Tag Archivio per: SALA

DAKAR 2003 | KTM 950 LC8 Factory

Porterò sempre con me il ricordo del giorno in cui mi imbattei in una delle moto da fuoristrada più incredibili che il panorama motoristico potrebbe offrire. Era il 3 settembre 2020 e da li a poco avremmo presentato al pubblico il nostro libro Obiettivo Dakar. Gio Sala sarebbe stato il nostro ospite d’onore e già questo bastava per rendere indimenticabile quella giornata. Quando, con una faccia tosta senza eguali, chiesi a Gio se per caso fosse stato possibile avere anche la sua moto in esposizione, la sua risposta fu immediata e disarmante: “se vuoi vai a Bergamo da Nicoli e te la fai dare, per me non ci sono problemi, li avviso io.” E cosi facemmo. Il pomeriggio del 3 settembre, questa belva blu scese fieramente dal furgone e venne sistemata nel suo ambiente naturale: sulla sabbia, anche se non del deserto, ma della battigia di Marina di Ravenna.

Questo KTM è una moto incredibile: potentissima, alta da terra, pesante. Immaginatevi una moto di 200 kg a secco per oltre 100 cv di potenza. Pretende rispetto e incute quasi timore anche solo per spostarla da ferma. Non oso immaginare cosa voglia dire spingere al limite un simile cavallo di razza. Il progetto di questa moto nasce nel 2000 e allo sviluppo del prototipo che vedete in azione lavorarono alacremente (tradotto: arrivarono a percorrere anche 2.000 km al giorno!) Fabrizio e Giovanni, seguiti in ogni passo dal meccanico Bruno Ferrari. I primi test iniziano nel febbraio del 2001 in Tunisia e la definizione della moto da gara è affidata a Fabrizio Meoni, sempre in collaborazione con Giovanni Sala. Caso più unico che raro, dalle indicazioni dei piloti deriva il prototipo che corre, ma non solo. Anche la moto da strada, la 950 Adventure, è figlia della moto da corsa e sfrutta tutte le direttive impartite dai campioni agli ingegneri austriaci.

La 950 Rally nelle prime versioni arrivava a sviluppare oltre 115 cavalli, ma si preferì contenerne l’esuberanza, per preservare le gomme e le mousse che non reggevano una simile potenza sulle lunghe distanze. Per regolamento il peso minimo a secco imposto era di 200 kg, a cui andavano aggiunti i 55 litri di benzina (oltre all’acqua obbligatoria e a svariati ricambi). Potete quindi immaginare che fatica comportasse guidare la LC8 nel deserto per centinaia di chilometri ogni giorno. Eppure sia Meoni che Sala con lei vinsero numerose tappe e Fabrizio la portò al successo nella Dakar del 2002.

La velocità massima era ed è sbalorditiva: il gps di Gio registrò nel 2003 una punta di 208 km/h in pieno deserto.

Il motore LC8 è un bicilindrico a V di 75° di 942 cc, bialbero con 4 valvole per cilindro e alimentazione a carburatore. Cambio a 6 marce con frizione a comando idraulico. Il telaio è a traliccio in tubi di acciaio, mentre il forcellone è in alluminio.

Moto: KTM LC8 950 Rally Factory 2003
Motore: 2 cilindri a V di 75°, 108 cavalli, 942 cc, 8 valvole, raffreddamento a liquido, alimentazione a carburatore
Peso: 200 kg a secco
Serbatoi: 55 litri
Altezza sella: > 100 cm
Velocità massima: 208 km/h

DAKAR 2003 | Il bilancio del giorno dopo di Gio Sala e Arnaldo Nicoli

intervista di Danilo Sechi

I frenetici ritmi imposti dal Rally Dakar sono alle spalle, i campioni dell’enduro Giovanni Sala e Arnaldo Nicoli – tra i protagonisti della gara in terra africana quest’anno conclusasi sulle spiagge di Sharm El Sheikh, in Egitto – hanno ripreso le attività abituali, i loro pensieri sono già rivolti ai prossimi appuntamenti previsti dalla loro disciplina d’elezione  ma prima corre l’obbligo di fare un bilancio sull’ultima esperienza vissuta.

