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DAKAR 1990 | Gilera, la più grande avventura

di Giuseppe Dell’Olio

Parigi e Dakar: nomi che identificano due città sulla carta Tra loro una sottile linea tormentata tracciata con l’inchiostro: é la linea dell’avventura di oggi, una linea che in una manciata di centimetri racchiude migliaia di chilometri di competizione La Parigi-Dakar é una gara dura, una gara di uomini e di mezzi meccanici esasperati, di team super organizzati, ma che lascia ancora spazio all’avventura, ai sacrifici, alle speranze ed alle 16836378_326020857794549_5051747352723917819_oillusioni di tanti che si lanciano a testa bassa verso il deserto, verso quel mare di sabbia e rocce che nasconde imperscrutabili segreti e mille insidie Gilera lo vuole dimostrare schierando al via due “RC 600” di serie affidate a Luigino Medardo ed al giovanissimo Roberto Mandelli

La 12a edizione della Parigi-Dakar prenderà il via il prossimo 23 dicembre. La grande maratona africana ha ormai raggiunto livelli di esasperazione agonistica che hanno del fantastico: squadre ufficiali dall’organizzazione incredibilmente complessa, moto che sono veri e propri prototipi del costo di centinaia di milioni, progettate e realizzate con un’unico obiettivo: vincere il terribile deserto africano. Ma é ancora possibile partecipare e possibilmente ben figurare alla classicissima di Natale con una moto di serie ed un team che non sembri un’esercito?

La domanda se la sono posta i responsabili della Gilera e hanno anche trovato una risposta. Certo che é ancora possibile. Basta realizzare un GileraRA_1990semplice cocktail dove gli ingredienti principali sono una buona enduro a 4 tempi di cilindrata sostenuta, un paio di piloti che non guardino solo alla possibilità di un primato assoluto, un team piccolo ma efficiente, uno sponsor veramente sportivo. Ad Arcore c’erano la “RC 600”, moto che ha vinto il Campionato Italiano Raid Marathon e che con un paio di serbatoi supplementari ed un road-book sembra nata per il Ténéré, Luigino Medardo, che non aspettava altro che portarla in Africa, al suo fianco il giovanissimo Roberto Mandelli che, tanto per dimostrare la sua incredulità per la possibilità che gli veniva offerta, ha pensato bene di vincere, al suo esordio in Africa, la classifica Marathon per moto di serie al Rally dei Faraoni.

pronta-al-viaPer quanto riguarda lo sponsor alla Henninger hanno ben pensato che con il caldo africano chi meglio di loro poteva pensare di proporre una bevuta fresca e ristoratrice agli uomini impegnati nei deserti? E così la gloriosa Casa di Arcore ha deciso di rientrare nel movimentato mondo delle competizioni di livello mondiale iscrivendo due “RC 600” alla Dakar. Un rientro molto atteso: erano in tanti ad avere nostalgia del rosso-corsa Gilera. Federico Martini, quale direttore tecnico e Gianni Perini, direttore sportivo, hanno accolto con entusiasmo l’iniziativa ed in brevissimo tempo é nato il team Gilera-Henninger che consta, oltre ai piloti di altre cinque persone tra addetti logistici e meccanici. Le Gilera RC 600 che partiranno per Dakar sono state approntate sulla base delle indicazioni sca-turite dalle vittoriose partecipazioni al Campionato Italiano Rally Marathon ed ai Rally di Tunisia e dei Faraoni.

“Sono moto di serie – ci conferma l’Ing. Martinie come tali non vogliono puntare al primato assoluto. Noi della Gilera vogliamo soltanto dimostrare che é ancora possibile ben figurare alla Dakar anche senza prototipi super sofisticati che nulla hanno a vedere con le moto che usiamo tutti i giorni.” “Siamo convinti – prosegue il d.t. Gilera – che una gara dura ed esasperata come il rally africano possa dare utilissime indicazioni sulle soluzioni tecniche ed i materiali utilizzati nella produzione di serie. E’ con questo obiettivo che ci schieriamo al via di Parigi: realizzare un collaudo estremo della nostra produzione per offrire alla clientela un prodotto sempre più affidabile e sicuro. Noi partiamo per arrivare in fondo e ben figurare, ma soprattutto per sapere fino a dove possono arrivare le moto che escono dal nostro stabilimento.” All’esperto Luigino Medardo, alla giovanissima promessa Roberto Mandelli ed alla “RC 600” il compito di confermare queste attese al traguardo di Dakar.

