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Il tragico destino di Jean Michel Baron

L’ 11 gennaio 1986 si è andati avanti con una tappa interminabile di 590 chilometri su strada fino a Zinder e tutti i concorrenti hanno assistito a una scena terribile qualche decina di chilometri dopo Nguigmi: Jean-Michel Baron, già dolorante al bacino da più di cinque giorni, giace a terra su un fianco. Ha il viso tumefatto e il ginocchio scoppiato, ed è privo di sensi; la sua Honda 750 è a parecchie decine di metri di distanza. Tutti i concorrenti si fermano per soccorrerlo. Jean-Claude Olivier gli taglia la tuta con il coltello per permettergli di respirare e resta con lui parecchie ore per pulire le ferite. Nel frattempo Gaston Rahier e Jacky Ickx tornano alla partenza per telefonare. Vengono attivati i radiofari d’emergenza. Purtroppo i tre elicotteri sono a terra. Tre ore dopo i dottori Florence Bonnel e Alain Lamour a bordo del veicolo medico si allontanano dalle sabbie della speciale e arrivano in soccorso di Jean-Michel. I medici valutano la gravità delle lesioni: coma al secondo stadio, lesione al ginocchio con ferita profonda, gomito destro fracassato, frattura del volto. Si attiva allora l’organizzazione per le grandi emergenze.

Jean Michel Baron

Jean Michel Baron

Thierry Sabine decolla immediatamente con l’elicottero pilotato da Francis-Xavier Bagnoud per trasportare il ferito a Nguigmi. Patrick Fourticq, trentanove anni, comandante dell’Air France oltre che protagonista del rally africano in veste di pilota, prende i comandi di un Cessna e si precipita a Nguigmi con i dottori Marianne Fleury e Alan Jones a bordo. Roger Kalmanowitz allerta SOS Assistance a Ginevra che garantisce un Lear-Jet per le due del mattino a Zinder. Il Cessna si insabbia subito dopo l’atterraggio, allora Fourticq si rivolge al responsabile della pista di atterraggio, che si scopre essere un suo ex allievo pilota.

Sta preparando le segnalazioni per l’elicottero che non è ancora arrivato, perché ha dovuto fare rifornimento. Il ferito viene quindi caricato sul Cessna e bisogna riuscire a decollare. Ci vogliono sette uomini per disinsabbiare l’aereo. La vettura della polizia viene collocata all’inizio della pista con i fari accesi e due uomini con le torce segnalano le distanze. Fourticq lancia l’aereo e riesce a emergere dalla sabbia e a decollare. Due ore dopo il Cessna atterra a Zinder. Il dottor Lapendry, capo della squadra medica dell’ambasciata, ha già predisposto tutto: la modesta infermeria del piccolo aeroporto è stata trasformata in blocco operatorio. «Abbiamo dovuto eseguire un intervento chirurgico come da protocollo: è stato necessario pulire le ferite ed effettuare una verifica chirurgica per preservare la futura funzionalità degli organi.» 

Claude Lapendry, insieme a Jacques Azorin e Olivier Aubry opera il ginocchio, il gomito e il viso di Jean-Michel Baron, inserendo dei cateteri nei diversi organi vitali alla luce dei neon. La scena di questi uomini in verde, mascherati, che si aggirano intorno a uno di loro per cercare di strapparlo alla morte nel profondo del deserto è irreale, quasi fiabesca. La notte, al bivacco, i concorrenti sfilano uno dopo l’altro, con le immagini accumulate poco prima a lato della strada nel Niger meridionale ancora impresse in fondo agli occhi. Quando arrivano al camion di Africatours per prendere da mangiare si sfogano. «Gli avevo detto ieri sera di fermarsi. Non era più il caso di proseguire, aveva troppo dolore al bacino.» 

È Gilles Picard, suo compagno di squadra alla Cagiva che parla, lentamente, sommessamente, come se si potesse tornare indietro nel tempo. «Per parecchie ore, nella pausa della corsa, mi sono domandato cosa ci facessi qui e se fosse il caso di continuare.»
Gérard Tilliette ha un macigno sul petto. Sarebbero comunque ripartiti tutti il giorno dopo, verso i 205 chilometri di insidie tra Tahoua e Talcho, prima di concedersi il piacere di una giornata di riposo a Niamey. Nella notte il jet ha trasportato Baron verso Parigi, verso la civiltà, verso una clinica specializzata.
ndr: purtroppo Baron non si riprese mai da quell’incidente, rimase in coma vegetativo fino alla suo decesso il 7 settembre 2010.

tratto da: L’albero perduto della Parigi Dakar di Jean Luc Roy edito da Edizione Mare Verticale