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RICORDANDO ‘LE PETIT GASTON’

L’8 febbraio 2005 venne a mancare Gaston Rahier. Un Campione piccolo di statura ma grande nel talento e nei numeri. ‘Le petit Gaston’ era un pilota polivalente, in grado di trionfare nelle più rinomate competizioni legate al fuoristrada. Dal 1975 al 1977 ottenne il tris iridato nel Mondiale Cross 125 dominando, in lungo e in largo, in sella alla Suzuki.

Nel 1978 perse il Titolo in favore del giapponese Akira Watanabe. L’anno seguente approdò in Yamaha, ma non riuscì a fare meglio del terzo posto finale. Il 1980 lo vide accasarsi alla Gilera. Nella stagione d’esordio con la Casa italiana, appose la sua ultima firma in un Gp. Sul tracciato jugoslavo di Trzic ottenne, infatti, il successo assoluto grazie a un secondo e un primo posto. Si fermò così a 29 successi nella ottavo di litro, un record che resisterà fino all’ultimo anno di esistenza della classe minore, prima dell’avvento delle nuove categorie.

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Nel 1982 tornò in Suzuki, ma fu anche l’anno che sancì il suo addio al Motocross. Un serio infortunio alla mano riportato durante il Mondiale 250 non decretò, comunque, la fine della sua carriera sportiva, perché da lì a poco intraprese l’avventura alla Parigi-Dakar. In sella alla BMW, nel biennio 1984-1985 il fiammingo centrò il bersaglio grosso, entrando una volta di più nella leggenda. Ma Gaston non si sentì sazio a sufficienza. A quel punto mise nel mirino il Rally dei Faraoni.

Anche in quell’occasione tornò in patria vittorioso, aggiudicandosi l’edizione 1988. Un nuovo incredibile traguardo che arricchì ulteriormente il suo palmares, già vasto come pochi altri. Fra i vari Titoli, non vanno dimenticati i successi che colse con il Team belga al Motocross delle Nazioni 1976 e al Trofeo delle Nazioni in ben quattro edizioni. La passione per le due ruote artigliate lo accompagnò fino all’ultimo giorno della sua esistenza.

Diciassette anni fa Gaston Rahier se n’è andato sconfitto da un cancro, a 58 anni, lasciando un vuoto che persiste con intensità ancora oggi. Molti appassionati continuano a ricordarlo, per tenere viva la memoria di un uomo che dedicò la sua esistenza al fuoristrada, segnando per sempre questo mondo.

Dakar 1985 | Rahier e Picco si raccontano

Le barbe lunghe, i volti scavati, la polvere rossiccia appiccicata addosso, gli occhi incassati, le mani con calli enormi, le moto sporche, sverniciate, saldate, rattoppate. I reduci dalla Parigi-Dakar si presentano così sulla spiaggia di Saly-Portudal, 80 chilometri dal traguardo, la sera prima del grande arrivo sul bagnasciuga oceanico della capitale senegalese.

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La grande avventura è quasi finita. I veri eroi sono i motociclisti, arrivati in una trentina dei 180 che erano — tra i superstiti anche sei italiani: Picco terzo, Marinoni quarto, Zanichelli 13°, Balestrieri poi squalificato per essersi fatto trainare nell’ultima tappa insieme con Gagliotti e Gualini. Appena arrivati sembrano dei fantasmi spaventosi, sembrano dei cadaveri in sella alle moto. Chi ha dormito per 22 notti in media tre-quattro ore ogni volta e ha guidato per dodici ore, tredici, quattordici o anche più, in mezzo al deserto o sulle pericolose piste di terra battuta.

Vincere la Parigi-Dakar, dice Rahier, è più bello che conquistare un mondiale di cross. Picco: « I francesi non volevano un vincitore italiano ».

Sono stanchi al limite del crollo. Basta una notte, però, trascorsa in riva al mare, basta una dormita di cinque o sei ore, basta la quasi certezza di avercela fatta per rivedere, la mattina dopo, degli esseri nuovamente umani, gente che racconta volentieri e senza supponenza, almeno tra i motociclisti, la propria avventura. Gaston Rahier è un belga biondiccio, piccolo piccolo con baffetti né lunghi né corti, e simpatico: sembra l’Asterix dei fumetti. E’ lui che ha vinto, in sella alla mastodontica BMW. Ce l’ha fatta per il secondo anno consecutivo, acciuffando il primo posto proprio quando pareva inevitabilmente sconfitto dal nostro Franco Picco. «Vincere una Parigi-Dakar — ha detto Rahier, due volte campione del mondo di motocross — è più bello che vincere nel cross.

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Per arrivare su questa spiaggia devi aver sputato sangue. Qui più che la moto è l’uomo che vince, nel cross invece moto e assistenza hanno troppa importanza. Questa prova è bella perché qui tutti i motociclisti hanno lo stesso problema, cioè sono soli, nel deserto o in una foresta, perciò c’è solidarietà tra tutti, ci si aiuta, si cerca di stare insieme. Con Picco, che conoscevo dai tempi del cross, siamo davvero amici, abbiamo fatto molta strada insieme ». Insinuiamo che la BMW ufficiale di Rahier è molto cambiata rispetto a quella della precedente edizione. « Alla BMW — risponde Rahier — hanno lavorato molto sulla moto. Il motore oggi ha più coppia, il telaio migliore tenuta, le sospensioni lavorano in modo più efficace e il tutto è più leggero ». A dieci metri dal vincitore disteso sulla sabbia insieme con altri italiani ecco lo sconfitto, cioè Franco Picco.

