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La mia Dakar 2000 by Francesco Tarricone

Dopo la sfortunato, ma in parte prevedibile, mio ritiro nell’edizione ’99, cominciai subito a pianificare la partecipazione alla Dakar del nuovo millennio!Gli organizzatori Francesi allestirono per l’occasione un percorso fuori dal comune, da Dakar al Cairo, quindi attraverso Senegal, Mali, Burkina Faso, Niger, Libia ed Egitto.

Sulla carta un percorso molto interessante: dal 6 al 23 Gennaio, 10.863 km di cui 7.616 di prove speciali, toccando alcuni luoghi che hanno reso mitica questa gara, come il deserto del Ténéré, Agadez, Dirkou, Niamey …
L’arrivo, previsto ai piedi delle piramidi di Giza e della Sfinge, sarebbe stata la ciliegina sulla torta!
Dopo quanto accaduto l’anno prima devo, mio malgrado, acquistare una moto nuova. Rimango fedele alla Honda XR400 per le stesse ragioni che mi orientarono all’acquisto precedente, ossia semplicità, affidabilità e ottima accessibilità meccanica. Oltretutto in questa edizione, come del resto in tutte le successive, dovrò fare a meno del meccanico al seguito per risparmiare sul budget.

Per la preparazione della moto scelgo una soluzione più raffinata rispetto all’anno precedente, 3 serbatoi in alluminio fatti su misura dallo specialista Carlo Verona di VRP, completati da un paracoppa dello stesso materiale che ingloba un contenitore porta attrezzi e il piccolo serbatoio per l’acqua di emergenza.
Mi faranno compagnia in questa avventura i compagni di Moto Club Giorgio Papa, con una moto preparata come la mia, e Alessandro Balsotti con una Suzuki DR350. Si aggiungono inoltre Massimo Bubix Chinaglia, anche lui con DR350 e Giulio Verzeletti su Yamaha WR400.
Ho un bel ricordo di questa edizione, perché abbiamo formato un gruppo affiatato dove, al bivacco si faceva tutto insieme, aiutandoci a vicenda.
Il 27 e 28 Dicembre si svolgono a Parigi le verifiche tecniche e la partenza simbolica dal podio allestito a Champ de Mars con sfilata per la città. Successivamente è possibile caricare le moto sui furgoni per dirigersi verso il porto di Le Havre, dove tutti i mezzi della carovana vengono presi in carico dagli organizzatori e imbarcati su una nave che li porterà a Dakar.

Il 3 e 4 gennaio verifiche amministrative nella capitale del Senegal, il 6 ritiro delle moto al porto, briefing generale e siamo pronti a partire!

All’alba del 6, da Place de la Republic, partiamo uno ad uno in ordine inverso, vale a dire dal numero più alto al più basso. Io ho il 108, quando tocca a me il sole si è levato da poco e il pubblico non è certo quello delle grandi occasioni!
Comunque sono qui per una gara nel deserto, non per una sfilata mondana … quindi va bene così!
I primi 200 km sono su strade asfaltate dove bisogna prestare la massima attenzione al traffico locale; come si può immaginare per strada si trova di tutto e il caos regna sovrano.

La prima Speciale è di 284 km, su piste prevalentemente sabbiose, con molta vegetazione e numerosi attraversamenti di villaggi.

A sera mi è chiaro che l’insidia maggiore per la prima settimana sarà la polvere, e che polvere! Infatti, fino all’ingresso nel Niger, il percorso si sviluppa nella zona sub sahariana, fatta di piste di laterite (la terra rossa dei campi da tennis) contornate da vegetazione folta e alberi che, con le loro fronde, impediscono alla polvere sollevata dai veicoli in gara di diradarsi. Io, abituato alla nebbia padana, pur con molta prudenza, vado via spedito senza cacciarmi nei guai.

Il mio imperativo per questa edizione è arrivare alla fine, senza curarmi della mia posizione in classifica e di quella degli amici/avversari.
Ho anche capito che devo ascoltare il mio corpo e all’occorrenza fermarmi per una pausa, quando sento venire meno le energie.
Con questa strategia di gara arrivo a Niamey, quindi dopo 6 giorni, senza neanche aver fatto una piccola scivolata. La moto è tale e quale a come è partita, neanche un minimo graffio!
A sera viene esposto in bacheca un comunicato degli organizzatori, in cui si dice che i servizi segreti francesi hanno ragione di ritenere che un gruppo numeroso di terroristi/predoni, ben armato ed equipaggiato, è in attesa del passaggio della gara nelle distese desertiche del Niger, per un’azione eclatante.