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Si chiama “RC 600″ la Gilera che sarà protagonista della 12” Parigi-Dakar tra le moto di serie della classe “Marathon Amelioré”. E’ stata sviluppata dai tecnici della Casa di Arcore per dimostrare che, nonostante l’esasperazione ormai raggiunta dai prototipi che corrono nel deserto, é ancora possibile partecipare alla grande avventura dakariana con mezzi semplici e poco costosi, direttamente derivati dalle moto di normale produzione.GileraRA_1990_2 Partendo dalla moto che ognuno può trovare dal concessionario, ad Arcore hanno apportato alcune, peraltro molto limitate, modifiche tecniche atte ad irrobustire alcuni particolari che durante una gara massacrante come la Dakar, vengono esasperatamente sollecitati. Altre migliorie riguardano la dotazione accessoristica, integrata per le esigenze particolari della gara. La Gilera RC 600 é un’enduro decisamente sportiva ma non esasperata, studiata per offrire all’utente reali caratteristiche di multi-funzionalità.

E’ dotata di un propulsore monocilindrico a 4 tempi di 569 cc. con distribuzione bialbero in testa comandata da cinghia dentata e quattro valvole. All’alimentazione provvede due carburatori. Il raffreddamento é a liquido con pompa e circuito termostatico a tre vie con elettroventola e miscelatore. L’accensione é di tipo elettronico a scarica capacitiva con dispositivo di anticipo automatico variabile. L’impostazione ciclistica di questa filante enduro non ha richiesto modifiche sostanziali per l’impiego esasperato in gara: una conferma della bontà di base del progetto Gilera. Il telaio é un monotrave sdoppiato in acciaio al cromo-molibdeno con rinforzi in lamiera. La parte posteriore é di tipo smontabile. La sospensione posteriore adotta un forcellone in lega leggera ed un monoammortizzatore supportato dai cinematismi progressivi dell’esclusivo sistema Gilera “Power Drive”.

Poche modifiche per affrontare il terribile Ténéré.
Uno dei problemi più difficili da risolvere nella preparazione di una moto per la Parigi-Dakar é la sistemazione del carburante. Aggiungere tanta benzina al carico della moto – rivelano i tecnici Gilera – crea non pochi problemi di ripartizione del peso, soprattutto in relazione al progressivo svuota-mento dei serbatoi. La Gilera RC 600 Parigi-Dakar adotta tre serbatoi: quello principale in posizione classica é sdoppiato e con-tiene delle GileraRC_1990paratie antisbattimento. Con i due laterali posizionati dietro le fiancatine la capacità complessiva raggiunge i 56 litri di carburante. Naturalmente i serbatoi alimentano i carburatori con l’ausilio di una pompa della benzina a membrana. Il pilota segue in gara un particolare criterio per l’utilizzazione dei serbatoi: i primi ad essere sfruttati so-no i due laterali.

Questi vengono svuotati parzialmente conservando in ciascuno circa quattro litri di benzina. Poi l’alimentazione passa sul serbatoio principale mentre gli otto litri avanzati in quelli laterali vengono a costituire una riserva d’emergenza. Un altro aspetto delle moto da raid africani che differisce completamente dai modelli di grande serie si riscontra nella strumentazione.

“Navigare” nel deserto é un po’ come navigare nell’oceano ed infatti la Gilera ha dotato le sue moto di particolari bussole elettroniche analoghe a quelle adottate dalle barche che stanno affrontando la regata intorno al mondo. Queste speciali bussole sono in grado di segnalare le eventuali deviazioni dalla rotta impostata dal pilota ed inoltre tengono conto delle possibili variazioni di indicazione indotte dalla inclinazione magnetica del luogo in cui viene effettuata la misurazione. L’eliminazione di tale margine di errore, che prende il nome di declinazione magnetica, rende decisamente più sicuro l’orientamento.

Alla bussola si affiancano poi due trip master professionali ed un porta road-book che contribuiscono a fare del manubrio di queste moto un vero e proprio agglomerato di indicatori e strumenti che agli occhi dei non addetti ai lavori appaiono un po’ strani e bizzarri. Deserto significa un’incredibile varietà di fondi: dalle rocce appuntite alla sabbia più soffice. Cerchie pneumatici risultano quindi tra gli organi più stressati della moto. La Gilera RC 600 adotta particolari cerchi in lega con pneumatici Michelin dotati della speciale “mousse” antiforatura. Altre piccole modifiche si sono rese necessarie per adeguare la Gilera RC 600 alle caratteristiche estremamente dure dei tracciati africani. In particolare é stata ritoccata la taratura delle sospensioni, sono state adottare pastiglie più resistenti per i freni, la marmitta di scarico é stata sostituita con due tromboncini più liberi, il filtro é stato ade-guato per attenuare i grossi problemi dovuti alla polvere. Il paracoppa, infine, é stato sostituito ed integrato con un serbatoio di emergenza per l’acqua potabile. In definiti-va le modifiche apportate alla Gilera RC 600 sono state estremamente limitate. Una splendida conferma della bontà e dell’affidabilità della moto di serie.