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E’ con il compagno di squadra Marinoni, con i due piloti della Honda-Italia Balestrieri e Zanichelli, con il privato Gualini. Sono in attesa di affrontare l’ultima fatica, ma il vento rinfrescante e la visione dell’oceano li ha già trasformati rispetto alla sera precedente. Chiediamo a Picco dove ha perso la gara. « Direi — risponde il nostro interlocutore — di averla persa a Kiffa, il giorno che mi sono smarrito insieme con Rahier. E’ accaduto perché Auriol aveva perduto una pedana e si era fermato a sostituirla. Se avessi seguito Auriol, non mi sarei perso perché lui, la « volpe del deserto », non sbaglia mai strada, mentre Rahier ha meno senso di orientamento. Ma lì più del primo ho perso il secondo posto perché perdendoci abbiamo permesso agli altri di farsi sotto ».

Ma quand’è che aveva creduto di aver vinto? « A Tichit, — risponde Picco — quando hanno rifatto la classifica tre volte. La prima volta mi avevano dato 44 minuti di vantaggio su Rahier, la seconda il mio vantaggio s’era ridotto a 23 minuti e la terza m’avevano posto al secondo posto a meno di sette minuti. Io avevo la certezza di essere arrivato in tempo al controllo, invece, poi, hanno detto che non era così. Mi sono sentito per un attimo de-rubato della vittoria. Ho pensato che non fosse bello trattarmi così. Comunque, anche terzo va bene, via! Penso che ai francesi desse noia che a vincere fosse un italiano, uno, poi, arrivato per la prima vol-ta. Già arrivare a Dakar, credete, è una grossa soddisfazione. E’ tanto bello che quando ci saranno concomitanze tra gare di cross e corse africane io sceglierò l’Africa ».

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Allora questi francesi l’hanno fatta un po’ sporca? « A loro dava chiaramente fastidio — riprende Picco —che a vincere fosse un italiano. Quando nel Ténéré sono partito in testa hanno detto “chi parte davanti qui si perde” e invece sono arriva-to a soli 11 minuti da Rahier. Ho tenuto duro e allora tutti si sono stupiti e anche pre-occupati. Da lì in poi ci han-no tenuto d’occhio in modo particolare e abbiamo dovuto rinunciare all’assistenza poiché i nostri mezzi erano fuori gara e soltanto chi è ancora in lizza può fare assistenza. Una mano, però, la danno a tutti anche i mezzi fuori corsa, però, a noi è sta-to vietato più che agli altri. Meno male che ci hanno aiutato un po’ i francesi della Sonauto-Yamaha ».

Qual è stato il tratto più difficile?  « C’era il mito del deserto del Ténéré — dice Picco —ma il deserto della Mauritania è peggio: Qui, la sabbia è finissima, come acqua, sommerge tutto. E anche le piste dure delle tappe finali però sono state terribili. La terzultima tappa prevedeva l’attraversamento di una foresta seguendo, così era scritto sul “road-book”, le impronte e le piste degli animali, peccato soltanto che di piste là in mezzo ce ne saranno state ventimila e tutte strette per una moto, figurarsi per le auto e i camion ».

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In una gara del genere quali sono i problemi di navigazione e di orientamento? « Avevo partecipato al Rally dei Faraoni — afferma Picco — e avevo sbagliato e imparato, per cui avevo deciso di seguire il “road-book”, l’istinto e, se si poteva, Auriol, tutto qui ». L’illusione di farcela per Picco è finita dopo essere stato parecchio tempo al comando della gara, per i pilo-ti del team Honda-Italia, invece, molto prima. Balestrieri e Zanichelli hanno accusato guai tecnici e sfortuna, pur dimostrando, come piloti, di essere al livello dei migliori. Zanichelli è arrivato alla fine con il piede sinistro distrutto. Balestrieri è stato squalificato per essersi fatto trainare pochi chilometri prima di Dakar quando era stato costretto a finire in mare per evitare bambini indigeni troppo calorosi e l’organizzazione se ne è accorta ed è stata inflessibile così come è stato per Gagliotti e Gualini.

Tratto da Motociclismo Marzo 1985

DAKAR 1985 | il test della BMW vincitrice della Dakar

Fonte Motosprint

di Marco Maria Masetti

La mitica BMW, vincitrice di ben quattro edizioni della Parigi Dakar (’81.’83, ’84 e 85), è sicuramente per gli appassionati di questo tipo di gare il massimo a cui si possa aspirare, e lo è anche per noi, innamorati di moto e di grandi spazi fin da quando l’idea di correre nel Sahara era di pochi e bizzarri appassionati, ma già capace di fare batte-re il cuore quasi quanto (se non di più) una piega a 50 gradi o ad un nuovo record sul giro. Intorno alla G/S Paris-Dakar (o meglio al Project Paris-Dakar, sua definizione ufficiale) è fiorita una miriade di leggende che parlano di potenze inaudite e di scarsa guidabilità. Spesso, insomma, l’immaginazione ha trasceso ed ha fatto in questa «università del fuoristrada» un mito irraggiungibile sul quale 11 profano nulla o quasi doveva sapere.

