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In ricordo di Hubert Auriol

Tratto da GPONE il ricordo di Carlo Pernat

“Hubert Auriol era un signore e un amico, una persona che mi ha insegnato tanto, sopratutto nelle relazioni esterne. Era sempre sorridente e con la battuta pronta”. Carlo Pernat ricorda così il re della Dakar, il primo pilota ad averla vinta sia in moto sia in auto. Uno dei miti di quel raid circondato dalla leggenda.

Il rapporto tra Pernat e Auriol non era stato solo professionale, sulle piste dell’Africa era nata un’amicizia durata negli anni. “Ero in Aprilia quando ed ero stata invitato in una trasmissione tv a Parigi, il lunedì dopo il Gran Premio di Le Mans – racconta ancora Carlo – Finito di registrare, erano verso le 23, ci venne in mente di telefonare a Hubert per andare a mangiare qualcosa tutti insieme, a quei tempi aveva un ristorante. Mi rispose che era già a letto, si rivestì e venne con noia mangiare una pizza”.

Il loro rapporto iniziò quando il pilota francese fu ingaggiato dalla Cagiva per correre la Dakar.

“Mi presentarono Auriol ne1 1985. Era già un mito e fu importante per ottenere le sponsorizzazioni – continua Pernat – Ricordo che Ligier mi aveva detto di andare alla Tour Elf a Parigi, garantendoci che ci avrebbero dato i soldi per la sponsorizzazione. Io non ci credevo, ma andammo: ci offrirono il pranzo e poi andammo nel cinema privato a vedere dei filmati della Dakar. Alla fine mi dissero: qui c’è un miliardo per la gara. Fu grazie a Hubert se li ottenemmo”.

Hubert, nato ad Addis Abeba, conosceva i segreti dell’Africa e li costudiva gelosamente. ” Il suo asso nella manica era la Mauritania, anche se non ho mai capito il perché – confessa Pernat – Praticamente lì, in ogni tappa, aveva mezz’ora di vantaggio su tutti. Gli chiedevo come facesse e lui mi rispondeva che seguiva le tracce degli animali”.

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L’avventura con la Cagiva durò 3 anni, ma il destino volle che non fosse coronata dal successo. Nel 1987 sfumò quando sembrava scontato. “Avevamo praticamente già vinto la Dakar, avevamo un’ora e mezzo di vantaggio all’inizio dell’ultima tappa, che è solitamente è una passerella sul Lago Rosa – il ricordo di quel giorno è ancora vivido nella mente di Carlo – Tutto era nato la sera prima al bivacco. Nel corso dell’ultima tappa si passava su delle rotaie dismesse e Roberto Azzalin, il capotecnico, e Auriol litigarono sul fatto se usare o no le mousse per gli pneumatici. Non ricordo cosa decisero, ma che fu Hubert ad averla vinta, però poi durante la tappa forò 3 volte”.

La sfortuna non era finita.

“Mi raccontò poi che aveva battuto con la caviglia contro una specie di alberello nascosto, dall’altra parte c’era un sasso e andò a sbattere anche contro quello. Le due caviglie erano aperte, non riuscivamo nemmeno a levarli gli stivali, non ho mai capito come abbia fatto a guidare per altri 30 chilometri in quelle condizioni. Una cosa mi è rimasta particolarmente impressa. Lo avevamo caricato sull’elicottero che lo avrebbe portato all’aeroporto da cui poi sarebbe partito per la Francia. Hubert piangeva e mi ripeteva: “di’ a Castiglioni che abbiamo battuto la Honda”.
Quella è stata una delle poche volte nella mia vita in cui non son o riuscito a trattenere le lacrime

Anche dopo quella sconfitta, Hubert non si abbatté.

“Auriol era molto professionale. Claudio organizzò un volo privato per Parigi con alcuni giornalisti per fargli visita in ospedale. Hubert ci ricevette con la maglia della squadra, non con il camice. È una delle persone che hanno contato di più nella mia vita e nella mia carriera, ho imparato tanto da lui’ conclude Pernat”.

Dakar 1985 | La Cagiva si regala Hubert Auriol

Se c’è qualcuno che può giudicare BMW e Ligier-Cagiva costui è senz’altro Hubert Auriol, il trentenne francese vincitore con la BMW di due Parigi-Dakar, passato quest’anno alla Cagiva per sviluppare la 750 Elefant. Naturalmente Auriol ammette la superiorità della sua moto attuale.