dakar-2003-07_id806

“Non posso proprio dire di essere soddisfatto di come sia andata” racconta Sala, 39 anni, di Gorle “questa era una edizione della Dakar piuttosto vicina alle mie caratteristiche, dove potevo fare proprio bene, invece mi ritrovo solo con un 14° posto finale. Stavolta però le mie colpe sono davvero limitate, devo prendermela con altri fattori. Innanzitutto la gara non era adatta al mio bicilindrico, troppo pesante e quindi poco maneggevole tra le tante pietraie e piste sinuose che abbiamo incontrato, e questo mi ha rallentato molto soprattutto in Tunisia, poi sono stato frenato dapprima da una gomma che mi si è letteralmente squagliata, poi da problemi al motore proprio nella tappa più adatta ai bicilindrici e infine anche da un tubicino di alimentazione che non faceva arrivare il carburante al motore. Insomma un continuo tribolare che mi ha

Paris-Dakar 2003 Gigi Soldano

Paris-Dakar 2003 foto Gigi Soldano

demoralizzato.”

2003-giovanni-sala 2– Comunque un paio di acuti non sono mancati. “Si, due vittorie di tappe sono arrivate. E volendo vedere il bicchiere mezzo pieno non sono neanche incappato in brutte cadute, da questo punto di vista è andata bene. Va però anche detto che mi sono preso una brutta influenza e per qualche giorno ho corso con la febbre e imbottito di medicinali… non mi era mai capitato, sarà stata l’incredibile escursione termica della Libia. Vorrà dire che la prossima volta farò anche il vaccino antinfluenzale!”

– Per la stagione enduro 2003 quali sono i programmi e gli obiettivi? “Dovrei correre nella classe 250 4 tempi ma al momento non ne sono ancora del tutto sicuro perchè la nuova Ktm non è ancora pronta. Parto per vincere i titoli mondiale e italiano e per meritarmi un posto nella nazionale che correrà in novembre la Sei Giorni in Brasile, naturalmente me la vedrò con avversari fortissimi e nessuna sarà un’impresa facile. In questi giorni mi concederò qualche giorno di sci in montagna, ospite del mio meccanico della Dakar, che abita a Innsbruck, poi la prima gara sarà ad Arcore il 9 febbraio”.

Ancora più romanzata la Dakar di Arnaldo Nicoli che, su un camion di assistenza veloce del team Ktm, ha rischiato la vita quando una mina, all’ingresso in territorio egiziano, ha distrutto la ruota posteriore del loro mezzo costringendolo alla resa. “Ho quindi proseguito la mia avventura sull’auto del meccanico di Fabrizio Meoni” spiega il pilota di Ardesio “e siamo arrivati sino al traguardo finale, seppur seguendo tracciati alternativi più agevoli. Fra l’altro la mia presenza è risultata anche assai utile alla fine della 14a tappa, tra Dakhla e Luxor, dopo che Meoni era caduto malamente ed aveva semidistrutto la moto nel tentativo di recuperare terreno sul leader Sainct. Ci abbiamo lavorato fino alle tre di notte, per riconsegnarla al meglio al campione toscano e consentirgli almeno di tentare la difficile rimonta. Lui ci ha provato ma non ce l’ha fatta, peccato”.

– Poi cosa è successo? “Sono rientrato a Bergamo e ho ripreso il mio lavoro alla Ktm Italia, a Gorle, ma adesso mi prendo una settimana di vacanza, penso proprio di essermela meritata!” – Nel settore enduro cosa l’attende? “Quest’anno correrò con la Husaberg partecipando al campionato italiano nella classe oltre 4 tempi”.

DAKAR 1998 | YAMAHA domina, ma gli Austria Korps incalzano

peterhanselE’ stata la gara della vittoria – la numero 6 ed un record – annunciata e scontata di Stéphane Peterhansel e della sua Yamaha 850 bicilindrica. Se per il pilota francese c’è la soddisfazione di avere sorpassato Cyril Neveu, fermo a 5, per la Casa giapponese è l’affermazione numero 9. E probabilmente sarà l’ultima poiché la Yamaha ha annunciato il ritiro dalla “più dura gara al mondo”.