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Ora, invece, grazie alla cortesia della BMW nelle persone dell’ingegner Pachernegg, del direttore sportivo della squadra Dietmar Beinhauer e all’intraprendenza del nostro collaboratore tedesco Oscar Wieland, siamo in grado di offrire un inedito test della moto che è arrivata per prima sulla spiaggia di Dakar il 22 gennaio. Il nostro compito non si è esaurito con il test; infatti abbiamo osservato millimetro per millimetro «il boxer più famoso del mondo» alla ricerca degli eventuali segreti e dei materiali speciali dei quali la gente parla per spiegare le ragioni del suo successo.

La sorpresa è stata indubbiamente grande: pochi i trucchi ed ancor meno i segreti, la G/S 1000 numero 101 si può tranquillamente prendere ad esempio per confermare che nelle gare africane la componente moto è’importante, ma non decisiva e che la vittoria di Gaston Rahier è frutto, oltreché della buon lavoro di chi ha realizzato la moto, della grande attenzione posta nei dettagli an-che più piccoli, nella grande organizzazione del team capitanato da Beinhauer e nella incredibile forza della sua prima guida che è riuscito a portare in fondo alla gara forse più dura del mondo una moto sicuramente pesante ed impegnati-va come la G/S 1000 attraverso quasi 14.000 chilometri.

Parlando di una moto così famosa e vincente, si pensa quasi automaticamente ad un mezzo iper sofisticato, dalle soluzioni complesse. Invece nulla di tutto questo: la G/S Paris-Dakar è; come vuole la scuola rallystica, una moto piuttosto convenzionale che sfrutta (in un cocktail veramente geniale) parti provenienti dalla serie. Il motore è, in pratica un ibrido che sfrutta parti del GS 80 e della R 100 RS. I cilindri sono della 1000 così come la testa ed i carburatori. I pistoni sono appositamente realizzati dalla Mahle con mantello più corto rispetto a quelli di serie e con tre fasce, mentre i cilindri sono di serie ma più corti e stretti (13,5 millimetri).

Alla lubrificazione provvedono i circa 3 litri di olio contenuti nella coppa e raffreddati attraverso un radiatore posto sotto il cannotto di sterzo. Il filtro 1985BMWR980GS5-videll’aria è di derivazione automobilistica (BMW 2002 TI) e sfrutta gli stessi condotti presenti sulla G/S 80. Lo scarico avviene, molto liberamente, attraverso due megafoni che ricevono i gas da due tubi compensati del diametro di 38 mm. L’accensione è elettronica (Bosch) con regolazione automatica dell’anticipo. Oltre al kick-starter è previsto un piccolo motorino d’avvia-mento che si avvale di una batteria a cellule secche ricaricabile, ma, solitamente, la GS viene avviata con l’aiuto di un mezzo d’assistenza (specie a motore freddo) oppure con il kick-starter dopo avere issato la moto sull’alto cavalletto centrale.

Il gruppo trasmissione-cambio si avvale del classico cinque marce e la frizione monodisco a secco, potenziata però rispetto alla moto di serie. Le modifiche più importanti riguardano i condotti per l’olio che sono stati rivisti per compensare la diversa inclinazione cui è costretto il motore, rispetto a quello della G/S 80 cui deriva. Molto classica è anche la parte ciclistica, tipicamente BMW, con un telaio in tubo d’acciaio al Cr-Mo 25 con configurazione a doppia culla continua con ampi rinforzi nella zona (evidentemente sollecitatissima) del cannotto di sterzo.

La parte anteriore ricalca da vicino la struttura della GS 80 con le differenze nella parte posteriore del telaio che è imbullonata come sulle moto da cross per agevolare il lavoro dei meccanici e per rendere più facile la riparazione dopo eventuali cadute, Anche la sospensione posteriore presenta notevoli differenze rispetto alla serie, visto che troviamo un convenzionale forcellone oscillante che sfrutta nel lato destro (ove è alloggiato l’albero di trasmissione) il fodero montato sulla G/S 80, debitamente allungato fino a 510 mm. Sul lato sinistro c’è un braccio convenzionale a sezione ovale con fazzoletti di rinforzo in lamiera.

1985BMWR980GS2-viSu questo particolare forcellone oscillante trovano posto due unità a gas della White Power di derivazione crossistica che offrono una escursione (notevole per una moto con trasmissione ad albero) di ben 280 mm. La scelta di tale tipo di sospensione è dettata principalmente dalla grande semplicità e dalla possibilità (non sempre remota in questo tipo di gare) di dover rientrare con un solo ammortizzatore dopo il cedimento dell’altra unità. L’avantreno è tutto made in Italy con una forcella teleidraulica Marzocchi di estrazione crossistica con steli da 41 mm. di diametro e che offre 300 mm. di corsa.

