parlare dei consumi!

Il motore della Yamaha RD 350 LD offriva la potenza necessaria per far raggiungere sulla sabbia i 145/150 kmh. Il secondo obiettivo era dare ai propri piloti, Patrick Vallet e Pierre Marie Poli, una moto leggera e maneggevole. A tal scopo venne utilizzato l’alluminio in modo massiccio per la realizzazione del radiatore maggiorato, air box dell’aria, serbatoio carburante, serbatoio dell’olio (ricordiamo che il motore andava a miscela al 3%) e dell’acqua. Riuscire a raggiungere i 135 kg a secco fu un’impresa ingegneristica di alto livello per l’epoca.

Ma come insegna la storia, i numeri e le idee sulla carta non vanno d’accordo con il duro mondo delle corse. Purtroppo la MBK Innovation 350 non arrivò a Dakar con nessuno dei piloti.

Barigo Ducati alla Dakar 1985

Nel 1985 due studenti di ingegneria ENSM (Scuola di Meccanica), Frédéric Rosset e Julian Eberhardt, decidono di fare il loro stage con un progetto per partecipare alla Dakar. Supervisionati da Monsieur Barigo Patrick Barigault nasce nuovo prototipo con cui lanciare la sfida al deserto, il nome non lascia dubbi sulle intenzioni bellicose dei due studenti: F1 Desert, appunto! Il logo campeggia fiero sul cupolino e nel codone posteriore.

Due moto dalle innovazioni tecniche molto sviluppate, ma che di cui non si sa molto, saranno realizzate su base Ducati Pantah (650cc e 750cc) e l’intuito di dotare la loro moto con il bicilindrico che da li a poco segnerà la storia della competizione, fa capire quanto fossero lungimiranti i due piloti/studenti.
Nonostante la poca esperienza, Julien Eberhardt #46 si comporterà bene fino a quando una caduta in cui si rompe la spalla lo metterà fuori gioco, mentre Rosset #45 raggiungerà Dakar, ma fuori classifica.

L’ultima volta di Moto Morini – Dakar 1985

Il 1985 è l’anno dell’ultima partecipazione del Team Valentini di Prato alla Parigi-Dakar, la squadra non avendo ottenuto il sostegno diretto dalla fabbrica, si vede costretto al ritiro dopo questa edizione. Antonio Valentini e Aligi Deganello non lasciano nulla al caso per preparare le moto che sono realizzate facendo fruttare l’esperienza maturata nelle precedenti edizioni.

Purtroppo Leandro Ceccherelli si fa male alla fine della prima settimana di gara a causa di una caduta e si deve ritirare. Gianni Gagliotti si comporta molto bene e dopo migliaia di chilometri si trova a pochi km dal traguardo di Dakar. E’ 17° nell’assoluta e 2° nella sua classe. Sulla sabbia di Dakar e con pochi km da percorrere la moto non ne vuole sapere di andare e con l’aiuto di Gualini e Balestrieri tenta in tutti i modi di far ripartire la sua Morini, sostenuto dal tifo incessante dei bambini radunati sulla spiaggia a festeggiare.

Il traguardo è a portata di mano, ma l’unico modo per tagliarlo è quello di farsi trainare dagli amici piloti per provare a riavviarla. Questo tentativo però gli costa la squalifica. Per questo motivo non troverete Gagliotti nelle classifiche ufficiali, ma moralmente e dopo aver percorso 14.000 km in 20 giorni, quel traguardo lo ha tagliato, eccome!

Ecureuil 1000 – Dakar 1987

Troviamo e riportiamo questo articolo tratto dal sito www.classic-motorbikes.com

“Hubert Rigal, nostro esperto ed ex partecipante alla Parigi-Dakar è stato in grado di trovare, dopo un anno di indagini, una delle moto più sorprendenti tra i prototipi degli anni ’80 che hanno partecipato al rally raid più duro al mondo. Tutto è cominciato nel 1986, quando il tecnico Joël Guillet e il giornalista Pierre-Marie Poli, capo redattore del settimanale francese Moto Journal, ha avuto l’idea di una moto rivoluzionaria.
Promossa dalla Cassa di Risparmio Écureuil, l’omonima squadra corse Écureuil è stata creato con l’obiettivo di entrare nel mondo della Parigi-Dakar, eccezionale veicolo media dell’epoca.

Equipaggiata con un motore BMW (la marca che ha vinto l’edizione 1983 e 1985), la particolarità di questo “ERS 1000” è la sua concezione modulare e il carbonio come materiale che la contraddistingue.

Il disegno è composto da tre elementi:
– Un corpo in Kevlar-carbonio del peso solo sei chili,
– Il gruppo ruota motore-trasmissione-posteriore,
– La sospensione anteriore, attaccato sulla parte anteriore.

Il vantaggio principale è lo smontaggio rapido: ci vogliono solo sei minuti per rimuovere il motore e la trasmissione! Ciò lo rende facile adattare la moto alle sfide di ogni tappa.
Nel 1987, tre Écureuil iscritte alla corsa, guidate da Pierre-Marie Poli, Marc Morales e l’ex poliziotto Daniel Pescheur.
Poli non ce l’ha fatta ad arrivare a Dakar, la moto di Pescheur ha preso fuoco nel deserto e Morales, anche se arrivato al traguardo non venne qualificato. In realtà, durante l’ultima tappa, Marc Morales era 7° assoluto in classifica, rimase a piedi in prossimità del Lago Rosa (Lago Retba), a soli tre chilometri dal traguardo!

Questa moto è completa e originale con l’esclusione della protezione del faro, che potrebbe essere facilmente riprodotto.
A seconda delle necessità è dotata di ruote anteriori da 18, 19 o 21 pollici.
Il motore, un 1050 modello 1023 cc preparato da Herbert Scheck (il noto pilota tedesco e pilota BMW), ed è stato ordinato direttamente da BMW France.

La moto è equipaggiata con una forcella Marzocchi e due Öhlins posteriori, il telaio e l’attacco della sospensione del motore sono in carbonio a nido d’ape e sono state costruite da ERS.
La moto è disponibile in Francia, senza documenti di registrazione validi per la circolazione su strada. In realtà questi prototipo ha corso con documenti di immatricolazione che corrispondevano ad una moto di serie.”

http://www.classic-motorbikes.com/en/bmw-ecureuil-ers-1000-dakar-1987/

Suzuki CSV 650 Dakar 2002 – La moto del debutto di Marc Coma

Qualche anno fa, il Museo della Moto di Bastella ha esposto un impressionante numero di moto reduci dalla Dakar di tutte le annate. Per gli amanti del genere, il Prado e il Louvre erano annientati, di fronte a questo. E rimanemmo stupiti di fronte a questa bicilindrica con telaio Sotelo e motore Suzuki SV650: un bel V2 robusto e dall’erogazione giusta per una bicilindrica da fuoristrada, che ci compreremmo volentieri, se ne esistesse una produzione dì serie.

Ma ancora più incredibile fu scoprire il pilota: Marc Coma, oggi il numero uno, all’epoca sconosciuto. Eppure, era solo il 2002, non capiamo come ci siamo fatti scappare una moto così interessante visto che, ad ogni Dakar, cerchiamo sempre di scoprire se c’è qualcuno ìn sella a moto strane.

(Fonte Motociclismo Fuoristrada – foto Museo della Moto, Bastella, Spain).

Special tkanks Gianni Uomodighiaccio