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Luigino Medardo ci svela tutti i segreti per guidare nel deserto
Arrivare in fondo é la difficoltà più grande della Dakar. E’ una gara terribile e bellissima, decisamente unica. Non é facile descrivere le sensazioni e le emozioni di un pilota durante questa corsa incredibile, dove – mi si perdoni la retorica – l’imprevisto é il pane quotidiano. La giornata tipo della Dakar inizia con la sveglia alle 4,45. In un quarto d’ora ti lavi (ma questo termine quando si parla della Parigi-Dakar ha un suono vagamente eufemistico), ti vesti e divori la colazione. Ci sono thè, latte, cioccolato, marmellata, biscotti. Alle 5 in punto il briefing del direttore di gara che mette al corrente di eventuali variazioni del tracciato e riassume velocemente il road-book della tappa. Poi subito a controllare la moto.

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Ogni pilota di gare africane vive un rapporto molto particolare col suo mezzo meccanico. Non mi vergogno di dire che durante la gara parlo con la (mia moto, ne ho seguito la nascita e lo sviluppo e credo di conoscerla fin nei più reconditi particolari. Per venti giorni la moto é la cosa più 1 importante. Da lei può dipendere il risultato della gara, ma ancora di più può dipendere la sopravvivenza stessa del pilota. Tengo a lei moltissimo, la curo personalmente, la voglio sempre nella forma migliore, anche dal punto di vista estetico. Credo che mia moglie sia un po’ gelosa di questa rossa Gilera… Ma torniamo alla giornata che stiamo vivendo nel deserto. Contrariamente a quello che si può pensare uno dei problemi della Dakar é rappresentato dal freddo. Nelle prime tappe, fino al Niger, la temperatura é decisamente bassa. La mattina davanti alla tenda il terreno é ghiacciato.

Partiamo per il primo trasferimento con tute imbottite e sottocasco, alcuni sono buffi, somigliano all’omino Michelin… Il trasferimento avviene in gruppo, senza forzare. Partenza della prova speciale: allineamento e poi ogni minuto il commissario addetto dà il via ad un concorrente. E’ il GileraRA_1990_3momento in cui il pilota dimentica tutto e tutti. Ora esistono solo la moto, la sabbia, il deserto, le tracce di chi ti precede ed il road-book. Il rombo del motore é come il palpitare del tuo cuore. La concentrazione é importantissima: non bisogna lasciarsi ingannare dalle mille insidie del deserto. L’orientamento é molto impegnativo. Ci si aiuta con ogni mezzo. Bisogna riconoscere alla vista i differenti tipi di fondo, le tracce fresche da quelle degli anni passati che rimangono impresse sulla sabbia come succede sul suolo lunare. Bisogna dosare le forze con parsimonia, resistere alla fame ed alla sete.

La PS (prova speciale, ndr) di un rally come la Dakar é una delle prove più impegnative in assoluto per un pilota. A volte ci si trova in due o più concorrenti a correre insieme. Nelle posizioni di alta classifica l’agonismo é esasperato. Gli avversari si studiano, si controllano costantemente. Non c’é collaborazione quando lotti per il primato. Nelle posizioni di rincalzo invece si ritrova la solidarietà, ci si aiuta a vicenda, ci si consulta per verificare la direzione da prendere. Ore ed ore così, sempre vicinissimi al limite fisico del pilota e meccanico della moto, senza mai rischiare più del dovuto, nemmeno nel confronto diretto (quando capita) nelle vicinanze dell’arrivo. Se questo é nei pressi del bivacco la prima persona che cerchi con gli occhi appena vedi il traguardo é il tuo D.S. che é un po’ un padre ed una guida per ogni pilota.

Se invece dopo la ps c’é ancora un trasferimento il volto amico é quello dei cronometristi che ti danno un po’ d’acqua e spesso hanno una parola d’incoraggiamento. In questo caso ti fermi un po’ nei pressi per controllare le posizioni degli avversari, per tirare un po’ di fiato e fare rifornimento. All’arrivo al bivacco cerchi subito la tua squadra ed il primo pensiero é per la manutenzione della moto. Nel frattempo arriva il tramonto, che nel deserto é rapidissimo. Alle 18 c’é il sole, dopo 5 minuti il buio é assoluto. Il tempo per lavarsi (sempre il particolare lavaggio-Dakar, cioè un po’ d’acqua sulla faccia…) e mangiare l’appetitosa (!) razione dell’Africatours e subito a preparare il road-book per la tappa del giorno dopo con l’enigmatico (per non dire misterioso) contenuto della scatoletta scaldata a bagno-maria che nel frattempo. impazza nello stomaco.

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Dopo l’operazione road-book che va fatta con molta attenzione il pilota si concede pochi minuti di relax prima di andare a dormire nella tenda. Bisogna dormire il più possibile e, statene certi, in una gara come la Dakar nessuno soffre d’insonnia! Ecco, questa é la Parigi-Dakar. Ma é anche la mano tesa di un bimbo del luogo che ti saluta in mezzo ad un deserto, dandoti quel calore umano che é una spinta indescrivibile ad andare avanti; é la bellezza di paesaggi da favola che vorresti incorniciare; é l’amicizia che si sprigiona la sera intorno al fuoco. Alla Dakar non esistono cose normali. Tutto é esasperato: farè pipì può essere un piccolo dramma, resistere alla tentazione di fermarsi a mangia-re la razione di muesli un tormento sadico. Grande, magnifica Dakar, nel cuore del pilota manca soltanto la visione magica di quella spiaggia “maledetta” sulle rive dell’Atlantico. Almeno una volta nella vita di pilota bisogna arrivare in fondo. Per poi ricominciare a sognare il momento di ripartire per la prossima magica Dakar.