L’impianto frenante è di tipo misto con un disco Brembo da 260 mm montato anteriormente e dotato di doppia pinza flottante ed un tamburo BMW da 200 mm posteriormente azionato mediante cavo flessibile. I cerchi sono Akront in alluminio senza bordatura, di tipo crossistico. Passando alle sovrastrutture ed alla strumentazione troviamo un autentico «manuale di razionalità» frutto della grande esperienza accumulata dalla casa in questi anni. Il serbatoio principale ha una capacità di 50 litri ed è costituito da due gusci di kevlar (scelta intelligente fatta per evitare di perdere tutto il carburante in caso di rottura del serbatoio conseguente ad una caduta) riempiti di una speciale schiuma sintetica con funzioni antisciacquo che occupa solo 1’1% della capacità del serbatoio.

Sotto la sella, rivestita in pelle scamosciata, trova posto un secondo serbatoio, sempre in kevlar, con capacità di 10 litri. Ad eccezione del serbatoio, 1985bmwparisdakar2realizzato in Germania da un’azienda specializzata, tutte le parti carrozzate sono dovute al lavoro dell’Acerbis che ha fornito parafanghi e capolino su disegno esclusivo. Da notare che al capolino viene applicato il piccolo parabrezza trasparente della K 100 che viene montato per offrire ai piloti riparo aerodinamico nei trasferimenti su strada o sulle piste più veloci. I comandi a piede sono praticamente gli stessi del G/S 80, come Io sono anche le pedane.

Le differenze maggiori le riscontriamo al manubrio, un Rentahl anodizzato oro sul quale sono montate leve e comando gas della Magura (modello Duo) ed una serie di accessori nati appositamente per l’impiego rallystico come il contachilometri multifunzione BMW Motometer e le due scatolette con pomello dove scorrono le note del road book. Al centro c’è una bussola di derivazione nautica. La scatola principale è a sinistra, mentre a destra trova posto un’analoga struttura, più piccola dove Rahier legge le note principali da lui stesso redatte. Oltre a questo, sull’estremità sinistra del manubrio ci sono i tasti per lettore di cassette (Walkman Sony) che serve a Gaston per riascoltare in corsa le note del briefing mattutino di Sabine ed eventualmente un po’ di musica.

1985BMWR980GS4-vi Completano il quadro dei comandi al cruscotto, l’indicatore di temperatura dell’olio e la spia della pressione nel circuito di lubrificazione. L’illuminazione è affidata ad un singolo faro con diametro di 135 mm derivato da quello di serie e protetto da una grata metallica. Gli attrezzi sono contenuti in una borsa posta sul serbatoio dotata di scomparti (fa parte della serie di accessori BMW), mentre sul portapacchi posteriore c’è una borsa in pelle che contiene tutto il necessario per una Parigi-Dakar; sulla moto di Rahier abbiamo trovato una confezione di olio Elf, leve per i pneumatici, le fiale di aria BMW, 2 candele Bosch al platino, 2 camere d’aria, tubazioni del freno anteriore, cavi, tip-top oltre al canonico nastro telato e l’immancabile filo di ferro. C’è anche una scatoletta di medicinali con crema antiscottatura, Aspirina, com-presse di vitamina C. antibiotici, integratori salini, cerotti di varie misure, disinfettante esterno, oltre alle utili pastiglie per potabilizzare l’acqua e un farmaco antidiarrea

COME VA – Sono le ore 9 di una freddissima mattina di marzo, quando dai sotterranei della BMW Motorrad GMBH di Monaco di Baviera esce una 520 guidata da un meccanico (mi assisterà durante il test) che traina su di un carrello la numero 101, vera regina d’Africa, che porta ancora i segni della vittoriosa cavalcata. Il luogo scelto per la prova è un terreno, dotato di ostacoli artificiali, nelle immediate vicinanze di Monaco di Baviera dove, solitamente, si allenano i carristi dell’esercito tedesco. Il freddo è veramente pungente come testimoniano le numerose pozze d’acqua ricoperte da uno strato di ghiaccio.

Il piccolo meccanico (lui dichiara di essere sette centimetri più basso di Gaston Rahier) mi riempie di benzina il serbatoio in Kevlar da 10 litri posto sotto la sella, risparmiandomi i 50 litri che normalmente vengono posti nel serbatoio principale, che innalzerebbero di parecchio il già alto baricentro della moto, rendendola sicuramente difficile da guidare tra i saliscendi ghiaiosi della pista di prova. Da fermo la G/S Paris-Dakar fa realmente impressione con la sua mole bianco-arancio fluorescente dominata dal grosso e panciuto serbatoio.