Lascia lo spazio alle monocilindriche, alla KTM e alla BMW e, probabilmente, al ritorno della Honda. Di fatto la supremazia di questo fantastico duo è stata evidentissima sin dall’inizio della gara. Lasciati sfogare gli animi in Europa, nelle tappe in Francia e in Spagna dove l’avvicinamento all’Africa è stato un fatto di routine più che una gara vera e propria, “Peter” ha accumulato subito un notevole vantaggio, un distacco che ha saputo amministrare con la consueta intelligenza nella seconda settimana.

Solo piccole incertezze in un percorso trionfale: qualche caduta, lievi problemi tecnici alla velocissima bicilindrica Yamaha XTZ 850 TRX; insomma, niente che davvero potesse preoccupare questo grande campione che potrebbe, però, non schierarsi più alla Dakar con una moto: «Se la Yamaha lascia – così ha detto all’arrivo – abbandono anch’io. Sono troppo legato a questa Casa per accettare un’altra offerta. Potrei tornare in Africa solo guidando un’auto».

gio-sala-dakar1998

Ci ha provato a insidiare questo strapotere lo squadrone KTM: una specie di armata motorizzata diretta dall’ex pilota Heinz Kinigadner, composta da dieci piloti ufficiali e da una numerosa schiera di privati. Le KTM LC4 660 non hanno potuto reggere la stessa andatura della bicilindrica giapponese ma si sono difese benissimo vincendo la maggior parte delle prove speciali (12 su 19). Su 55 piloti arrivati sulle spiagge di Dakar ben 31 erano in sella a una KTM.

Nonostante Peterhansel fosse inavvicinabile – lo dicono gli stessi uomini della Casa austriaca – l’avere piazzato Fabrizio Meoni alle sue spalle, con un distacco non proprio impossibile su 18 giorni di gara, è stata un’ottima performance. Il pilota italiano è stato il vero avversario del francese: attento nella navigazione nonostante i continui malfunzionamenti del suo GPS, un vero duro nel sopportare prima di tutto i suoi 40 anni e poi l’infortunio alla spalla sinistra, capace di trovare la giusta via in una tempesta di sabbia e di riuscire da privatissimo ad arrivare al terzo e al quarto posto nelle Dakar del ’94 e del ’95.

E anche lui potrebbe non essere più al via il prossimo anno poiché, pur essendo un “ufficiale” a tutti gli effetti, non ha un contratto con la KTM che lo tuteli per il futuro. Rientrando in Italia ha ritrovato la vita di tutti i giorni e una concessionaria di moto da mandare avanti. Alle sue spalle, sempre con la KTM 660, Andy Haydon un pilota australiano sicuramente abituato ai grandi spazi e già a suo agio alla prima Parigi-Dakar. E poi un sudafricano, Alfie Cox, già pilota di valore nell’enduro. Questi due piloti, al di là della loro ottima classifica, dimostrano come anche dei novizi della maratona africana possano far valere le loro capacità nella guida fuoristrada.

Haydon-1998

La mancanza di veri trabocchetti nella navigazione ha quindi fatto emergere chi va davvero forte al di fuori dell’asfalto, ovvero i piloti da enduro. Non dimentichiamo che lo stesso Peterhansel è un protagonista dell’enduro Mondiale. Anche il nostro “Giò” Sala, più volte iridato della categoria, è andato fortissimo, trasformando la gara in una lunghissima mulattiera. Si è piazzato al 17esimo posto per qualche errore di lettura del road-book e per qualche problema di accensione della sua KTM. Ha rischiato anche di non finire la gara a soli 2 km dall’arrivo a Dakar per una caduta che lo ha lasciato senza conoscenza per pochi attimi e con la moto quasi distrutta.

