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Dakar 1986 | Marc e Philippe Joineau e la Suzuki ritrovata

Di Marc Joineau

Cercherò di raccontarvi una delle storie più incredibili e curiose della Dakar ’86 e probabilmente di tutte le Dakar, quella della tragica scomparsa di Thierry Sabine e dei suoi compagni. Ero in corsa con mio fratello Philippe su due Suzuki DR 600 del Team Suzuki France e dopo quanto capitato in quel triste 14 gennaio non me la sentivo più di correre, avevo deciso di abbandonare la gara. Il team non era molto contento sulla mia decisione, ma ritengo tuttora che la mia scelta fu quella giusta.

Mio fratello Philippe invece era ancora in gara, si stava difendendo bene rientrando costantemente nelle prime 15 posizioni. Mi sembra di ricordare che il fatto che vi sto per raccontare, sia capitato durante la speciale di Labé – Kayes di circa 600 km, tappa in cui il destino decise di giocare con lui. Questa speciale prevedeva passaggi in mezzo alla boscaglia fitta con punti già lenti che prevedevano anche piccoli guadi da attraversare.

P Joineau 1986

All’uscita di uno di questi guadi la moto di Philippe si spense non dando più segni vitali. Lui era un buon meccanico e con l’aiuto di Gilles Salvador, anch’egli su una Suzuki si misero a smontarla per capire cosa non funzionasse più. La diagnosi fu  impietosa e senza appello: l’alternatore lo aveva abbandonato, non c’era più modo di ripartire, la gara era finita. Nel momento di massimo scoramento e di presa coscienza che l’avventura era finita, ad un tratto un ragazzotto locale si avvicinò e gli disse: “nel mio villaggio c’è una moto che sembra uguale alla tua, addirittura ha lo stesso numero di gara! Vieni con me, è a casa di mio cugino che fa il poliziotto!”

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Gilles e Philippe si guardarono e sorrisero, chiedendosi se per caso non si trattasse di uno scherzo o peggio un tranello per poi derubarli. Non potevano certo immaginare che erano finiti in panne a soli 2 km da dove Philippe si era fermato l’anno precedente. Gilles caricò il ragazzo in sella con sé fino alla stazione di polizia da suo cugino. Non potete immaginare la sorpresa, quando Gilles vide che effettivamente quella era la moto di Philippe! L’anno prima mio fratello era stato investito da un’auto e aveva riportato la frattura della spalla e della clavicola. Prelevato e curato dall’équipe medica, chiaramente dovette abbandonare la sua moto sul posto dell’incidente perdendone le tracce definitivamente.

Marc Joineau, decise di ritirarsi dopo la morte di Sabine

Marc Joineau, decise di ritirarsi dopo la morte di Sabine

Incredibile anche solo pensarlo un’epilogo del genere. Finalmente sembrava che tutto volgesse verso una soluzione a quel problema che fino a poco prima sembra va insormontabile. Ma non fu così semplice. Il gendarme infatti, con la meticolosità e la puntigliosità che imponeva il suo ruolo (e probabilmente un’offerta danarosa adeguata), volle una prova che Philippe fosse effettivamente il proprietario della moto che sostava da ormai un’anno nella sua rimessa. Per fortuna il ragazzo, che si era proposto come intermediario, si impegnò per confermare la loro buona fede e la situazione si sbloccò con la sua parola data come garanzia.

Philippe Joineau e la sua Suzuki DR 600

Philippe Joineau e la sua Suzuki DR 600

Ci accompagnarono dove si trovava la moto. Incredibile era proprio lei, la moto di Philippe con cui corse la Dakar 1985, ormai priva di serbatoio, ruote e sella, ma con un’alternatore perfettamente funzionante. Dopo una prima fase di stupore e incredulità Gilles si mise a lavorare con gli attrezzi. Dopo un rapido smontaggio, tornò da Philippe, con l’alternatore di ricambio, che fu rimontato velocemente sulla moto. Una pedalata, poi un’altra e un’altra ancora e la Suzuki riprende a rombare borbottando orgogliosamente. Un saluto veloce al ragazzo, adeguatamente premiato, i due riusciranno a riprendere la gara senza perdere troppo tempo e rimanere in corsa.