Per questa ragione il rally viene momentaneamente sospeso, in attesa di sviluppi.
Una cosa di questo tipo non era mai accaduta, noi siamo increduli e frastornati. Eseguiamo comunque la solita routine del pilota senza assistenza, che consiste, una volta arrivato al bivacco, nel cercare i due aerei cargo della Elf.
Questi hanno il compito di trasportare da una tappa all’altra una cassa metallica e due ruote complete, tutto ciò che è concesso avere compreso nel l’iscrizione.
Una volta individuata la propria cassa (e non è sempre facile trovarla tra le più di cento presenti), si monta la tenda, ci si tolgono i vestiti da gara umidi e li si mettono ad asciugare.

Come si può immaginare lo spazio all’interno della cassa è limitato, considerando che deve contenere tenda, sacco a pelo, materassino e un set completo di vestiti da indossare al bivacco. A questi vanno aggiunti  gli attrezzi per la manutenzione della moto e le parti di ricambio che si riescono ad infilare.
Io avevo una cassetta di legno che in origine era parte di un mobile Ikea, rinforzata con delle piastre di alluminio. All’interno mettevo i ricambi e, all’occorrenza, la cassetta poteva fare da supporto per sollevare la moto.

Ma torniamo all’edizione 2000.
Il giorno seguente lo stop ci organizziamo per fare la manutenzione prevista per la giornata di riposo, quindi cambio olio, lavaggio e preparazione dei filtri aria che serviranno per la seconda parte della gara, sostituzione pneumatici.
Questo servizio in realtà viene svolto gratuitamente dall’equipe Euromaster, è sufficiente fare avere loro la ruota completa e il pneumatico nuovo.
In serata ci viene comunicato che verrà predisposto un ponte aereo che trasferirà tutti i mezzi della carovana da Niamey a Sabha, in Libia, da dove la gara riprenderà.

Ora provate ad immaginare cosa voglia dire trasportare a più di 1000 km un centinaio di moto, altrettante auto, ma soprattutto più di cento camion e anche 7 o 8 elicotteri!

Si occuperanno di tutto due giganteschi Antonov 124-100 e vi assicuro che era uno spettacolo vederli decollare a pieno carico.
Il ponte aereo richiederà alcuni giorni e alla fine lo stop sarà di 5 giorni. Tanti, e sufficienti a recuperare tutte le energie e a rimettere in efficienza i veicoli; cosicché alla ripartenza si sarebbe ricominciato tutto da capo.
Dopo due o tre giorni di campeggio forzato ai margini della pista dell’aeroporto, notiamo che ci sono sempre meno concorrenti accampati come noi. Ma dove sono andati tutti? In hotel, i furboni!

In breve ci uniamo a loro e ci trasferiamo in un grande hotel in centro città.
Il detto “chi tardi arriva male alloggia”, in questo caso non corrisponde al vero; riusciamo a sistemarci tutti e cinque in una grande suite all’ultimo piano. Non male per essere alla Dakar! 🙂
Il giorno seguente, visto che il carico dei mezzi e dei materiali sugli aerei viene gestito dagli organizzatori, ci permettiamo anche una gita in piroga sul fiume Niger. Uno spettacolo! Riusciamo a vedere gli ippopotami nel loro ambiente naturale e a visitare un villaggio fatto di capanne.
Ma la pacchia sta per finire; il mattino successivo ci imbarchiamo tutti su un 737 destinazione Libia, dove ci attendono temperature decisamente meno gradevoli
Ma prima di salire sull’aereo, un episodio di quelli che succedono solo in Africa: per qualche strana ragione il velivolo è parcheggiato fuori dalla pista, su una superficie di terra; l’equipaggio ci fa sapere che lì non possono accedere i motori, ragione per cui ci chiedono di spingere letteralmente l’aereo per riportarlo sulla pista! Robe da matti …

Le tappe in Libia ed Egitto furono relativamente semplici, nel senso che erano si lunghe ma scorrevoli, quindi si riusciva a viaggiare a medie elevate.
In compenso i luoghi e i paesaggi che incontravamo erano fantastici: tratti di centinaia di km in fuori pista, ascesa del vulcano Wan Namous con controllo timbro proprio sulla sommità, dune maestose!
L’unico problema, il freddo. Infatti avvicinandoci sempre di più al Cairo, e quindi puntando a nord-est, la temperatura andava via via scendendo, soprattutto al mattino.