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«Non posso sbilanciarmi più di tanto – dice – perché ho provato la Ligier-Cagiva solo nel Rally di Algeria il cui percorso è assai diverso da quello della Parigi-Dakar; l’impressione iniziale è che la potenza tra le due moto sia più o meno equivalente; la sospensione posteriore della Cagiva è assai più efficiente, quanto al peso credo che la Ligier-Cagiva sia inferiore di una quindicina di chilogrammi rispetto alla BMW, quindi…»

Per l’ex pilota BMW e «re» delle gare africane è meglio la Cagiva

 I maligni dicono che hai lasciato la BMW per via della rivalità con Rahier, l’ex crossista belga che era stato assunto per farti da spalla due anni fa e nell’ultima edizione ti ha soffiato la vittoria…

«E una spiegazione semplicistica questa: ho cambiato squadra per diverse ragioni. Dopo tanti anni passati con la BMW cercavo nuovi stimoli, e collaborare con un team entusiasta come quello della Cagiva per realizzare dal nulla una moto vincente è uno stimolo enorme».

Rahier?

«No, non è stato lui la causa».

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La squadra Ligier-Cagiva è in realtà italiana o francese?

«Marinoni. uno dei piloti, è italiano; due meccanici al seguito sono italiani, tutti gli altri sono francesi. Ci siamo divisi i compiti: la Cagiva ha costruito la moto, l’ha modificata seguendo le nostre indicazioni dopo le prime prove; io che ho più esperienza di loro di corse africane ho organizzato il team».

Al Rally di Algeria le Ligier-Cagiva hanno sofferto di un guasto corrente: la rottura dei cuscinetti del cambio e la bruciatura dei dischi frizione. Per la Dakar il problema verrà risolto con nuovi cuscinetti e con l’adozione di un circuito di raffreddamento integrale dell’olio che lubrifica cambio e frizione.

Tratto da Rombo

AURIOL | TROPPO BELLO PER L’INFERNO

NOUAKCHOTT (Mauritania) – “L’Africa me la sono fatta praticamente da solo e questo più che un merito è un guaio, il più grosso guaio che possa capitare a chi corre una Parigi-Dakar. Non so ancora se sarò il vincitore, lo spero per la Cagiva, per il pubblico italiano che si aspetta di vedere per la prima volta una propria moto vincere questa corsa, ma è bene che tutti sappiano come stanno le cose”.

Hubert Auriol, un bel ragazzone francese, sempre allegro, elegante nei modi e nel parlare, sembra più un raffinato attore di teatro che una delle “bestie” che affrontano ogni anno questa follia ambulante che è la Parigi-Dakar. Auriol è un veterano di questa gara di velocità lungo deserti, savane e montagne, dell’Africa sahariana conosce ogni pietra, ogni duna, ogni miraggio e ogni arcano inganno. Eppure l’altro giorno anche lui è caduto in una delle mille e inaspettate trappole del deserto.

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Nel nord della Mauritania corre una vecchia ferrovia mineraria. Vi passa il treno più pesante del mondo: cinque locomotive da oltre 3mila cavalli ognuna e 10mila tonnellate di ferro sui vagoni. E ogni volta che passa, piccole schegge di binario, taglienti come spade, schizzano ai bordi della massicciata. Auriol, Vatanen e molti altri concorrenti per paura di perdersi nel deserto hanno voluto seguire la strada ferrata. Ma le forature sono arrivate a raffica una dopo l’altra.

Da quando viaggia in solitudine, a causa della discutibile squalifica degli altri due piloti della Cagiva, il povero Auriol vive con l’incubo delle forature. Perchè in questa gara l’ assistenza in corsa possono fornirla soltanto i compagni di squadra o altri concorrenti di buon cuore. Così chi è più avanti in classifica finisce col cannibalizzare piano piano le povere moto dei compagni. Oggi una ruota, domani una frizione, dopodomani un carburatore.

Ma Auriol è solo. Nei giorni precedenti aveva provato anche lui a montare le magiche gomme Michelin, che al posto della camera d’aria hanno una ciambella di gomma espansa. La Michelin, però, le aveva studiate per le moto giapponesi non avendo prestato molta attenzione alla casa motociclistica italiana. Così sulla moto di Auriol quella ciambella si scaldava troppo, fino a diventare una poltiglia. E allora il pilota francese non se l’ è sentita più di rischiare. Ha messo in spalla un po’ di camere d’ aria, come i vecchi ciclisti, ed è andato avanti da solo a combattere la battaglia con il suo rivale Neveu.