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Che la Gilera RC 600 fosse una buona moto nessuno ne dubitava. La vittoria nell’edizione precedente e l’ottavo posto assoluto (davanti a sé esclusivamente sofisticati prototipi), costituivano un ottimo biglietto da visita per la monocilindrica di Arcore. La Gilera e Medardo sono andati oltre alle attese con una prestazione assai vicina a quella dei prototipi. Con soli 560 centimetri cubi, la RC è riuscita in tante occasioni a man-tenere il forte ritmo imposto dai bicilindrici e Medardo ha anche vinto la tappa del 5 gennaio da Ghat a Tumu, la “speciale” più lunga della Parigi-Dakar.

Non tutto è andato benissimo per la Gilera: le rotture del serbatoio posteriore troppo pieno di carburante e mal fissato, alberino d’avviamento rotto sulla moto di Mandelli che ha richiesto la sostituzione del motore (automatico il cambio di categoria) e un’accensione sperimentale che ha fatto le bizze al momento di avviare i motori, oltre ad un ammortizzatore distrutto da Medardo. Alla Gilera sono però soddisfatti anche perché ritengono che la Dakar sia di grande aiuto per la produzione di serie.

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L’ing. Federico Martini
, responsabile tecnico, è assolutamente convinto della validità della formula Silhouette della Dakar. Il fatto che ci ha spinto a gareggiare nella maratona africana e in particolare in questa categoria, è costituito dallo specifico regolamento. Correre tutta la Dakar senza cambiare motore e telaio costituisce un messaggio di affidabilità assoluta verso il pubblico. Un motore che resiste a più di diecimila chilometri di continue torture senza problemi, rappresenta una garanzia per un propulsore di serie.

Nella categoria Silhouette motore e telaio sono di serie mentre il resto può essere cambiato. Per migliorare il raffreddamento abbiamo utilizzato radiatori più grossi con uno scambio termico superiore del 30%. La centralina sino a metà gara era diversa da quella montata sulla RC 600; un’accensione che dava pochissimi vantaggi in fatto di potenza ma che era utile per diminuire le emissioni inquinanti. Può apparire strano montare una simile accensione senza in sostanza ricavare dei vantaggi ma anche questa scelta è fatta in previsione di un utilizzo sulla RC di serie Se l’accensione resiste alla Dakar vuol dire che andrà bene in tutte le altre condizioni.

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L’abbiamo sostituita da metà corsa in poi una volta acquisiti i dati di affidabilità. I problemi elettrici sono venuti da un’errata scelta di batterie e da un impianto elettrico che durante i test era perfetto, mentre in Africa non si è rivelato tale. Questa particolare centralina determina l’anticipo d’accensione secondo il numero dei giri e la diversità di pressione all’interno dei condotti d’aspirazione. a valle della valvola a farfalla del carburatore a depressione. — Dove è stata modificata la moto rispetto a quella della precedente Dakar? La gara dello scorso anno ci aveva dato importanti indicazioni: eravamo a posto come motore e telaio, mentre la maneggevolezza doveva essere migliorata. Poiché eravamo sicuri in termine di affidabilità del motore, ci siamo spinti a incrementarne le prestazioni. Abbiamo ripreso le modifiche introdotte sul propulsore di serie del RC 91.

Nuovi alberi a camme più spinti, pistone dal disegno rivisto, valvole maggiorate e carburatori di maggior diametro (30 mm). Abbiamo lavo-rato molto sugli impianti di aspirazione e scarico per estrarre dal motore tutto il suo potenziale. Nonostante il rapporto di compressione sia stato abbassato per usare benzine a basso numero di ottano, abbiamo riscontrato sette cavalli in più rispetto alla moto precedente. Ora siamo sui sessanta cavalli all’albero con un consumo che varia moltissimo secondo le condizioni del terreno di gara. Si va da un massimo di 6,5 litri sulla sabbia molle sino ai 9 del terreno duro. Non consuma poco, è vero! Un monocilindrico deve essere sempre spremuto al massimo per rimanere vicino alle prestazioni dei bicilindrici e quindi acceleratore sempre tutto aperto; condizioni estreme anche per il consumo. In totale la capacità dei serbatoi è stata aumentata a quasi sessanta litri, dieci in meno dei bicilindrici.