Una storia incredibile, che ripensandoci ancora oggi fa sorridere.

Con una macchina della nostra assistenza fuori gara decisi di tornare in quel villaggio con i miei due compagni di strada Pierre Mesplombs e Jean-Marie Bonnot per cercare di recuperare la moto o meglio, ciò che ne rimaneva.

E qui inizia un’altra avventura, disseminata di insidie, che non sto a raccontarvi. Ricordo ancora di aver condiviso un buon pollo con i gendarmi ben felici di trattare con noi. La moto fu recuperata parzialmente smontata, e caricata sul retro della nostra auto. Ci unimmo al rally a Saint-Louis, dove Philippe stava ancora correndo, sempre con la mano ingessata e un polso fratturato, dopo una brutta caduta avvenuto in una tappa di collegamento.

Joineau Philippe 1986

Dopo 15000 km la Dakar era finalmente arrivata alla sua conclusione. Philippe si classificò 16°, risultato incredibile soprattutto considerate nelle sue condizioni fisiche, Gilles 25°. Faccio presente, per farvi capire la durezza di quell’edizione, che solo 29 indomiti guerrieri in moto arrivarono al traguardo. Sui loro volti c’era impresso un misto di tristezza e soddisfazione per il ricordo di Sabine e compagni che non erano li ad aspettarli. Il traguardo di quella durissima edizione aveva suscitato emozioni discordanti nell’animo di tutti gli addetti ai lavori.

Racconto tratto, tradotto e interpretato dalla redazione parosdakar.it su post tratto dalla pagina fb Dakardantan

DAKAR 1994 | La Suzuki di Francru al cospetto di Topolino

Oggi parliamo di un esemplare che, guidato da Gilles Francru, ha corso la Parigi – Dakar del 1994.  L’unicità dell’edizione del 1994 della Parigi – Dakar è che, in quell’anno, la competizione partiva da Parigi arrivando a Dakar, in Senegal, per poi fare ritorno in Francia, a Eurodisney, alle porte della capitale.

Il contachilometri, che si dice sia in gran parte originale, indica 27.846 km, una distanza sufficiente per non una, ma due edizioni della Parigi-Dakar. Sono presenti anche adesivi della corsa del 1993 (e del 1994), ma la sua partecipazione e il suo arrivo all’evento non sono confermati. Se questa moto potesse parlare, avrebbe molte storie incredibili da raccontare.

Quell’anno Gilles Francru riuscì a piazzarsi al trentatreesimo posto: non male, considerando che delle 97 moto partite, solo 47 arrivarono al castello di Topolino. Detto ciò, il fascino della Parigi – Dakar, quella vera, quella che fino al 2007 si svolgeva a cavallo tra il Vecchio Continente e l’Africa, è sempre vivo anche oggi e i più nostalgici e curiosi forse non sapranno che questa moto fu messa all’asta alla RM Sotheby’s e venduta per 10.800 sterline.

 

DAKAR 1987 | Dal cross al fascino del deserto

Già negli anni precedenti Michele Rinaldi aveva lanciato il proposito di partecipare alla Dakar, attirato dal fascino che circonda questa gara ma soprattutto dalla possibilità di «viverla», nei pochi momenti liberi, a stretto contatto con tutti gli altri partecipanti. Rinaldi era anche arrivato ad ipotizzare una sua partecipazione nei panni del pilota privato, nonostante sia abituato a vestire i panni del «super ufficiale» nel cross.

 

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Dalla Suzuki, invece, durante l’autunno gli arrivò la proposta di partecipare con moto ed assistenza ufficiale nel team allestito in Francia dai fratelli Joineau. «È stata la Suzuki a chiederlo – dice l’ex campione del mondo – visto che conosce-vano il mio desiderio di partecipare e vogliono cercare di fronteggiare la concorrenza che proprio da queste gare ha trovato grossi sbocchi commerciali».