Noi peones, non potendo contare su mezzi di assistenza, non potevamo permetterci di avere al seguito capi tecnici adatti.
Quindi la sera,  prima di chiuderci nelle tende, vagavamo per il bivacco in cerca di materiali tipo cartone, teli in plastica o cose simili, allo scopo di costruirci dei paramani improvvisati (tipo quelli che si vedono sugli scooter d’inverno), che ci potessero salvare le mani dal congelamento!
La strategia era quella di fare il trasferimento verso la prova speciale, sempre su asfalto e spesso lungo, con le protezioni auto costruite; quindi smontarle dalla moto e abbandonarle presso il punto di controllo a inizio speciale. Ovviamente non erano trasportabili e quindi la sera successiva bisognava ricominciare daccapo

Entrati in Egitto la gestione dei pasti passò sotto il controllo di una società locale, mentre solitamente questo compito viene svolto da un gruppo francese che porta tutto dall’Europa, ad esclusione di pane e acqua.

Il mio apparato digerente manifestò subito tutto il suo disappunto per questo cambio di gestione, rendendomi la vita difficile per un paio di giorni. Doversi fermare anche 5 o 6 volte in speciale, in preda ad improvvisi attacchi di dissenteria, non è una cosa proprio simpatica …
Piccolo aneddoto: quel giorno Nani Roma, in testa alla gara fino al giorno prima, partiva diverse posizioni dopo di me avendo rotto il motore il giorno prima.
Io, accovacciato a fianco della moto in una spianata enorme senza nessun tipo di ostacolo o asperità, intento a far fronte ad uno dei suddetti attacchi, sento arrivare in lontananza una moto a gas completamente spalancato.
Ovviamente era Nani. Mi vede, si ferma e fa: “todo bien?”
Io lo guardo: “mica tanto, comunque grazie per esserti fermato!”
Un grande!!! 🙂

Comunque, a parte questi problemi tutto sommato non gravi, la mia gara scorre via senza guai; in breve mi trovo sulla spianata di Giza per il palco di arrivo insieme agli amici con cui ho condiviso le ultime 3 settimane. Incredibilmente siamo arrivati tutti alla fine, pur con Bubix fuori classifica per una serie infinita di guai alla sua moto.
Sicuramente l’edizione del 2000 non viene ricordata come una delle più dure Dakar, soprattutto per l’interruzione di 5 giorni, ma salire sul podio finale e vedersi consegnare la medaglia riservata ai “finisher” è un’emozione davvero difficile da descrivere.
Dei circa 210 bikers partiti, 107 raggiungono Il Cairo, io sono 59° con 15’ di penalità a causa della perdita della tabella di marcia in una tappa. Mi classifico inoltre al terzo posto della categoria Marathon fino a 400 cc., cioè la categoria riservata a chi, nel corso della gara, non sostituisce parti vitali della moto, quali motore, sospensioni, ecc…

Anche nella seconda parte di gara riesco a mantenere il record di zero cadute; la moto rientrerà in Italia praticamente perfetta, missione compiuta!!!

Il gruppo dei cinque rimane compatto anche nei due giorni che ci servono a organizzare il rientro a casa; infatti, per scaramanzia, non avevamo acquistato il biglietto aereo di ritorno. Cosicchè facciamo conoscenza col traffico davvero incredibile della capitale egiziana, dove la regola è: affrontare gli incroci e le rotonde come se non ci fosse un domani!
In pratica si suona il clacson e ci si butta dentro, sperando nella buona sorte …
Incredibilmente anche chi guida i mezzi più indifesi, come moto e ciclomotori, adotta lo stesso stile di guida e ancora più incredibilmente quasi sempre va tutto bene!

La variante serale prevede l’uso degli abbaglianti al posto del clacson … un caos …
Il rischio più grosso dalla partenza di Dakar lo corro, insieme ai miei quattro compagni di avventura, in un taxi diretto all’aeroporto: è sera, per accompagnare i viaggiatori alla zona partenze i taxisti devono pagare una sorta di pedaggio, con casello tipo autostrada; il nostro autista, pur di non pagare, si inventa la manovra del secolo, spegne le luci e si infila contromano nella corsia destinata a chi lascia la zona partenze!!!