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Non è un gran vantaggio. È un po’ leggenda il dire che il mono sia più facile e leggero dei bicilindrici. La differenza di peso è al massimo di dieci chili a favore del mono e quindi non è rilevantissima. Per migliorare la maneggevolezza e la facilità di guida abbiamo rivisto la distribuzione dei pesi e il posizionamento dei serbatoi carburante. Le sospensioni sono nuove, le Kayaba giapponesi, montate anche sulla RC-A di serie. L’ammortizzatore è proprio quello standard modificato solo in tre lamelle interne per adeguarlo al maggiore peso della moto dakariana, per alleggerire il quale abbiamo usato qualche materiale leggero” ma niente di speciale. Tessuti di kevlar e carbonio per la carenatura – RC17serbatoio posteriore e per il cupolino, titanio per i fissaggi della sospensione posteriore del motore e le pedane. Ergal per i mozzi ricavati dal “pieno”.

Inoltre abbiamo rotto, ed anche questo inconveniente ce lo aspettavamo, il trave anteriore dove si fissa il motore. Fra previsto e subito lo abbiamo risolto, poiché per aumentare la luce da terra abbiamo tolto il telaietto che passa sotto il motore. In questo modo il propulsore lavora effettivamente come elemento stressato solle-citando il telaio. Per questo motivo abbiamo irrobustito i tiranti del motore aumentando-ne il diametro sino a 10 mm, rinforzando contemporaneamente le alette di attacco sul motore. Non abbiamo rotto più tiranti e carter motore, carne invece succedeva lo scorso anno; per contro ha cestito con una piccola crepa il telaio. Questo ci ha fatto capire che il motore può lavorare come elemento stressato e probabilmente useremo la stessa soluzione anche in serie, strutturando debitamente il trave anteriore del telaio Ed anche questa è un’altra efficace informazione da riportare sulla produzione di serie.

Altre rotture sono state quelle dei serbatoi posteriori in materiale composito. Erano tutti pezzi nuovi, finiti in pratica il giorno prima della partenza i serbatoi hanno avuto problemi di tipo meccanico. La sospensione posteriore tamponava un po’ troppo, tanto da far toccare la pinza del freno a disco con la parte interiore dei serbatoi. In fase di progetto avevamo previsto un gioco di 20 mm tra pinza e serbatoio ad escursione completa della ruota posteriore. Nei tamponamenti più decisi la pinza toccava; con inevitabili rotture. Questo vuol dire che sia il forcellone sia il telaietto che li sorregge cedevano, si piegavano leggermente. Modificata la taratura delle sospensioni, il problema è scomparso. Per contro è diminuito il comfort dei piloti e le moto saltavano un po’ troppo sulle buche.

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Si sono evidenziate delle piccole crepe sui serbatoi anteriori in alluminio a causa delle numerose saldature, la carrozzeria si rotta è rotta solo per le cadute, mentre non riusciamo a spiegare il motivo della rottura dell’albero di avviamento di Mandelli, perché proprio questo particolare era stato analizzalo a fondo. E’ stato cambiato anche il motore a Sotelo, perché si era bruciata la frizione per mancanza di gioco alla leva. Tutto il materiale di attrito dei dischi si é sparso nel motore ed un pezzo è andato a bloccare la valvola di sovrapressione del circuito di lubrificazione. Risultato: cotto bronzina sulla lesta di bella. Per il resto nessun altro problema meccanico ad eccezione della vaschetta dell’ammortizzatore frettolosamente fissato sulla moto di Medardo. —

La vostra moto esteticamente era la più riusata. tra tutte quelle che hanno corso, e forse anche la più aerodinamica.
«Si abbiamo curato molto l’estetica ma anche la protettività del pilota. Siamo partiti date dimensioni della scatola filtro, e abbiamo costruito intorno tutta la moto. Abbiamo cercato di proteggere I pilota per dargli un maggiore comfort. Meno si è stanchi, più forte si va e si commettono minori errori. La moto doveva essere la più Piccola possibile compatibilmente con le dimensioni del pilota. L’altezza del cupolino e quella de: plexiglass ha avuto come unico scopo quello di proteggere dalla pressione dell’aria il pilota Abbiamo invece scelto i fari omofocali per abbassare tutta la zona del cruscotto e la strumentazione, e garantire una maggiore visibilità. Inoltre questi fari assicuravano anche una migliore luminosità e quindi più sicurezza a chi rimaneva di notte nel deserto. La forma posteriore è dovuta al compromesso tra la maggiore capienza possibile e il minore ingombro per le gambe del pilota. Nel codone era posta la bussola, ed una batteria di soccorso. La forma dell’intera carenatura è stata studiata senza il conforto della galleria del vento. Ora proveremo la moto anche in queste condizioni; vogliamo essere pronti per tempo.