GLI ALTRI ITALIANI Onore anche agli altri italiani che hanno terminato la durissima gara: 24esimo Guido Maletti (ben 11 partecipazioni) con la Maletti 1998-1sua Kawasaki KLX 650R, ma poteva arrivare più in alto nella classifica se non avesse preso la penalità forfettaria di nove ore per il malfunzionamento dell’accensione elettronica. Non si è perso d’animo e ha continuato a risalire nelle posizioni. Gian Paolo Quaglino e la sua Honda XR400R si sono classificati al 29esimo posto. Quaglino è alla Dakar numero 5 ed è la terza che finisce. Subito dietro, Aldo Winkler con la KTM 660. E’ uno dei veterani con le sue otto partecipazioni. Il torinese vince il premio fair-play perché, come un gregario d’altri tempi, ha generosamente dato a Giò Sala, bloccato da guai elettrici e “ufficiale” KTM, la centralina elettronica di scorta della sua Kappa.

E poi viene Roberto Boano (38esimo ma con 47 anni alle spalle), una volta crossista di buona fama e ora conosciuto come il padre di Jarno e Ivan, molto più che giovani speranze dell’enduro. Ha fatto la Dakar con la fida Honda Africa Twin, che è pur sempre una bicilindrica ma è lontana anni luce dalle prestazioni della Yamaha che ha vinto; non fosse altro che per il maggiore peso, la minore potenza e le diverse, e meno sofisticate, sospensioni. Al cinquantesimo posto Lorenzo Lorenzelli con la sua Suzuki DR 350. Ha fatto tutto da solo, senza un meccani-co ad aiutarlo, arrivando qualche volta tardissimo ai bivacchi, ma sempre spin-to dalla solidarietà degli altri piloti.

Pujol Isidre e Giò Sala Dakar 2002

In questo video della Dakar 2002 si evidenziano alcuni aspetti molto emozionanti legati a questa corsa: il primo è la straordinaria solidarietà che c’è fra i motociclisti. Giò Sala non esita un momento a soccorrere Isidre Pujol trovato lungo la pista, mentre c’è chi lo scansa all’ultimo e non si ferma.
Non di minore importanza è lo straordinaria tenacia che contraddistingue i motociclisti: Sala chiede se deve azionare la Balise per far arrivare i soccorsi, ma che lo estrometterebbe automaticamente dalla corsa, ma Pujol nonostante sia palesemente dolorante e sotto choc dalla caduta, gli chiede di non attivarla per proseguire. Le carezze di Sala sono da pelle d’oca e non necessitano di commenti. Per la cronaca entrambi arrivarono a Dakar, Pujol in 5a posizione e Sala in 6a.

Dakar 1998, Sala e Meoni e i piccoli gesti che resteranno nella storia

Sono in molti a chiedermi della “pacca” sul casco di Meoni in un video della Dakar.
Niente di che, solo che con Fabrizio avevo raggiunto un grande feeling e quindi potevo “permettermi” di fare una cosa del genere.
Il feeling è nato e cresciuto nel corso degli anni, a partire dalla mia prima Dakar nel 1998, quando in un ultimo dell’anno a Parigi, a poche ore dalla partenza, mi chiedeva se eravamo normali a stare nella stanza dell’hotel davanti alla TV guardando cartoni animati, quando fuori tutti erano di festa. Scoppiai a ridere e cominciammo a parlare di Dakar e mi rivelò alcune malizie per affrontare meglio la gara.
Sempre insieme nei trasferimenti, ore e ore in sella, e spesso con la pioggia, (non si vede l’ora di arrivare in Africa), condividendo i pochi minuti di sosta ai punti ristoro. “Vietata” la consumazione quando ci si fermava per fare benzina, mi diceva che alla Dakar non si deve perdere tempo e all’assistenza si deve arrivare il prima possibile, “ricordatelo bene!”.
In società al bivacco era un grande, saluti e consigli per tutti, olio toscano sempre in “tavola” nella sabbia del bivacco, e chiederne un po’ gli faceva girare le palle, aveva nella cassa la quantità giusta per i giorni di gara, ma poi te lo offriva volentieri. Ti chiedeva poi un parere, credente e attivo come sempre, tutti sappiamo della sua missione a Dakar.