Testo e foto di Francesco Tarricone

 

La mia Dakar 1999 by Francesco Tarricone

Gennaio 1999, da Granada a Dakar. Non mi sembra vero schierarmi al via della gara che ho scoperto e cominciato a seguire a metà degli anni ’80, quelli di Picco, Orioli e De Petri.
 Ho iniziato con i Motorally circa 10 anni prima, e frequentando il mitico Moto Club Oggiono, conosco alcuni amici che vi hanno già partecipato.
In poco tempo decido di provarci anch’io; in primavera prendo parte al Rally di Sardegna e, per poco, non vinco la categoria moto di serie (B2).
Mi do da fare alla ricerca di finanziatori e, incredibilmente, trovo i soldi per coprire il budget per me e per un meccanico aviotrasportato.

In quegli anni era possibile imbarcare sugli aerei dell’organizzazione un meccanico; questo veniva trasferito da un bivacco all’altro, ed era un modo relativamente economico di disporre di una assistenza.
La scelta ricadde sull’amico, meccanico ed anche pilota Max Tresoldi.
 Per la moto optai per una Honda XR 400, semplice, robusta ed economica. Serbatoio maggiorato Acerbis, 2 serbatoi laterali in plastica comprati usati, paramotore con riserva di acqua e porta-attrezzi, sospensioni tarate ad hoc e la moto era bella che pronta.

Le prime tappe filarono via lisce… fin troppo, infatti non ho ricordi legati a quei giorni. 
Anzi no, una cosa me la ricordo. 
Al mattino, dopo la colazione, viene consegnato a ciascun pilota un sacchetto contenente la razione di viveri utili ad arrivare a sera.
 All’interno si trovano alimenti energetici come barrette, latte condensato, succo di frutta, formaggini e altro. La razione è la stessa, indipendentemente che ci si trovi su una moto, in macchina o in camion. Evidentemente alcuni di questi alimenti non sono molto compatibili alle sollecitazioni che un pilota moto sopporta durante una tappa; ragione per cui sarebbe meglio non infilarsele nelle tasche della giacca.
 Il quarto giorno metto incautamente una mousse di pera nella tasca posteriore, all’arrivo di tappa mi accorgo del disastro. L’interno della tasca è completamente rivestito di un composto appiccicoso a base di pera e polvere!
 Passo più di un’ora nei bagni dell’aeroporto di Tan Tan a rimuovere la melassa!
Ma il peggio doveva ancora venire …

Tappa 6, da Bir Mogrein ad Atar, Mauritania, 629 km di cui 624 di prova speciale.
 È la prima tappa di deserto, quello vero! Partenza in linea, mi pare 50 piloti in ogni fila, io sono in seconda fila. 
Tengo un buon ritmo per i primi chilometri, poi all’improvviso arrivo veloce su un tratto di cunette di sabbia, tipo whoops, non ho il tempo di rialzarmi sulle pedane che mi ritrovo per aria!


Tocco terra, rimbalzo e faccio in tempo a pensare: ora mi faccio male!
Per fortuna sono solo un po’ acciaccato, ma niente di rotto.

Alla moto non va così bene, uno dei due trip master si rompe e tutto il blocco strumenti si piega. Riparto.
Dopo un po’ mi trovo dietro ad altri piloti che, ad una nota, prendono una direzione secondo me sbagliata. Sono convinto di essere nel giusto e vado avanti per la mia strada. Secondo voi chi aveva ragione? … Ovviamente gli altri! ☺
In poco tempo mi ritrovo completamente solo, senza tracce per terra, in una zona di sabbia pianeggiante con dei piccoli cordoni di cunette. 
Avrei dovuto tornare indietro, ma vuoi per inesperienza e vuoi per non perdere altro tempo, decido di puntare il waypoint successivo dritto per dritto … peccato che sia a 90 km!
Il fuoripista in solitario mi logora mentalmente, quando mi ricollego al tracciato di gara sono esausto, e siamo solo a metà tappa …
Mi ritrovo con due compagni di moto club, Giorgio Papa e Alessandro Balsotti, decido di proseguire dietro a loro; purtroppo il mio fisico non è d’accordo, tra insabbiamenti e piccole cadute esaurisco completamente le forze e non riesco a viaggiare al loro ritmo. 
Col senno di poi è facile dire che mi sarei dovuto fermare per qualche minuto, mangiare qualche barretta e ricaricare le batterie.
 Non lo feci, e al tramonto mi ritrovai ad affrontare gli ultimi 20 km di dune che precedevano una bella pista battuta che in una sessantina di chilometri portava all’arrivo.