Aveva un’ ora di vantaggio su di lui e con cinque forature se l’ è mangiata quasi tutta. “Col senno del poi – ha detto – è facile scegliere, ma la sera prima non me la sentivo di rischiare”. Ieri, in un’ altra dura tappa tutta alla bussola, è riuscito ad arrivare incollato al rivale con un piccolo trucco. Ha caricato più benzina, deciso a non fermarsi mai per il rifornimento. E ce l’ ha fatta. Neveu si è invece fermato, è ripartito all’attacco ma al traguardo aveva solo una manciata di secondi.

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Una vittoria di Auriol per una casa come la Cagiva sarebbe una manna. “Quello che può rendere una Dakar – dice Roberto Azzalin, capo della squadra italiana – non lo saprei quantificare ma una cosa è certa: di una vittoria alla Dakar si parla in ogni angolo più sperduto del mondo e noi abbiamo contro tutta l’ industria giapponese. Poco più di cento persone contro migliaia di specialisti”. Adesso 9 minuti scarsi dividono Auriol e Neveu, la Dakar rischia di concludersi all’ ultimo momento.

Oggi c’ è una tappa difficilissima, ancora tutta da “navigare” alla bussola nella savana del Senegal. I due sono troppo esperti e troppo grandi per ricorrere a trucchi, ma quest’anno dinanzi alle centinaia di smarrimenti nel deserto, ci sono perfino dei concorrenti che per correre ai ripari hanno aperto la caccia al ragazzino. Piccolo, leggero, figlio di negri o di beduini non importa purchè conosca bene le piste. Se lo caricano in spalla dentro lo zaino e via a 180 all’ora.

Meglio avere un po’ di peso in più ma una guida sicura, così almeno dicono loro. Nelle auto un’ altra vittoria di Tambay, che tuttavia non infastidisce la Peugeot di Ari Vatanen leader della classifica. Le Peugeot sono imbattibili sul piano tecnico per la potenza che hanno, ma negli ultimi giorni hanno rischiato più volte di perdere questa corsa per l’ inesperienza africana del pilota finlandese e per i contrasti tra lui e il suo navigatore, il francese Bernard Giroux, telecronista di Tf1.

Prima del via al mattino Vatanen si siede al volante e in religioso silenzio si legge un passo della Bibbia. Fa tanti buoni propositi ma poi in gara non si fida del suo navigatore e fa di testa sua. Del resto anche il suo vecchio compagno di rallies ne aveva abbastanza di lui e del suo pessimo carattere. Domenica Vatanen si è perso nel deserto portandosi dietro altre 104 macchine che speravano di sfangarla seguendo il probabile vincitore su una strada sicura.

Risultato: tutti fermi fino a notte fonda, si sono beccati 10 ore di penalità. Lunedì per una foratura ha perso un’ora sul suo diretto avversario, il francese Zaniroli a bordo di una Range Rover. La classifica dice ancora Vatanen, ma basta poco per mandare al diavolo una vittoria che la casa francese ha costruito con mesi di duro e sapiente lavoro su una vettura che, dopo essere stata la regina dei rallies si avvia a diventare la regina dell’Africa, così come lo sono ancora oggi le vecchie 504 che in molti di questi paesi continuano ad arrancare stracariche su piste dove non esistono altri mezzi di trasporto.

Ma la Dakar non è soltanto l’ avventura di questi divi del manubrio o del volante. E’ anche, e più spesso, l’anticamera della morte per molti altri. Ieri è arrivato un povero disgraziato di francese che si era perduto 10 giorni fa nel deserto del Niger. Due giorni e due notti fermo, dormendo all’ addiaccio senza ormai più acqua tentando sotto il sole di riparare la sua moto. La morte era ormai lì ad un passo quando per sua fortuna è stato avvistato dal “camion-scopa” del deserto. Un mezzo che viaggia con giorni e giorni di ritardo e raccoglie i dannati di questa corsa. Al poveretto, senza bisogno di leggere la Bibbia, abbiamo offerto una doccia e un letto perchè non aveva in tasca neppure un franco. Gli abbiamo chiesto se rifarà mai una Parigi-Dakar ed ha risposto: “E come potrei vivere senza?”.