Si può quantificare il costo delta operazione Dakar?
Solo di materiale puro superiamo cento milioni per moto, ma tutta l’organizzazione ha ben altri e maggiori costi. Stiamo valutando se è possibile costruire un piccolo numero di repliche della RC Dakar. La cifra dovrebbe aggirarsi sui sessanta milioni e sarebbe comunque un prezzo politico. La differenza di costi sarà assorbita dalla fabbrica»

Sarete presenti anche nella prossima Dakar? «Sicuramente sì. Le condizioni che si incontrano alla Parigi-Dakar sono praticamente irripetibili, sia strumentalmente sia nelle normali condizioni di collaudo delle moto. Con la gara africana possiamo verificare molte parti della moto di serie» anche se la prossima Gilera RC non gareggerà più nella Silhouette. Costruiremo un prototipo con una cilindrata vicina ai 650 cc anche se probabilmente l’affidabilità non sarà più garantita al cento per cento».

Fonte Motociclismo Aprile 1991

Dakariani D.O.C.: intervista a Luigino Medardo

Intanto, Luigi o Luigino: Luigino è il mio nome di battesimo.

Hai iniziato nella regolarità dove hai vinto varie sei giorni a squadre, un campionato europeo e vari titoli italiani, poi hai deciso di passare al mondo dei Rally, perchè questa scelta?
In occasione della “sei giorni di San Pellegrino dell’86” fui contattato da Daniele Papi, l’allora manager della Yamaha Belgarda che mi chiese se mi andava di fare qualche gara di rally.
Dissi subito di si, l’attrazione per l’Africa l’avevo sin da bambino e poterla scoprire guidando una moto che era la mia grande passione fu la coronazione di un bellissimo sogno.
Iniziai l’avventura impegnandomi subito nel rally di Tunisia, Marocco, Faraoni e la Dakar, le stesse gare che affrontai anche nell’87.

Nel ‘90 portasti al debutto la Gilera ottenendo in due anni ottimi piazzamenti 8° e 7° assoluto, correndo nella classe silhouette. Cosa comportava correrere in questa classe?
Esistevano 3 categorie, la serie, dove non potevi cambiare praticamente niente alla moto, la silhouette, dove dovevano restare di serie il telaio e motore, mentre il resto poteva essere sostituito, ad esempio gli scarichi e i serbatoi ma non le ruote, infine la classe prototipi dove la moto veniva costruita a misura di pilota e per il tipo di gara e durante l’evento avevi a disposizione un massimo di 3 motori di scorta e potevi cambiare qualsiasi cosa, ad eccezione del telaio.
Passai a Gilera perchè Yamaha non era la squadra per me, ossia, quando fui chiamato a correre, la squadra esisteva già e aveva Franco Picco come pilota di riferimento.
Lui proveniva dal cross e io dalla regolarità, due stili di guida diversi, le moto in Giappone venivano testate da Lui e quando arrivavano qui per correre non erano adatte al mio stile di guida. Quindi soffrii tantissimo, mi feci male e alla fine decisi di lasciare la Yamaha.
Volevo dimostrare a me stesso di riuscire a fare qualcosa di buono anche nei rally e così nacque una scommessa. Mi incontrai con Gianni Perini (Gilera) al salone di Milano e gli parlai del mio progetto e scoccò la scintilla.
Partendo dalla base della moto che già correva nel motorally, iniziammo lo sviluppo e ci presentammo al rally di Tunisia. I risultati non furono eclatanti, ma il progetto era ormai avviato e proseguimmo partecipando al Faraoni e in seguito alla Dakar.
L’anno successivo, sempre alla Dakar, ottenemmo 3 vittorie di tappa con la nostra moto da 600 cc contro le più potenti della classe prototipi. Grandi risultati ma altrettante soddisfazioni personali, come quella di arrivare in Gilera e di questa moto non c’era praticamente niente, iniziare con i meccanici a costruirla per me, seguendo le mie direttive. Qualsiasi cosa chiedessi, veniva esaudita, addirittura i serbatoi vennero sagomati dal modellista sull’impronta della mia gamba!

Poi arrivò il prototipo, la RC 750 e tutti pensavamo che fosse l’anno buono per vedere una moto italiana con un pilota italiano al comando della Dakar. Invece cosa successe?
Il prototipo fu costruito in tempi record e debuttammo al rally di Tunisia con una vittoria.
Nel frattempo arrivò in squadra anche Picco e, al Faraoni mi ritirai per un piccolo guasto alla moto. Picco invece, dopo il ritiro di De Petri per infortunio si aggiudicò il rally.
Tutto faceva presagire che la direzione presa per lo sviluppo delle moto, era quella giusta. Partimmo per la Dakar convinti di poter fare grandi cose, ma purtroppo Picco si fece male dopo poche tappe e io dovetti ritirarmi per un problema tecnico alla frizione, un difetto mai riscontrato precedentemente nei test. L’anno successivo, tutti i team ufficiali, Cagiva, Gilera, Honda ecc…. a causa della crisi economica, al conseguente calo delle vendite e di interesse per questo tipo di motociclette, decisero di ritirarsi dalle competizioni.
Allora avevo 32 anni e non ebbi la tenacia di ripartire con un nuovo team. Decisi di abbandonare le gare. Fu un errore perchè poì arrivò KTM portando nuova energia ed interesse per questo tipo di gare e se fossi rimasto come fece Meoni, molto probabilmente avrei potuto cavarmi qualche altra soddisfazione.