La frizione, ormai stanca dei miei maltrattamenti, decise che ne aveva abbastanza e mi piantò in asso!
 A quel punto un dakariano con esperienza prende atto che quella tappa è andata male, ma che la gara è ancora lunga e tutto può ancora succedere; bisogna solo portare la moto al bivacco entro la mattina successiva, con qualsiasi mezzo. Io, che di esperienza non ne ho, provo a sostituire i dischi frizione con gli attrezzi di scarsa qualità che ho con me. Non riesco neanche a rimuovere il coperchio frizione!

Sono talmente stanco e poco lucido, che non mi viene in mente di fermare gli altri concorrenti per chiedere aiuto.

Ok, ormai sono fra gli ultimi delle moto, ma ci sono ancora molte auto e camion che devono passare da lì.
 In breve tempo mi ritrovo al buio, con i vestiti umidi dal sudore e con la temperatura che scende velocemente; non mi rendo ancora conto della notte che mi aspetta!

Mentalmente mi sono arreso, non ho voglia di fare niente, solo riposarmi. Arriva un ragazzo inglese, più stanco di me, la sua moto funziona, lui non ne può più! Si ferma ad un centinaio di metri da me e decide di ritirarsi, non se la sente di proseguire al buio da solo.
 Ci avvolgiamo nei nostri teli di alluminio per cercare di trattenere il calore corporeo, confidando nell’arrivo del camion balai (letteralmente scopa), che ha il compito di recuperare i “reduci della campagna d’Africa”!
 Infatti, dopo la mezzanotte, arriva. Purtroppo i “reduci” di quella tappa sono tanti, non c’è più posto e ci dicono di aspettare il mattino seguente, quando passerà un secondo mezzo.
 Aspettiamo con ansia il sorgere del sole e il suo calore; fa freddo!

Le nostre aspettative saranno esaudite … anche troppo! Durante la giornata la temperatura sale tantissimo, tanto che gli stessi teli di alluminio, usati per combattere il freddo, si rivelano utili anche per fare ombra.
Ma non doveva arrivare il secondo camion scopa? 
Al mattino, di buon ora, sentiamo un elicottero, atterra vicino a noi, è il gran capo Hubert Auriol: ci dice di non muoverci di lì e aspettare il balai. Lascia acqua e viveri e riparte per localizzare altri sfortunati come noi; la tappa del giorno prima ha mietuto molte vittime!

A metà giornata arriva un piccolo aereo, ci gira sulle teste, poi lancia un oggetto legato ad un piccolo paracadute: è una borraccia di alluminio con un foglietto scritto a mano.

Dice: il camion ha un problema, non muovetevi, vi recuperiamo più tardi …
 Ma dove siamo, in un film? ☺
A metà pomeriggio fine della piccola Odissea, arriva un altro elicottero che ci carica e ci porta ad Atar, sede del fine tappa del giorno prima.
 E le moto? Abbandonate nel deserto! Ci dicono che non possono trasportarle con l’elicottero e che il giorno seguente sarebbe passato un mezzo a recuperarle. 
Non saprò mai se il fantomatico mezzo passò o meno; rientrato a casa, gli organizzatori mi comunicarono che le due moto erano state rubate.
 Peggio di così non poteva finire!
 Solo dopo innumerevoli richieste scritte, un bel giorno mi chiamò monsieur Auriol in persona, dicendomi che mi avrebbero concesso un parziale risarcimento per la perdita del veicolo.

La mia personale riflessione, al termine di questa prima partecipazione, è che sarebbe stato meglio iscriversi ad un rally minore, per acquisire quel minimo di esperienza utile ad evitare alcuni grossolani errori che, inevitabilmente, si fanno all’inizio. 
Però il danno ormai era fatto, l’esperienza acquisita, tanto valeva cominciare a pensare alla prossima: Dakar-Cairo 2000.

Quell’anno, tra le moto, vinse il compianto Richard Sainct su BMW 650 monocilindrica, fu l’ultimo anno in moto di Edi Orioli.
Il gps dato in dotazione era ancora quello piccolo, tanto che era possibile montarlo a fianco del porta road- book.
I piloti ufficiali ne montavano due affiancati, sulla piastra di sterzo.
 Sentinel e Iritrack non esistevano ancora, sul veicolo veniva posizionata la “balise”, un dispositivo che, una volta attivato, emetteva un segnale che permetteva la localizzazione via satellite.
 Una volta acceso si era automaticamente fuori gara, quindi era meglio pensarci bene!
 La richiesta di soccorso doveva essere fatta solo per motivi sanitari o se non si veniva raggiunti dai mezzi dell’organizzazione entro il giorno successivo alla fermata nel deserto.

Testo e foto Francesco Tarricone