Parlando di dimensioni non si può che valutare la grinta ed il coraggio di Gaston che corre (e vince) in sella ad una moto che va appena abbondante a me che sono più alto di lui di circa 20 centimetri (appoggio per terra entrambi i piedi a gambe tese) e che pesa con i due serbatoi pieni ed in assetto di gara 228 chilogrammi. L’avviamento, a motore freddo, viene fatto collegandosi al motore della vettura, pochi istanti e l’aria ghiacciata del campo prova risuona del frastuono che esce dai tromboni minacciosi della G/S. Nonostante i 14.000 chilometri abbiano lasciato qualche segno sulla carrozzeria e che la ruggine dovuta all’acqua dell’Atlantico affiori su alcune parti, la moto è praticamente nelle stesse condizioni nelle quali è giunta a Dakar: è stato fatto solo un normale controllo a particolari elettrici, oltre ad un cambio dell’olio e del filtro.

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Di nuovo il silenzio, il boxer tace: voglio provare l’avviamento standard, quello a pedale, per capire al meglio ciò che tutti i giorni faceva Rahier. Si inizia mettendo la G/S sul cavalletto centrale (impresa veramente difficile che vede il successo solo dopo un lavoro d’équipe fatto da due persone), dopodiché si appoggia il piede sinistro sul tubo paracolpi, mentre con il destro si scalcia sulla leva vincendo la resistenza dei due grossi pistoni e contemporaneamente a-prendo di un filo le valvole dei carburatori, ruotando il Magura Duo in alluminio. Poche pedalate ed il motore parte, ma non è certamente un’impresa facile e richiede una certa maestria. Inutile dire che la mente corre subito a Gaston che tenta, sulla sabbia, di avviare la G/S con una temperatura di 35°, dopo una caduta.

Il motore della G/S 1000 Paris-Dakar, a destra, sfrutta parti di serie derivate dalla G/S 80, come il carter motore, sul quale vengono montati cilindri, teste e carburatori della 1000 stradale ed aver percorso più di 500 chilometri di pista! La posizione in sella è perfetta, molto razionale, senza avere le gambe in posizione innaturale (e cioè troppo aperte) nonostante l’ingombro del serbatoio. Temevo che i comandi a piede fossero regolati per gli stivali di Rahier ma non è cosi: tutto sembra fatto su misura per piloti di taglia maggiore come lo sono, ad esempio, i suoi compagni Hau e Loiseax.

Quindi è ottimale anche per me, con le sole gambe un po’ troppo flesse a causa della ridotta imbottitura della sella della numero 101 rispetto alle altre due G/S affidate al francese ed al tedesco. Bastano meno di 2000 giri per partire veloci, e con buona agilità, una volta rilasciata la morbidissima frizione. Infatti appena è in movimento i chili sparisco-no, come è normale su di una moto con i pesi ragionevolmente concentrati in basso, ma rimane pur sempre qualcosa da prendere con la dovuta cautela, specie nei primi momenti.

Questo lo scopro su di una stradina sterrata, abbastanza simile alle piste (migliori) che si incontrano in Africa. Una rapida occhiata, la strada è libera, lo spazio più che sufficiente, niente di meglio, quindi, per poter scatenare tutti i cavalli del boxer bavarese. Seconda, terza e quarta a gas aperto; pratica-mente si vola stringendo tra le mani con forza, ma senza apprensione, il manubrio e godendosi la velocità, sicuramente superiore ai 130 all’ora, con la certezza di una grande direzionalità e precisione dell’avantreno. Sto quasi per abbandonare la tensione che mi aveva accompagnato nei primi metri del test pensando a quanto sia facile condurre una fuoristrada del genere quando, forse lasciate dai tank dell’esercito tedesco, vedo davanti a me una serie di avvallamenti in rapidissima successione.

Non c’è tempo per rallentare, mi stringo al manubrio per contenere gli effetti di tale incontro. In un attimo il retrotreno inizia a saltare e mi ritrovo a più di cento all’ora in sella ad un toro infuriato. Quando, quasi miracolosamente, riesco a superare indenne questo momentaccio penso di nuovo (e sempre con maggior ammirazione) a Gaston ed ai suoi, quotidiani miracoli sulle piste africane. Cerco anche la soddisfazione personale di qualche impennata, ma sul terreno pesante la ruota posteriore slitta anche per il tiro veramente elefantino del motore. Quando il Michelin Desert decide di fare del tutto presa, l’avantreno si solleva così imperiosamente da farmi sbattere con violenza la mentoniera del casco contro il road-book e la bussola.

Ripresomi dal KO capisco, finalmente, che una moto di tale peso e potenza va condotta in fuoristrada con dolcezza sfruttando il tiro del motore e la sua perfetta erogazione a tutti i règimi senza cercare soluzioni di forza. Così facendo si scoprono le grandi doti della G/S che condotta lontano dal limite rivela una facilità di guida ed una dolcezza veramente insospettabili in un «mostro» del genere. Le sospensioni lavorano molto bene, con grande omogeneità soprattutto, ed è possibile passare in assorbimento molti ostacoli, magari in seconda o in terza con una eccitante presenza di cavalli anche ai règimi più bassi e tenendo inserite le marce alte.