L’arrivo di Franco Picco in squadra creò rivalità? Partivate tutti e due con le stesse chances o c’era un pilota di punta?
No non c’era nessuna rivalità e ambedue partivamo con le stesse chances.
Il mio problema con lui era solo una questine tecnica, già in Yamaha voleva una moto diversa da quella che potevo utilizzare io o Grasso che era in squadra con noi, aveva un modo di mettere a punto le moto che erano a mio parere troppo estreme, moto da cross, con tarature durissime e difficili da guidare. Lui stesso alla fine, quando eravamo in procinto di partire per la gara continuava ad intervenire sui settaggi. Cercare di sitemare la moto sul campo per me era una cosa improponibile da svolgere.
Solo questo era il nostro punto di discordia, niente di personale.
In Gilera i patti erano chiari, i collaudi e le regolazioni sulla mia moto li facevo solo ed esclusivamente io.

Sappiamo tutti che nella regolarità si usava nascondersi dietro qualche cespuglio in caso di guasto e sostituire le parti danneggiate, con quella della moto “Ombra”.
Alla Dakar ti è mai successo qualcosa di simile? Raccontaci un aneddoto legato a quegli anni. Non era così facile nei rally fare qualcosa, nel deserto non era facile trovare cespugli dove nascondersi. (ride)

Durante una tappa marathon mi si ruppe il tubo che portava l’olio dal mono ammortizzatore al serbatoio e il giorno dopo avrei avuto grosse difficoltà a concludere la tappa e mantenere la testa della classifica. Diciamo che facemmo gioco di squadra! Dai camion assistenza era vietato scaricare ricambi e la moto era in parco chiuso.

Quella notte recuperai l’ammortizzatore sano e lo affidai ad un amico giornalista che il mattino seguente sarebbe sceso lungo il percorso di gara a svolgere il suo lavoro.

Ci accordammo e me lo lasciò in un determinato punto del percorso. Il giorno seguente alla partenza della tappa con gli altri piloti del team ci demmo appuntamento sul luogo indicato e sostituimmo il mono proprio mentre l’elicottero dell’organizzazione stava atterrando per un controllo. Sotterrammo velocemente il ricambio danneggiato sotto la sabbia e non trovandolo ci lasciarono continuare la gara.

Cosa è cambiato dalla Parigi Dakar di allora alla nuova Dakar in Sudamerica?
Credo che ora la Dakar sia una gara un pò più umana, più fattibile.
La prima Dakar a cui partecipai era di 17.000 Km in 18 giorni con uno solo giorno di riposo, praticamente 1.000 km al giorno. Se poi un giorno ne facevamo 800, vuol dire che quello successive erano almeno 1.200. Utilizzando poi moto molto veloci il rischio era molto alto e di incidenti in quegli anni ce ne sono stati davvero tanti. Un’altro aspetto importante è che le prime Dakar a cui ho partecipai si usava la bussola a mano e non era poi così semplice navigare e orientarsi. Anche se nelle tappe si partiva tutti insieme nel deserto, dopo pochi km ci si perdeva di vista perchè ognuno sceglieva la propria rotta e dopo 20/30 km eri solo.
Poi man mano che ci avvicinavamo al traguardo iniziavamo a scorgere all’orizzonte dei puntini neri lontanissimi che piano piano convergevano verso lo stesso punto.
Era proprio un’avventura!

Sappiamo che sei rimasto nel settore, di cosa ti occupi?
Lavoro per Scott moto e Scott bici come agente per il Triveneto.

Vuoi aggiungere qualcosa?
Si ho due cose nel cuore che vorrei dire. La prima è che i fratelli Frigerio, quando arrivai da loro a 15 anni mi accolsero come un figlio. Dormivo in camera con uno dei loro figli come fossi da sempre uno della famiglia.
Questo è un ricordo importante che avrò per sempre nel cuore. L’altro è un ringraziamento particolare a Gilera, alla squadra e a tutte le persone che ne facevano parte, in particolar modo Silvano Galbusera che era il mio meccanico di fiducia e capo meccanico del team, e che ora è con Valentino Rossi alla moto GP.

Testo a cura di: Pietro Bartolomei
Foto: Archivio Luigino Medardo

Medardo e la sfida ai prototipi alla Dakar 1991

Le robuste protezioni della giacca da gara fanno comodo soprattutto dopo l’arrivo. La schiena di Luigino Medardo è messa a dura prova da una tempesta di pacche amichevoli, un turbine di congratulazioni che lo travolge lasciandolo senza fiato. Grazie a lui la Gilera ha vinto ancora nella categoria silhouette, ha conquistato un successo di tappa a Tumu ed uno nella marathon Agadez-Gao. Ma soprattutto ha lottato per quasi tutta la gara con i prototipi, moto costruite su misura per la Dakar e di cilindrata ben superiore ai 558 cc della sua RC 600, modificata solo in alcuni particolari.