Fonte Repubblica

Hubert Auriol… “l’africano” Re della Dakar

Continuiamo a parlare di Dakar e dei suoi personaggi…. noi trattiamo di emozioni e tra i tanti  piloti che hanno donato grandi emozioni vogliamo parlare di uno in particolare. Un pilota che forse ha regalato la più toccante emozione nel raid africano. Forse i più nostalgici lo hanno già capito, altri lo hanno riconosciuto dalla foto, lui è Hubert Auriol un centauro capace di eroiche gesta sportive e al contempo un grande uomo soprattutto per le scelte che ancora oggi sta portando avanti.

Auriol nasce ad Addis Abeba nel 1952, a 21 anni viene folgorato dalla passione per la moto avvicinandosi alle specialità del motocross e dell’enduro ma in seguito il suo cuore viene rapito, forse anche per il richiamo alle sue radici, dalle mitiche gare nei deserti africani diventandone un vero specialista tanto da meritarsi l’appellativo di “l’African” .

Hubert prende parte al suo primo Rally Dakar nel 1979, seconda edizione di questo evento, vincendolo poi per due volte in sella ad una BMW R80 GS nel 1981 e 1983. Nel 1992 colleziona il tris, questa volta non in sella ad una moto ma vincendo il Raid nella categoria auto con una Mitsubishi Pajero.
Sarà il primo pilota a vincere la Dakar nelle categorie moto e auto. E’ l’infausto destino che gli impone il passaggio alle auto. Durante la disputa della penultima tappa dell’edizione del 1987 della Dakar Auriol, in sella alla sua Cagiva e al comando della classifica generale, decide di prendere una scorciatoia lasciando la pista battuta. Questa decisione lo catapulta verso un maledetto infortunio: Hubert non si accorge di alcune radici di un albero investendole in pieno con i piedi, trovandosi così a terra con entrambe le caviglie “distrutte”.

Fortunatamente, viene trovato da un equipaggio in auto al quale chiede di rimetterlo in moto: Auriol percorrerà gli ultimi tragici 20 km della tappa con le caviglie rotte, senza poter cambiare marcia e cercando di domare la sua moto.

Una riflessione nasce spontanea: perché finire la tappa? Ti avevano trovato, potevano chiamare i soccorsi, potevi chiamarli tu.. Cosa ti ha spinto a compiere un gesto così eroico?

Forse solo il dottor Costa con una delle sue “parabole” può spiegare tanto coraggio e determinazione. Per dovere di cronaca la vittoria di quella edizione andò a Cyril Neveu in sella ad una Honda, ma l’ impresa di Auriol sarà ricordata come la più bella vittoria morale della Dakar. Lo stesso Auriol disse alla televisione italiana, in un messaggio indirizzato la suo team manager e a tutti i dipendenti Cagiva: “Roberto (Roberto Azzalin, ndr), digli che abbiamo battuto la Honda”.

Attualmente Auriol con la sua più che trentennale esperienza nei raid africani, dal  2008 organizza l’Africa Race dopo essere stato direttore della Dakar dal 1995 al 2004 quando ancora questa transitava dalle terre d’Africa. Si tratta di un evento internazionale che assume i valori iniziali dei grandi Raids, aperta a professionisti e amatori e che oltre a ripercorre le vecchie vie della “Nobile Dakar” ha scopi umanitari,  coinvolgendo Governi, industrie e popolazioni delle regioni attraversate. Sono forse in quei valori che lo hanno portato a compiere quegli ultimi 20 km che oggi Hubert ha voluto tramutare in veste di organizzatore, seguendo l’esempio di Sabine e non cedendo alle lusinghe mediatiche o commerciali. Perchè il vero spirito della Dakar è quello che oggi Hubert porta avanti nella sua manifestazione.
http://www.africarace.com/en/

Il team Ufficiale BMW Dakar 1981

Il team BMW ufficiale alla presentazione della Dakar 1981: Fenouil, Auriol e Neimer.
special tsk www.passion-dakar.com

Gaston e Hubert Dakar 1984

Autentici mattatori dell’edizione 1984, Gaston Rahier e Hubert Auriol

Campagna ADV Champion 1987

Campagna ADV candele Champion 1987 con testimonial Hubert Auriol.

Cover Magazine – Moto Revue 1981

Cover del Magazine francese Moto Revue con le prove delle di Merel (3°), Bacou (2°), Padou (6°), Auriol (1°) al termine della Dakar 1981

BMW 980 Dakar 1983

Le 3 BMW 980 ufficiali di Auriol, Fenouil e Loizeaux in un momento di riposo alla Dakar 1984

Hubert Auriol Dakar 1982

Hubert Auriol ripara il pneumatico della sua BMW durante la Dakar 1982.