Parlando della città di Dakar, quando nel 2001 vinse per la prima volta la gara, alla cena/festa lo obbligai a “ubriacarsi”. Non potevo vedere Fabrizio brindare con Coca Cola tutta la sera mentre lo staff KTM, al contrario, brindava alla sua vittoria con vino e birra, così gli imposi di bere almeno tre bicchieri di vino nel corso della serata, mi rispose: “e che ci vuole?”. Uno due tre in fila… in meno di mezz’ora avevamo un Meoni in forma strepitosa, che parlava austriaco come il toscano.

Strategico e combattivo proprio come un “Cinghiale”, e così lo chiamavano, sapeva aggredire speciali con forza e irruenza, ma sapeva anche passare “senza lasciare traccia”.

Infatti, fu la strategia che gli permise di vincere con la bicilindrica LC8, in una tappa dove si doveva passare su un Wait Point, situato in cima a una ripida falesia, (quella che Roma cercò di salire ma poi cadde e andò in crisi). Fabrizio con un rapido e astuto ragionamento di CAP (i gradi della bussola), capì che Roma ed io, che partivamo davanti a lui, stavamo sulla pista sbagliata, così uscì dalla pista per non lasciare tracce e, tagliando in fuori pista per alcune centinaia di metri, imboccò la pista giusta che portava in cima alla falesia. Fu così l’unico a trovare in breve tempo la direzione mentre noi tutti “pascolavamo” alla ricerca della pista, chiedendoci dove fosse finito Meoni. Il distacco acquisito gli permise di vincere la sua seconda Dakar con una moto – credetemi ve lo assicuro – veramente impegnativa, la LC8.

Oltre alle gare ho condiviso con Fabrizio anche tantissime settimane di test. In queste occasioni si consumavano giorni e notti condividendo la stanza, scoprendo le varie abitudini, le manie, i gusti, i programmi televisivi più amati, le preferenze alimentari, oltre allo stare in sella fianco a fianco negli odiosi Chott di sabbia soffice per chilometri e chilometri per testare l’affidabilità dei motori in condizioni estreme. Arrivò a percorrere 1.007 chilometri in un giorno su un anello di 38 km, (io ne feci 150 meno). Anche lo sviluppo della LC8 fu molto interessante perché era una moto tutta nuova e Fabrizio mi sorprese con la sua sensibilità quando capì che la posizione delle pedane andava cambiata per far sì che la moto non si avvitasse.
Finiti i test, ci allenavamo in palestra, in piscina e correndo, ma con lui era impossibile, troppo allenato, persino il preparatissimo Arnaldo Nicoli ne sa qualcosa.
Inoltro ricordo le risate alle Battle of King, memorabile quella di Ibiza. Ci fu la manche con i Jet Ski da Ibiza a Formentera, Fabrizio ed io, “Vecchi Lupi di Mare”, scegliemmo il modello della moto d’acqua sbagliata per il mare aperto e arrivammo alla fine così stremati che sembravamo due naufraghi.

Potrei raccontarvi ancora tante storie, ma non voglio annoiarvi, e così vi spiego il perché del famoso “schiaffo” sul casco.
Era la Dakar del 1998 ed eravamo in Mali, nella tappa che portava da Taudenni a Gao dove per sicurezza, visto il chilometraggio, fu annullata la speciale che divenne un trasferimento di oltre 1000 chilometri. Come dicevo prima, “lui in Africa, voleva arrivare presto al bivacco”, così si mise a guidare quasi come fosse in speciale ed io, da buon portant d’eau, dovevo stare con lui, ma intorno al km 800 iniziavo ad averne un po’ le palle piene di tenere un ritmo del genere, così mi avvicinai e gli diedi il famoso “schiaffetto” per richiamare la sua attenzione e avvertire che avremmo anche potuto rallentare per qualche chilometro, visto che non mi pareva tardissimo, ma lui non abbassò più di tanto il ritmo. Aveva ragione perché, nonostante fossimo tra i primi ad arrivare all’assistenza, era calata la notte da diverse ore, in quanto gli ultimi 150 chilometri si snodavano tra un intreccio di piste nel Fesh Fesh che, affrontate con le luci dei fari, risultò molto complicato guidare mantenendo il giusto CAP e l’equilibrio.
Chi lo ha provato sa cosa vuol dire.

