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Edi Orioli 1988, il campione

Si arriva, dunque, alla Dakar del 1988, l’edizione del decennale. Hubert Auriol, in seguito all’incidente dell’anno precedente, decide di correre in auto. Per la prima volta, dopo dieci partecipazioni, Cyril Neveu è costretto al ritiro. Per la prima volta, con una Yamaha, c’è Stéphane Peterhansel. Yamaha e Honda schierano ciascuna due squadre ufficiali, ed entrambi i colossi dell’industria motociclistica giapponese sono rappresentati da un team italiano. Al termine di una “pirotecnica bagarre” iniziale la Dakar dei record, delle tempeste di sabbia e della Peugeot di Ari Vatanen sparita nottetempo dal bivacco, si accende del duello tutto italiano tra Franco Picco ed Edi Orioli. Picco corre con la monocilindrica del team di Papi, mentre per Orioli la fiducia totale di Ormeni nella sua “scoperta” si traduce nel diritto a guidàre l’unica Honda NXR assegnata al team italiano. La battaglia tra il veneto e il friulano non ha nulla da invidiare all’epico scontro dell’anno precedente che vide protagonisti Auriol e Neveu, e finisce per tenere tutti gli italiani con il fiato sospeso. La Dakar entra prepotentemente nell’immaginario comune, sottrae “esperti opinionisti” al calcio.

Fino ad Arlit, Picco ha vinto due speciali ed è in testa alla corsa. Ma Edi Orioli si aggiudica la prova speciale di Agadez e, finalmente, scavalca l’avversario vincendo, con una mossa d’astuzia, quella successiva, a Tessalit. In questo acceso duello Orioli mette proficuamente a nudo tutto il suo potenziale di tecnica e di talento. Per lui è ancora più importante, basilare, non commettere il minimo errore, restare sempre perfettamente concentrati. Quello che si guadagna con una tappa perfetta è nulla in confronto a quello che si riesce a perdere con un solo sbaglio, una caduta, un errore di navigazione nell’arco di venti giorni. Alla Dakar bisogna saper prendere decisioni rapidissime quando è necessario, ed essere capaci di giocare d’astuzia quando se ne presenta l’opportunità. Ed è proprio M questa occasione che Orioli gioca magistralmente la sua prima carta vincente. l 22 gennaio, sulla spiaggia del Lago Rosa, la Dakar lo incorona vincitore. Per la prima volta si tratta di un italiano. La magia di quella vittoria dilaga e Orioli viene consacrato nel duplice ruolo di campione e personaggio. Al suo rientro in Italia il Campione è accolto come una star e per mesi e mesi è lui l’atleta più invocato dai media, da giornali e TV.

Testo Piero Batini

 

 

Honda XL 600 1984

La Honda si presenta molto agguerrita alla partenza della Parigi Dakar 1984, la nuova versione della XLR monta un motore leggermente aumentato nella cilindrata e portato a 630 cc che sviluppa una potenza di circa 46 CV pure peso di circa 145 kg. Si tratta forse di una delle moto meglio preparate, in quanto Honda France ha lavorato a strettissimo contatto con la Casa Madre.

Beppe Gualini Dakar 1984

Quando i privati erano pionieri. Taniche fissate con elastici sella imbottita e tabella porta numero rivettata sul portapacchi. Beppe Gualini su Honda XL 600R alla partenza del 1984.
Arrivò regolarmente al traguardo di Dakar classificandosi al 45° posto.

Honda NXR 750 1989

In Giappone quando decidono di fare una moto vincente non scherzano e sanno decisamente come fare. La Honda NXR 750 è un vero e proprio prototipo creato per vincere la gara più dura del mondo.
La Honda si presentò al via con la NXR 750, una bicilindrica 8 valvole di 780 cm³ capace di sviluppare oltre 75 cavalli, con un peso a secco intorno ai 160 kg: il risultato fu che Neveu e Lalay conclusero al primo e secondo posto.
L’anno successivo Neveu fece il bis, davanti a Edi Orioli. Il friulano vinse nel 1988 la sua prima Dakar in sella alla stessa moto usata da Neveu l’anno precedente, mentre nel 1989, Lalay portò al quarto successo consecutivo l’ultima evoluzione della NXR. Nel 1990 Honda decise di non proseguire con questa esperienza.

Honda NXR 750 1987

Per il vincitore dell’edizione del ’86 Cyril Neveu e i suoi compagni di team Lalay e Charliat, fu messa a disposizione da HRC per la Parigi Dakar del 1987, una versione aggiornata della Honda NXR bicilindrica. Rispetto all’anno precedente vantava una cilindrata leggermente maggiore, portata a 780 cc. ed una potenza di circa 75 cv che permetteva di raggiungere i 175 kmh.