Il nostro tester nel corso della fantastica prova sulla pista dell’esercito nei pressi di Monaco di Baviera. La moto si è rivelata confortevole e facilmente governabile a patto di non strafare e di stare lontano dalle alte velocità

Usando con coerenza il comando del gas, anche le manovre a bassa velocità risultano facili, ma bisogna fare attenzione a non perdere del tutto il dinamismo pena il rischio di ritrovarsi in una curvetta, magari in contropendenza con 200 chili sdraiati per terra. Si pùò anche saltare con la G/S, ed in buona sicurezza, rimanendo sorpresi per la naturalezza con la quale la sua mole si tuffa in salti in discesa atterrando sempre secondo i desideri del pilota che non ha che da bilanciare con poco sforzo il mezzo quasi un 125. Mi viene subito in mente il confronto con l’allora debuttante Cagiva Elefant che provai sulla spiaggia di Agadir alla conclusione del Rally de l’Atlas.

Dopo un’ora di prova la G/S ci è letteralmente «entrata nel sangue» e anche il timore reverenziale è del tutto sparito, apprezziamo così le ottime doti della frizione e del cambio (con l’eccezione di una tendenza a sfollare tra prima e seconda) ed il positivo lavoro di freni e sospensioni che debbono indubbiamente impegnarsi a fondo a causa del peso. A questo proposito tutti i nostri complimenti vanno a Marzocchi e Brembo che hanno realizzato, rispettivamente la forcella ed il freno anteriore. A conclusione del test riproviamo con maggior fiducia, le cunette ed i passaggi che solo un’ora prima mi avevano messo in difficoltà: tutto meglio ora, ed inizia il divertimento, quello allo stato puro che ti fa dimenticare della fame e del freddo e di chi ti aspetta con pazienza oramai da due ore con una temperatura sempre ferma a zero gradi centigradi. Trovo un altro tratto pianeggiante e riprovo a scatenare tutta la potenza, ma lo spazio, in Germania, per questa moto è poco: ci vuole veramente il Sahara.

DAKAR 1986 | Scintille in casa BMW!

CAO – Il legame fra il belga Gaston Rahier e la BMW. che ha fruttato due vittorie (moto) nelle ultime due edizioni della Paris-Dakar, si sta

La moto di Rahier doveva essere necessariamente avviata da un compagno

La moto di Rahier doveva essere necessariamente avviata da un compagno

per sciogliere. E non senza polemiche. La scintilla é scoccata mercoledi 15 gennaio. mentre il rally stava trasferendosi da Niamey a Gao.

Nel corso di una prova speciale lunga e tormentata. Rahier ha forato la ruota anteriore. Ha atteso il compagno di squadra Hau e gli ha fatto cenno di fermarsi affinché lui secondo pilota del team cedesse la ruota al suo caposquadra. Ma Hau, che in classifica generale era in quel momento ben piazzato. si è ben guardato dall’obbedire.

Giunto alla fine della p.s. l’inferocito Rahier ha sparato a zero su Hau e sul direttore sportivo della BMW. Beinhauer Sono due incompetenti – ha detto Rahier – e Hau non vincerà mai una Paris-Dakar perché è ingenuo come un bambino, tutto quel che sa fare è seguire chi è più esperto di lui nella navigazione, approfittare cioè della fatica altrui. Questa è la mia ultima gara con la BMW.

La vicenda ha un sapore un po’ ironico perché le accuse rivolte da Rahier ad Hau sono quasi le stesse che l’ex pilota BMW. Hubert Auriol ormai in forza alla Cagiva ha espresso proprio nei confronti di Rahier. Chi la fa l’aspetti, insomma. Ma Rahier ha anche trovato un modo più sottile per vendicarsi: il giorno successivo durante la speciale ha rallentato fino a farsi raggiungere dal compagno di squadra, poi ad un bivio ha portato deliberatamente fuori strada il tedesco per una settantina di chilometri facendo perdere a se stesso e ad Hau una quarantina di minuti.

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Quindi si è fermato, ha poggiato la mano destra sull’avambraccio sinistro e con questo gesto tipicamente napoletano (gesto dell’ombrello ndr.) rivolto al compagno ha aperto ufficialmente la guerra all’interno della squadra. Poi ha subito preso contatti con la Suzuki interessata a entrare in forze nella Paris- Dakar nel 1987.

Protar BMW 1000 Dakar 1985

Per celebrare la corsa più famosa del mondo, abbiamo allora pensato di ripercorrere la storia di questa gara, gettando uno sguardo ai tempi in cui arrivare sulle sponde del lago di Dakar era già un’impresa e il podio era riservato a pochi eletti. Cercando tra le proposte offerte dal mondo del modellismo, la scelta è caduta su una moto che ha vinto quattro volte questa gara, la BMW 1000. Guidata vittoriosamente nell’81 e nel ’83 da Hubert Auriol, ha bissato i successi con Gaston Rahier nell’84 e nell’85.

Il modello da noi esaminato è la riproduzione della Bmw 1000 con cui Rahier corse nell’85, realizzato in scala 1:9 dalla Protar. Numerosi i particolari che compongono questo modello, stampati in tre colori (bianco, grigio e cromato), con tagli di pelle bianca e nera, un taglio di gomma adesiva. numerose viti, molle e, come ultimo particolare, un pezzo di rete metallica. Iniziamo il montaggio dalle ruote a raggi cromate che ospitano delle gomme tasselate sulle quali passiamo della carta smerigliata fine per togliere il lucido della stampa e creare l’effetto-usura nella gomma.