Purtroppo la sua gara prediletta gli ha tolto la vita, lasciando una profonda tristezza a Elena, Gioele e Chiara, come a tutti noi, ma lo ricorderemo sempre per la sua simpatia e disponibilità da grande campione e persona quale era.

Giovanni Sala

Tratto da Endurista Magazine nr.42

La mia Dakar 2002 by Giò Sala

Concludendo la “Dakar” 2002 al sesto posto Giovanni Sala ha ottenuto la sua miglior prestazione da quando, nel ’98, ha iniziato la sua avventura nel più affermato e difficile rally africano. All’esordio aveva infatti concluso 17°, nel ’99 si era classificato 7° ed aveva colto il primo successo di tappa, nel 2000 era stato costretto al ritiro e l’anno passato si era piazzato solo 14° ma aveva centrato quattro vittorie parziali.

“Sono soddisfatto del mio risultato, non c’è dubbio” ci ha detto il campionissimo di Gorle al suo rientro dalla capitale senegalese “anche se alla vigilia mi ero posto come obiettivo quello di concludere tra i primi cinque. Ci sono andato molto vicino, ho ottenuto due vittorie di tappa, ed ho acquisito tanta esperienza che potrò sfruttare nelle prossime occasioni che dovessero capitarmi. In questo settore credo molto e anche se ho già 38 anni penso di poter ancora dare parecchio. Del resto il vincitore della gara, il mio compagno di squadra ed amico Meoni, di anni ne ha appena compiuti 44, eppure attualmente è certamente il migliore e più completo di tutti”.

– Hai avuto due giornate di gloria ma anche parecchi contrattempi, è vero?
“Infatti, in particolare nelle prime frazioni di gara africane, quelle in Marocco. La nostra nuova Ktm bicilindrica era stata preparata soprattutto in Tunisia ed aveva corso in Egitto, quindi su terreni molli e sabbiosi. Sulle pietre e sulle rocce del Marocco ci ha creato qualche difficoltà, in particolare con la frizione, ma quando abbiamo individuato la causa del problema e lo abbiamo sistemato, tutto è filato via liscio. Qualche arrabbiatura me l’ha poi procurata la penalizzazione inflittami dall’organizzazione per il superamento della velocità all’uscita da un villaggio ma era un tratto tutt’altro che pericoloso e io non ricordo proprio di essere andato così forte tanto che ho anche pensato che fosse stato scambiato il mio numero 7 con il numero 1 di Meoni. Lui in quel punto mi ha confessato di aver dato parecchio gas. Una grossa ingenuità l’ho invece commessa nella terzultima tappa, quella marathon tra Tichit e Kiffa. Avevo vinto il giorno prima e quindi dovevo partire per primo e fare da apripista. Me la sono cavata benino ma ho saltato il controllo timbro segreto e ho subito un’altra pesante penalizzazione. Il giorno dopo avrei potuto vincere nuovamente ma ho perso un paio di minuti per soccorrere un concorrente cadutomi davanti e sono così arrivato secondo staccato di mezzo minuto mentre l’ultima breve tappa sul lago Rosa di Dakar, che ben conoscevo, mi ha consentito comunque di chiudere in bellezza”.

Come giudichi questa “Dakar” rispetto a quelle cui ha partecipato in precedenza?
“E’ stata un po’ particolare, nettamente divisa in due. La prima parte, fino a ad Atar, quanto mai poco impegnativa e selettiva tanto che la giornata di riposo dell’Epifania si è rivelata quasi inutile, almeno per noi non alle prime armi. Le tappe successive invece davvero infernali, capaci di sfiancare chiunque. Assurde, poi, secondo me, le frazioni in notturna. Bisogna considerare che ci sono buche e insidie ovunque e poi da quelle parti ti attraversano la strada decine di animali, tutti difficoltà che al al buio non è facile valutare, in particolare per noi motociclisti che possiamo disporre di impianti di illuminazione comunque limitati”.

