Medardo e la sfida ai prototipi alla Dakar 1991
Le robuste protezioni della giacca da gara fanno comodo soprattutto dopo l’arrivo. La schiena di Luigino Medardo è messa a dura prova da una tempesta di pacche amichevoli, un turbine di congratulazioni che lo travolge lasciandolo senza fiato. Grazie a lui la Gilera ha vinto ancora nella categoria silhouette, ha conquistato un successo di tappa a Tumu ed uno nella marathon Agadez-Gao. Ma soprattutto ha lottato per quasi tutta la gara con i prototipi, moto costruite su misura per la Dakar e di cilindrata ben superiore ai 558 cc della sua RC 600, modificata solo in alcuni particolari.
Più che una vittoria, un trionfo. Non è questione di campanilismo: da tempo l’accoppiata tutta italiana non sbaglia un colpo, tanto che il successo nella silhouette non è nemmeno motivo di discussione. Però questa volta Medardo ed il suo compagno di squadra Mandelli hanno superato se stessi. Il settimo posto assoluto di punta, ad un’ora e mezza dal vincitore, è più di quanto si potesse sperare. Ma lui non è d’accordo.
«A dire la verità avremmo voluto entrare nei primi cinque — protesta sorridendo — e penso proprio che avremmo potuto farcela, era alla nostra portata. Però avremmo dovuto marciare sempre regolarmente, senza problemi. Invece ho rotto l’ammortizzatore nella parte finale della tappa Ghadames-Idri, e siccome si trattava di una marathon non ho potuto cambiarlo che il giorno dopo, sulla pista, perdendo un’ora.
A Dirkou, invece, si è scaricata la batteria: un inconveniente stupido che mi è costato mezz’ora, perché la moto non voleva saperne di riaccendersi dopo il rifornimento. Sono banalità, verificatesi perché non abbiamo avuto molto tempo per lavorare sulla moto. Però nel complesso è andata più che bene».
Di questo si può essere sicuri. Ben poche volte il sanguigno Gianni Perini, team manager, ha avuto motivo di agitarsi per i ritardi dei suoi uomini. Una fortuna, vista l’intensità con cui vive le vicende delle sue moto, disperandosi ed esultando come se sulla sella ci fosse lui. Quando a Ghat, dopo appena un paio di giorni, ha visto che nessuno dei suoi tre uomini arrivava, ha rischiato l’infarto. Invece si erano fermati assieme per sostituire l’ammortizzatore rotto da Medardo con quello lasciato lungo la pista da una macchina fuori gara.
Un’astuzia fuori regolamento per non aspettare il camion di assistenza, visto che non era stato possibile rimediare al guaio la sera trattandosi di una tappa marathon, quelle in cui è vietata l’assistenza al bivacco. Nonostante la paura passata, il ricordo migliore di Medardo è legato proprio alle tappe marathon.
«Sono molto difficili, basta un nulla per mandare tutto all’aria. Però per me il ricordo più bello di questa Dakar è proprio la marathon Agadez-Gao, dove ho vinto la classifica complessiva delle due giornate. Sono state due tappe dure, molto difficili. Io ho fatto tutto alla perfezione, ed ho vinto. Una soddisfazione enorme».
Una delle tante tappe ormai, visto che Medardo e la Gilera continuano a monopolizzare la categoria. Se dominano, però, non è per mancanza di avversari.
«La Cagiva ha provato a far correre una moto nella silhouette al Rally dei Faraoni, ma ha rinunciato a ripetere l’esperimento alla Dakar. Anche la Suzuki ha provato nella nostra categoria, e non ce l’ha fatta, così come il Team Honda Europa con le Africa Twin. Credo proprio che ci voglia una moto molto, ma molto competitiva per battere la Gilera. C’erano piloti agguerritissimi, eppure abbiamo lottato più volte con i prototipi».
Medardo modestissimo, finge di dimenticare se stesso. Bisogna chiamarlo direttamente in causa per avere la sua opinione in proposito.
«Il pilota? È già abbastanza vecchio, con 31 anni e diverse Parigi-Dakar sulle spalle. Non basta un giovane per batterlo». La questione però ora si pone nel senso opposto: è Medardo che dovrà andare a battere gli altri, visto che il prossimo anno la Gilera debutterà tra i prototipi.
«Penso che si correrà ancora anche nella silhouette, ma io sarò sul prototipo. So che sarà un impegno difficile, ma parto per vincere: diversamente non avrei ambizioni. Un pilota deve avere sempre un obiettivo ben preciso soprattutto in queste gare così dure. Altrimenti non si trova la forza per andare avanti».
Se c’è una cosa che a Medardo non è mai mancata è proprio la determinazione, la volontà di arrivare a tutti i costi. Ci riuscì lo scorso anno con una gamba dolorante per una distorsione, ce l’ha fatta anche questa volta, con una mano gonfia per una caduta.
«È stato proprio alla fine della tappa di Kiffa, a cinque chilometri dall’arrivo. C’era una buca segnalata sul road book, ma c’era anche tanta polvere. L’ho individuata solo quando ci sono arrivato sopra e sono caduto». Un peccato veniale; l’unico di un pilota che oltre ad andare forte sbaglia pochissimo. Un pilota che per la Gilera vale oro. E pensare che quando Perini lo contattò offrendogli il posto in squadra, Medardo stava meditando propositi di ritiro…
Fonte motosprint