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Il motore, il classico boxer che per tanti anni ha caratterizzato i modelli BMW, si presenta ben dettagliato, con numerosi particolari cromati come la farfalla per l’asta dell’olio e la pompa dell’olio. I cilindri constano di ben 22 pezzi (ogni aletta è un particolare che viene avvitato al carter) e tra questi la molla, da realizzare su misura, che sorregge lo scarico. Si passa ora al montaggio dei carburatori, due cromatissimi Bing con relativo filtro per la benzina. Di bell’effetto il tubo per la benzina realizzato in materiale trasparente.

Il telaio, una struttura in tubi tondi a doppia culla, sorregge il motore tramite quattro viti e gli accessori che lo completano sono il supporto per le bobine, le borracce per l’acqua e il radiatore per l’olio posizionato anteriormente sotto il cannotto di sterzo. Dopo aver realizzato a misura altre due molle, vengono montate le marmitte complete e quindi le protezioni in tubo per i cilindri. Le sospensioni non presentano particolari difficoltà, poichè questo modello era dotato di trasmissione a cardano. Gli ammortizzatori posteriori, con serbatoio separato, necessitano della colorazione delle molle; a tale scopo si consiglia di pulire la molla con diluente per facilitare la tenuta della vernice.

Il parafango anteriore presenta una finestra attraverso la quale passa l’aria per il raffreddamento del radiatore dell’olio, la rete metallica va tagliata a misura e inserita dalla parte interna. Il manubrio, fissato alla piastra superiore della forcella con quattro viti, è stato oggetto di modifiche da parte nostra. Abbiamo infatti aggiunto una borsina porta attrezzi fissata al traversino superiore del manubrio e un road-book manuale con comando posto sulla manopola di sinistra. Una ulteriore borraccia è stata sistemata all’interno del cupolino che sorregge il fanale. Il serbatoio, realizzato in quattro parti , si completa con due tappi cromati.

La sella va rivestita nella parte superiore con la gomma opportunamente sagomata, e la parte posteriore con pelle bianca. Il parafango posteriore, con relative tabelle e fanale, necessita di un foro in prossimità del fissaggio al telaio facilmente realizzabile seguendo le istruzioni. A questo punto, armati di forbici, bisogna improvvisarsi tapezzieri e, seguendo la istruzioni, realizzare con la pelle nera in dotazione la borsa da fissare sul serbatoio con la finestra trasparente per contenere le note di gara, e la borsa da fissare al portapacchi posteriore. Unica accortezza è quella di usare una lama nuova per tagliare le cinghie con cui realizzare i fissaggi, poichè la misura da tagliare (1.5mm) deve essere perfetta per garantire il passaggio della cinghia nella fibbia. Una mano di lucido per proteggere le decalcomanie… dalla sabbia e la BMW 1000 Parigi-Dakar è pronta.
Testo, foto e modellino di Massimo Moretti.

 

Gaston e Hubert Dakar 1984

Autentici mattatori dell’edizione 1984, Gaston Rahier e Hubert Auriol

Suzuki DRZ 750 SR43 Dakar 1991

Per Franco Picco avrebbe dovuto essere la Dakar della rivincita dopo i problemi della scorsa edizione, invece non è nemmeno iniziata: il 23 dicembre Franco Picco è caduto mentre stava allenandosi sul campo cross di Arzignano in sella ad una Suzuki 250, per il bloccaggio della ruota anteriore. Sbalzato avanti e dopo aver effettuato una capriola in aria è ricaduto battendo violentemente il bacino.
Ricoverato presso l’ospedale di Valdagno (Vi) gli sono stati riscontrati una frattura alla sinfisi pubica ed un’incrinatura all’osso sacro, danni non gravissimi ma che comunque lo costringono ad almeno due mesi di immobilità, il Team di Gaston Rahier ha dovuto così rinunciare al suo pilota di punta per l’appuntamento più importante della stagione. Franco Picco, considerando che il suo contratto con la Suzuki scade a luglio, è comunque intenzionato a tornare in sella per poter partecipare al Rally di Tunisia.

SUZUKI DRZ 750 – Di base è rimasta la stessa moto dell’anno scorso, attualmente l’unica monocilindrica competitiva a livello di classifica assoluta anche se in passato non troppo forte in termini di affidabilità. Proprio per questo si è lavorato parecchio sul motore, un quattro tempi con raffredda-mento misto aria-olio a quattro valvole, doppia accensione elettronica ed alimentazione tramite due carburatori Mikuni shot. Nonostante la denominazione DRZ 750 la cilindrata effettiva è di 830 cm. una soluzione alla quale si è arrivati dopo numerose prove. Il cambio resta a cinque rapporti e la frizione è in bagno d’olio.
La Suzuki, che per i rally si è affidata totalmente alla squadra gestita da Rahier, ha rinnovato anche il telaio: un monoculla sdoppiata con sospensione posteriore Full Floater modificata nel sistema dei leveraggi, forcella Kayaba e freni a disco davanti e dietro; non si è comunque trascurato il discorso dell’aerodinamica e del comfort, che ha portato a ridisegnare il gruppo serbatoi, due anteriori ed uno posteriore per un totale di 62 litri, ed il cupolino. Numerosi gli alleggerimenti che hanno portato ad un peso a secco di 154 kg, spinti da un motore che eroga una potenza massima dichiarata di 71 CV a 7.000 giri.