Su questa moto, già vincente di suo, fu fatto esclusivamente un lavoro di affinamento, soprattutto sui materiali, il che che consentì di abbassare il peso fino a 185 kg a secco (240 kg in ordine di marcia). Il comparto freni fu arricchito da un disco anche al posteriore al posto del tamburo.

 

Honda XL 600L 1986

Le moto giunsero direttamente dal Giappone ai primi di dicembre; furono allestite dal reparto Ricerche e Sviluppo, R & D, sulla base dei due prototipi utilizzati da Balestrieri e De Petri al Faraoni, quindi erano delle monoclindriche derivate dalla XL 600 LM.

La squadra della Honda France disponeva invece di macchine spinte da propulsori bicilindrici sviluppate dalla HRC, più potenti ma alla loro prima esperienza desertica. I responsabili della filiazione italiana vollero privilegiare il mono per le maggiori garanzie che esso offriva in fatto di affidabilità, ad ogni modo andava sempre considerato che per realizzare queste motociclette in Giappone la Casa madre investii, solo nello studio, la bellezza di un miliardo di lire.

La macchina aveva alesaggio e corsa di 100 x 82 mm per una cilindrata di 643 cc.; la potenza non era notevolissima a causa della scarsa qualità delle benzine reperibili in territorio africano, comunque si aggirava sui 51 cavalli ottenuti con un rapporto di compressione pari a 8,5:1 e con un carburatore singolo da 40 mm di diametro.

Con cambio e frizione strettamente derivati dalla XL di serie, la Honda della Dakar riusciva a spingere una velocità massima di circa 170 chilometri orari, grazie anche alla nuova carenatura che, dai test effettuati in Giappone, aveva dimostrato la propria validità consentendo di guadagnare circa 10 chilometri l’ora.

L’interasse era di 1520 mm, sulle moto di Balestrieri e Orioli, mentre per De Petri la macchina era un po’ più corta perché «Ciro» aveva richiesto una diversa inclinazione del cannotto di sterzo; la forcella è da 43 mm ed è della Showa come il monoammortizzatore che lavorava su un Pro Link ridisegnato con leveraggi al di sotto della linea del forcellone.

Interessante la soluzione adottata per la carena, in tre pezzi, che nella parte inferiore aveva due serbatoi per l’acqua di scorta e per circa un chilo di lubrificante da utilizzare in caso di necessità; la capacità del serbatoio carburante era di 36 litri che venivano aumentati a 55 da quelli posteriori.

All’arrivo di Dakar si classificarono; Balestrieri al 3° posto, De Petri 5° e Edi Orioli 6°.

Claudio Terruzzi, una simpatica “manetta”

“Ovviamente ho corso la Dakar per vincerla; a manetta dall’alba al tramonto ed ero ben preparato per correre e andare forte. Il primo anno ho vinto il premio rookie of the year – migliore esordiente – ma non immaginavo fosse così dura.

Quando sono arrivato a Dakar avevo la sensazione di aver vissuto 15 anni in 15 giorni, per l’esperienza, per la tensione, l’emozione. Ti giuro che al traguardo sono arrivato cambiato, non so se mi spiego!

Ho vissuto l’esperienza più estrema della mia vita: spesso da solo, senza civiltà attorno per ore; centinaia di chilometri senza assistenza tecnica, con tappe maratahon da 900/1000km.

In quell’edizione, alla 5 tappa, Michele Rinaldi ha dato forfait perché l’ha ritenuta troppo dura. Ricordo gente piangere al campo, tappe finite a notte fonda, piloti che arrivavano alle 5 del mattino.

Fai conto che per sei mesi a Milano ho avuto gli incubi, mi svegliavo all’improvviso, vedevo la spia rossa del televisore e pensavo fosse l’accampamento.”

Foto fornita da Claudio Terruzzi
Team Honda 1988

(fonte red-live.it)

La mia Dakar 2005 by Lorenzo Buratti

Il mio nome è Lorenzo Buratti e parto per la Dakar 2005 dopo aver fatto esperienza in gare minori ma comunque toste come il rally dei Faraoni o il rally di Tunisia, mi sento pronto, fisicamente sono a postissimo e la mia piccola Honda XR400 non da nessun problema.
Non potendo contare su nessuna assistenza ho cercato una moto facile a livello meccanico, sulla quale poter fare manutenzione alla sera nel minor tempo possibile, durante la giornata posso sfruttare solo la mia capacità di navigare bene, non certo la velocità di punta.