In sella ad una monocilindrica sarebbe andata magari meglio?
“In effetti ho sofferto parecchio il peso della bicilindrica. Anche Meoni ha avuto simili problemi ma lui guida moto da rally tutto l’anno, io per parecchi mesi passo a quelle da enduro, decisamente più agili, e quindi trovo maggiori difficoltà di adattamento. In ogni caso è difficile dire come sarebbe andata e, in ogni caso, se potrò gareggiare nuovamente in questa corsa, mi piacerebbe riprovarci con la bicilindrica. Ti crea disagi in qualche tappa ma ti regala grandi soddisfazioni in tante altre”.

In questa gara si cresce solo come piloti o anche come uomini?
“E’ vero, ti dà molto anche dal punto di vista umano. Esplori più a fondo te stesso, ti suscita slanci di solidarietà che nella vita di tutti i giorni non sono altrettanto spontanei, ti tempra anche nello spirito, ti consenta di conoscere realtà tanto diverse. Anche nel rapporto con gli altri concorrenti si crea qualcosa di particolare che non avviene nelle altre gare”.

-Dopo cinque titoli mondiali nell’enduro il suo attuale sogno è proprio vincere una volta la Dakar?
“Non posso negare che questa competizione esercita su di me un fascino notevole. Tengo molto a ben figurare nei rally e siccome la Dakar è la regina dei rally è evidente che mi piacerebbe riuscire a conquistarla. Sono però realista e devo ammettere di non essere probabilmente ancora pronto, incorro ancora troppo spesso in errori grossolani, in fesserie che uno come Meoni non farebbe. Però facendo tesoro di ogni nuovo sbaglio sento anche di migliorare e chissà che prima o poi non impari tutte le astuzie e possa metterle in pratica al meglio”.

 A breve termine quali sono i tuoi programmi?
“Dopo questa scorpacciata di circa dieci mila km in sella dormendo poco o niente, penso proprio che mi concederò una decina di giorni di stop. Mi dedicherò agli affetti e ai tifosi, poi a fine mese c’è il raduno degli azzurri dell’enduro e quindi i test con la 520 con la quale parteciperò al mondiale e italiano enduro nella 600 4 tempi, la cilindrata cui ambivo già da qualche tempo. Finalmente sono stato accontentato. La prima gara importante sarà quella di apertura del tricolore, all’inizio di marzo, mentre il prossimo rally dovrebbe essere quello in Tunisia, in aprile”.

Intervista di Danilo Sechi
http://www.motowinners.it/fuoriclasse%20Bg/Sala/Sala.htm

 

Team Ufficiale KTM – Dakar 2007

Il Team Ufficiale KTM Repsol prima della partenza della Dakar 2007.

Da sinistra: Marc Coma #1,  Giovanni Sala #3 e Jordi Viladoms #2.

Giovanni Sala alla Dakar 1998

Molto contento Giovanni Sala, al debutto alla Dakar del 1998 e alla prima vera esperienza con road-book e GPS.

«Dopo la prima settimana – racconta il campione di enduro – credevo di aver imparato tutti í trucchi della navigazione; poi mi sono perso un paio di volte e ho capito di… non aver capito nulla. Ma come fanno a leggere le note?».

Giovanni considera comunque l’esperienza positiva e la Dakar una gara interessante. Ecco le differenze con l’enduro.

«La cosa più incredibile è che mi alleno tutti i giorni, vado in moto almeno due volte alla settimana, poi arrivo qui e prendo una gran paga da uno con la pancia e la sigaretta in bocca! Nell’enduro devi sempre guidare al 100% mentre qui bisogna trovare un giusto compromesso tra velocità e navigazione. 

Sicuramente è un’esperienza da ripetere, anche se è la disciplina più pericolosa che io abbia mai fatto. Appena ti distrai, ed è normale quando stai magari dieci ore in sella, cadi. Ci sono degli sterrati in mezzo alle pietre dove viaggi a 130 km/h e se non sei abituato alla velocità, se non hai i riflessi pronti, finisci per farti male».
Fonte Motosprint