 

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Hai già fatto qualche esperienza di guida in Africa?
«Soltanto durante alcuni test in Tunisia. Il problema maggiore, a parte quelli d’orientamento, viene dal peso e della velocità della moto. Quando acceleri sulla sabbia derapa da tutte le parti e ci vogliono buoni muscoli per tenere stretta una moto che pesa quasi il doppio di quella da cross. Per abituarmi tutti i giorni ho fatto un pò d’allenamento assieme a Balestrieri, una volta anche di notte. Comunque la Suzuki 651 anche se è stata preparata bene non è una moto vincente contro le varie pluricilindriche e neppure io mi sento in grado d’ambire al successo».

 

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Come è stata cambiata la Suzuki rispetto al modello di serie?
«Il telaio è quello di serie. Sono state cambiate la forcella ed il sistema del monoammortizzatore. Sul motore ci sono una nuova testa, cilindro e marmitta per portare la cilindrata a 651 cc, inoltre il raffreddamento è ad olio come sulle Suzuki stradali e non più ad aria».

Marc Joineau Dakar 1982 | Le insidie si nascondono ovunque

Dopo una serie infinita di forature, a Gao sono tornato nei primi dieci. Nel difficile anello di Gao/Mopti/Gao ai piedi del monte Humbori, che ricordo per le terribili rocce aguzze, mi accodo a Patrick Drobecq per decollare nelle grandi curve veloci e avviarmi alla mia seconda vittoria di tappa.

Provate ad immaginare: 540 km corsi in 10h 06 min, sono arrivato proprio al calar della notte. Finalmente eccomi di nuovo tra i primi 5, comincio a credere di poter vincere questo rally. Nel frattempo perdo mio fratello Philippe che cadendo si rompe il piede, e mi ritrovo da solo da solo in pista, non ho più nessuno che mi possa aiutatare nella lotta contro i piloti ufficiali.

E poi arriva la maledetta prova speciale di Timbuktu Niono dine 560 km. All’inizio mi illudo che tutto vada bene. Risalgo sui miei diretti concorrenti e arrivo al camion della benzina in mezzo al nulla, e dalla dubbia provenienza.

Faccio il pieno di una dubbia miscela di benzina, cherosene e qualche altro componente combustibile e riparto.  Dopo solo 10 km dopo il mio motore rallenta, borbotta, rantola e mi abbandona inchiodato. Aspetto 6 ore il camion su cui avevo un motore di riserva, lo monto ma arrivo 50 minuti fuori tempo massimo e mi affliggono una penalità di 15 ore.  Che beffa. Non me lo meritavo. Sono crollato in fondo alla classifica. Cyril Neveu vince la Dakar 1982 anche se al momento del mio guaio con la benzina ero di mezz’ora davanti a lui in classifica generale.

Riesco ad avere ancora la forza di vincere una tappa speciale prima del traguardo.
Ripenso spesso a quel rifornimento e mi perseguiterà ancora per molto tempo.

N.d.r. Marc Joineau vinse 2 tappe nella Dakar 1982, e concluse al 17mo posto nell’assoluta.

Fernandez Agustin Dakar 1989

Se una cosa la vuoi, una strada la trovi.
Se una cosa non la vuoi, una scusa la trovi.
(Proverbio africano)

Lungo questa pista sterrata, Fernandez Agustin su Suzuki DR durante la Dakar 1989.

Jordi Arcarons Dakar 1989

Un velocissimo Jordi Arcarons sfreccia sulla sua Suzuki DR Big durante la Dakar 1989.

Marquez Paricio Dakar 1989

Marquez Paricio su Suzuki DR 750 BIG durante la Dakar 1989.

Bennerotte Dakar 1990

Partenza Dakar 1990, un agguerrito Bennerotte alla presentazione sulla sua Suzuki DR750!

Suzuki DRZ 750 SR43 Dakar 1991

Per Franco Picco avrebbe dovuto essere la Dakar della rivincita dopo i problemi della scorsa edizione, invece non è nemmeno iniziata: il 23 dicembre Franco Picco è caduto mentre stava allenandosi sul campo cross di Arzignano in sella ad una Suzuki 250, per il bloccaggio della ruota anteriore. Sbalzato avanti e dopo aver effettuato una capriola in aria è ricaduto battendo violentemente il bacino.
Ricoverato presso l’ospedale di Valdagno (Vi) gli sono stati riscontrati una frattura alla sinfisi pubica ed un’incrinatura all’osso sacro, danni non gravissimi ma che comunque lo costringono ad almeno due mesi di immobilità, il Team di Gaston Rahier ha dovuto così rinunciare al suo pilota di punta per l’appuntamento più importante della stagione. Franco Picco, considerando che il suo contratto con la Suzuki scade a luglio, è comunque intenzionato a tornare in sella per poter partecipare al Rally di Tunisia.