In ogni caso se sei un pilota privato che mira solamente a finire la gara mi sembra la strategia più giusta.
Per tutta la prima settimana i fatti mi danno ragione, lascio fare le sciocchezze agli altri, ogni giorno si ritirano più di dieci moto, io non mi perdo mai e avanzo in classifica semplicemente facendo il mio onesto lavoro e cercando di non cadere per non dover lavorare tutta la notte sulla moto per ripararla, erano ancora gli anni in cui si poteva affrontare una Dakar in questo modo, ora non saprei, mi sembra tutto troppo veloce in sudamerica, in Africa la gente si perdeva davvero…

Esco 57mo assoluto dall’inferno della sesta tappa, Zouerat-Tichit, i giornalisti presenti la descriveranno il giorno dopo come una delle tappe più dure della storia della Dakar, un inferno di sabbia soffice che nessuno aveva immaginato, arrivo al bivacco a mezzanotte e quarantacinque dopo oltre sedici ore in sella, pensavo di aver fatto un disastro ed essermi perso, invece al parco chiuso ci sono solo 56 moto, alle 4 del mattino erano arrivate solo 22 auto, il giorno dopo hanno dovuto annullare la tappa perché tutti gli elicotteri erano in giro a cercare tutti quelli che han dovuto passare la notte nel deserto, sono orgoglioso di me e quando arrivo al giorno di riposo a metà gara mi sento davvero felice. Sento che quella cosa li la so fare.

Quando mi devo ritirare a causa di un problema al carburatore che causa la fuoriuscita di tutta la benzina sono alla fine della decima tappa, circa nella 52ma posizione assoluta su 250 moto partite, bloccato su una duna farinosa della Mauritania, a due chilometri da fine tappa. Un pilota italiano di cui non ricordo il nome si rifiuta di darmi un litro di benzina che mi avrebbe consentito di arrivare al traguardo, aveva paura di perdere tropo tempo.

La stanchezza e la notte che stava arrivando mi mandano in confusione, per una serie di motivi mi rimane il dubbio che possa essere anche un problema elettrico, smonto la carena e controllo tutti i fili, la XR non ha avviamento elettrico così provo a riavviare la moto a pedale fino a quando non crollo, mi recupera l’elicottero medico che mi trova semisvenuto di fianco alla moto e mi porta a fine tappa dove il camion scopa mi preleverà per ricondurmi al bivacco…fine.

Al mattino dopo la carovana riparte e rimango unico Italiano al bivacco ad attendere il volo di rimpatrio per Parigi, arriva la notizia dell’incidente a Fabrizio Meoni e l’organizzazione viene a cercare me per comunicarmelo, tutto è surreale, tutti piangono, arriva l’elicottero con il sacco nero appeso fuori sulla barella, ho solo voglia di tornare a casa…Ciao Fabrizio.

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Honda EXP-2 Dakar 1995

Sicuramente con la semplice sigla di Honda EXP-2 ben pochi capiranno di cosa sto parlando, ma questa moto fu una delle novità più interessanti presenti nel parco gara della Granada Dakar (sigh) del 1995. La moto partorita dal genio dei progettisti Honda, non era sicuramente la prima 2T progettata per il deserto (come abbiamo visto con la KTM 495 del 1981) ma è stata concepita per essere rivoluzionaria e vincente.

Al suo debutto non solo vide le spiagge di Dakar, ma addirittura Jean Brucy concluse con un ottimo quinto posto assoluto, seconda Honda al traguardo (dietro a Meoni) e prima indiscusso nella categoria sotto i 500 cc: un risultato eclatante per un prototipo nato da un progetto nuovo e considerando anche che la moto era di soli 400 cc, monocilindrica per giunta!
Ma per quale motivo questa moto era rivoluzionaria? Per prima cosa la ’Honda EXP-2 è stata progettata per avere l’iniezione elettronica, un’utopia per quei tempi, e la combustione quindi avviene senza l’utilizzo della candela (che è presente ma viene attivata solo a regimi particolarmente bassi), spiegato in modo molto semplicistico…era come un diesel!

L’utlizzo di questa tecnologia permetteva al motore di sprigionare ben 54 cavalli, poco meno di 20 rispetto alle rivali di 800 cc quattro tempi, ma pesava oltre 100 Kg in meno delle rivali, aveva consumi decisamente inferiori e mediamente attestati addirittura attorno ai 3 l/100 Km nel ciclo misto ed attorno ai 6 l/100 Km in gara.

Resta ancora un mistero capire perché questa moto, dalle potenziali enormi, non ebbe alcun seguito nelle competizioni a seguire.

Team Honda Dakar 1985

Il team Honda alla Parigi Dakar del 1985: Andrea Balestrieri #93, Alessandro De Petri (Ciro) #94, Cyril Neveu #95, Gilles Lalay #96, uno squadrone che non ebbe gran fortuna, Neveu fu il migliore al traguardo classificato 5°, Lalay 15° Balestrieri e De Petri si ritirarono.