62 – GASTON RAHIER Il suo caratteraccio è allo stesso tempo il suo miglior pregio ed il suo peggior difetto. Gli ha causato problemi di convivenza con alcuni piloti della sua squadra ma allo stesso tempo gli ha consentito di raccogliere risultati eccezionali. Tre mondiali cross 125, due Parigi-Dakar e tre Rally dei Faraoni non sono che una piccola parte di un curriculum sportivo che ha pochi eguali.
Titolare del team che porta il suo nome e che fa correre le Suzuki ufficiali, a 43 anni suonati Rahier è tuttora un uomo da tenere d’occhio, in grado di aggiudicarsi un paio di tappe anche nella precedente edizione della Dakar e di ottenere buoni piazzamenti.

64 – JEAN-CHRISTOPHE WAGNER Eterna assistenza veloce della squadra, ha sempre svolto diligentemente il suo compito e questo talvolta ha penalizzato le sue prestazioni. Però ha ottenuto buoni piazzamenti di quando in quando, dimostrando che Rahier ha avuto buon fiuto nell’assicurarsi la presenza in squadra del ventiduenne francese quando ancora non aveva disputato altro che corse nazionali.

65 – AKIRA WATANARE Non è un nome nuovo per gli appassionati di cross, che lo ricordano campione del mondo cross ’78 e protagonista anche nelle stagioni successive. Tornato in Giappone nell’84, non ha mai smesso di correre in fuoristrada passando pero all’enduro dove ha vinto più volte il titolo nazionale. Pilota benvoluto dalla Suzuki, a 36 anni tenta la carta dei rally è però praticamente al debutto, avendo partecipato solo all’ultima edizione del Faraoni.

Della squadra fanno parte altri quattro uomini: lo svizzero Andy Brunner l’esperto francese Raymond Loizeaux e due italiani che anche lo scorso armo raggiunsero in buona posizone la spiaggia di Dakar, Franco Zotti e Giampaolo Aluigi. Pur correndo col Team Rahier ed in sella a delle Suzuki non sono ufficiali: le loro moto sono derivate dalla serie, ma ricevono comunque una certa assistenza dalla formazione francese, compatibilmente con le esigenze dei quattro piloti di punta.

Ndr: non fu una Dakar particolarmente gloriosa per il Team Suzuki, Rahier si classificò solo al 13° posto, Brunner 17°, Watanabe 23°, Loizeaux 29°.

Fonte Motosprint
Si ringrazia per le foto Stefan Heßler 

Cover Magazine Moto Journal 1985

MOTO journal N°685 del 24 gennaio 1985

Suzuki DR 800 Z BIG 1989

Anche la gialla Suzuki di Gaston Rahier è praticamente uguale alla moto già vista nell’edizione della Dakar 1988. I più sostanziosi interventi riguardano il motore, maggiorato fino a 810 cc aumentato di potenza ed addolcito contemporaneamente nell’erogazione per migliorarne il comportamento sin dalle minime aperture dell’acceleratore.

Carter in magnesio, nuovi carburatori e nuovo sistema di filtro d’aria incrementano la respirazione del propulsore. Inalterato l’esclusivo sistema di raffreddamento SACS ad aria più olio, con grande circolazione del lubrificante nella testa e nel cilindro.
La distribuzione è monoalbero con quattro valvole e doppia accensione per accelerare la propagazione del fronte di fiamma. Cambio cinque marce e frizione in bagno d’olio. La potenza supera i 65 cavalli con una coppia sostanziosa di ben 8,7 Kgm sin dai bassi regimi. 

Il serbatoio principale è realizzato in alluminio come quelli posteriori, per contere il più possibile il peso, ora ridotto a 151 Kg a secco secondo le dichiarazioni ufficiali.

La linea simile alla DR Big normalmente in vendita, è caratterizzata dal pronunciato “becco”, carenato per migliorare l’efficienza aerodinamica.

Il telaio è monotrave in acciaio al cromo-molibdeno con culla sdoppiata sotto il motore con una nuova geometria e disposizione dei pesi per migliorare la guidabilità, per altro già molto buona.

La geometria della sospensione posteriore è stata rivista per variare la progressione dell’ammortizzatore e la forcella è stata sostituita con un’altra maggiormente dimensionata, di più ampia escursione e ricavata dal “pieno”. Il serbatoio supplementare di destra è stato ridotto nelle dimensioni per alloggiare il lungo terminale di scarico realizzato completamente in titanio.

Gaston Rahier concluderà la Dakar 1989 all’undicesimo posto, Charbonnier 14°.