SUZUKI DRZ 750 – Di base è rimasta la stessa moto dell’anno scorso, attualmente l’unica monocilindrica competitiva a livello di classifica assoluta anche se in passato non troppo forte in termini di affidabilità. Proprio per questo si è lavorato parecchio sul motore, un quattro tempi con raffredda-mento misto aria-olio a quattro valvole, doppia accensione elettronica ed alimentazione tramite due carburatori Mikuni shot. Nonostante la denominazione DRZ 750 la cilindrata effettiva è di 830 cm. una soluzione alla quale si è arrivati dopo numerose prove. Il cambio resta a cinque rapporti e la frizione è in bagno d’olio.
La Suzuki, che per i rally si è affidata totalmente alla squadra gestita da Rahier, ha rinnovato anche il telaio: un monoculla sdoppiata con sospensione posteriore Full Floater modificata nel sistema dei leveraggi, forcella Kayaba e freni a disco davanti e dietro; non si è comunque trascurato il discorso dell’aerodinamica e del comfort, che ha portato a ridisegnare il gruppo serbatoi, due anteriori ed uno posteriore per un totale di 62 litri, ed il cupolino. Numerosi gli alleggerimenti che hanno portato ad un peso a secco di 154 kg, spinti da un motore che eroga una potenza massima dichiarata di 71 CV a 7.000 giri.

62 – GASTON RAHIER Il suo caratteraccio è allo stesso tempo il suo miglior pregio ed il suo peggior difetto. Gli ha causato problemi di convivenza con alcuni piloti della sua squadra ma allo stesso tempo gli ha consentito di raccogliere risultati eccezionali. Tre mondiali cross 125, due Parigi-Dakar e tre Rally dei Faraoni non sono che una piccola parte di un curriculum sportivo che ha pochi eguali.
Titolare del team che porta il suo nome e che fa correre le Suzuki ufficiali, a 43 anni suonati Rahier è tuttora un uomo da tenere d’occhio, in grado di aggiudicarsi un paio di tappe anche nella precedente edizione della Dakar e di ottenere buoni piazzamenti.

64 – JEAN-CHRISTOPHE WAGNER Eterna assistenza veloce della squadra, ha sempre svolto diligentemente il suo compito e questo talvolta ha penalizzato le sue prestazioni. Però ha ottenuto buoni piazzamenti di quando in quando, dimostrando che Rahier ha avuto buon fiuto nell’assicurarsi la presenza in squadra del ventiduenne francese quando ancora non aveva disputato altro che corse nazionali.

65 – AKIRA WATANARE Non è un nome nuovo per gli appassionati di cross, che lo ricordano campione del mondo cross ’78 e protagonista anche nelle stagioni successive. Tornato in Giappone nell’84, non ha mai smesso di correre in fuoristrada passando pero all’enduro dove ha vinto più volte il titolo nazionale. Pilota benvoluto dalla Suzuki, a 36 anni tenta la carta dei rally è però praticamente al debutto, avendo partecipato solo all’ultima edizione del Faraoni.

Della squadra fanno parte altri quattro uomini: lo svizzero Andy Brunner l’esperto francese Raymond Loizeaux e due italiani che anche lo scorso armo raggiunsero in buona posizone la spiaggia di Dakar, Franco Zotti e Giampaolo Aluigi. Pur correndo col Team Rahier ed in sella a delle Suzuki non sono ufficiali: le loro moto sono derivate dalla serie, ma ricevono comunque una certa assistenza dalla formazione francese, compatibilmente con le esigenze dei quattro piloti di punta.

Ndr: non fu una Dakar particolarmente gloriosa per il Team Suzuki, Rahier si classificò solo al 13° posto, Brunner 17°, Watanabe 23°, Loizeaux 29°.

Fonte Motosprint
Si ringrazia per le foto Stefan Heßler