Più che una vittoria, un trionfo. Non è questione di campanilismo: da tempo l’accoppiata tutta italiana non sbaglia un colpo, tanto che il successo nella silhouette non è nemmeno motivo di discussione. Però questa volta Medardo ed il suo compagno di squadra Mandelli hanno superato se stessi. Il settimo posto assoluto di punta, ad un’ora e mezza dal vincitore, è più di quanto si potesse sperare. Ma lui non è d’accordo.

«A dire la verità avremmo voluto entrare nei primi cinque — protesta sorridendo — e penso proprio che avremmo potuto farcela, era alla nostra portata. Però avremmo dovuto marciare sempre regolarmente, senza problemi. Invece ho rotto l’ammortizzatore nella parte finale della tappa Ghadames-Idri, e siccome si trattava di una marathon non ho potuto cambiarlo che il giorno dopo, sulla pista, perdendo un’ora.

A Dirkou, invece, si è scaricata la batteria: un inconveniente stupido che mi è costato mezz’ora, perché la moto non voleva saperne di riaccendersi dopo il rifornimento. Sono banalità, verificatesi perché non abbiamo avuto molto tempo per lavorare sulla moto. Però nel complesso è andata più che bene».

Di questo si può essere sicuri. Ben poche volte il sanguigno Gianni Perini, team manager, ha avuto motivo di agitarsi per i ritardi dei suoi uomini. Una fortuna, vista l’intensità con cui vive le vicende delle sue moto, disperandosi ed esultando come se sulla sella ci fosse lui. Quando a Ghat, dopo appena un paio di giorni, ha visto che nessuno dei suoi tre uomini arrivava, ha rischiato l’infarto. Invece si erano fermati assieme per sostituire l’ammortizzatore rotto da Medardo con quello lasciato lungo la pista da una macchina fuori gara.

Un’astuzia fuori regolamento per non aspettare il camion di assistenza, visto che non era stato possibile rimediare al guaio la sera trattandosi di una tappa marathon, quelle in cui è vietata l’assistenza al bivacco. Nonostante la paura passata, il ricordo migliore di Medardo è legato proprio alle tappe marathon.

«Sono molto difficili, basta un nulla per mandare tutto all’aria. Però per me il ricordo più bello di questa Dakar è proprio la marathon Agadez-Gao, dove ho vinto la classifica complessiva delle due giornate. Sono state due tappe dure, molto difficili. Io ho fatto tutto alla perfezione, ed ho vinto. Una soddisfazione enorme».

Una delle tante tappe ormai, visto che Medardo e la Gilera continuano a monopolizzare la categoria. Se dominano, però, non è per mancanza di avversari.

«La Cagiva ha provato a far correre una moto nella silhouette al Rally dei Faraoni, ma ha rinunciato a ripetere l’esperimento alla Dakar. Anche la Suzuki ha provato nella nostra categoria, e non ce l’ha fatta, così come il Team Honda Europa con le Africa Twin. Credo proprio che ci voglia una moto molto, ma molto competitiva per battere la Gilera. C’erano piloti agguerritissimi, eppure abbiamo lottato più volte con i prototipi».

Medardo modestissimo, finge di dimenticare se stesso. Bisogna chiamarlo direttamente in causa per avere la sua opinione in proposito.

«Il pilota? È già abbastanza vecchio, con 31 anni e diverse Parigi-Dakar sulle spalle. Non basta un giovane per batterlo». La questione però ora si pone nel senso opposto: è Medardo che dovrà andare a battere gli altri, visto che il prossimo anno la Gilera debutterà tra i prototipi.

«Penso che si correrà ancora anche nella silhouette, ma io sarò sul prototipo. So che sarà un impegno difficile, ma parto per vincere: diversamente non avrei ambizioni. Un pilota deve avere sempre un obiettivo ben preciso soprattutto in queste gare così dure. Altrimenti non si trova la forza per andare avanti».

Se c’è una cosa che a Medardo non è mai mancata è proprio la determinazione, la volontà di arrivare a tutti i costi. Ci riuscì lo scorso anno con una gamba dolorante per una distorsione, ce l’ha fatta anche questa volta, con una mano gonfia per una caduta.
«È stato proprio alla fine della tappa di Kiffa, a cinque chilometri dall’arrivo. C’era una buca segnalata sul road book, ma c’era anche tanta polvere. L’ho individuata solo quando ci sono arrivato sopra e sono caduto». Un peccato veniale; l’unico di un pilota che oltre ad andare forte sbaglia pochissimo. Un pilota che per la Gilera vale oro. E pensare che quando Perini lo contattò offrendogli il posto in squadra, Medardo stava meditando propositi di ritiro…

Fonte motosprint

 

I “nostri eroi”, gli italiani all’arrivo della Dakar 1990

In piedi: Franco Picco, Alessandro Ciro De Petri, Medardo, Mandelli, Petrini, Marcaccini, Cabini e Montebelli;
Accosciati: Gualini, Algeri, Grassotti, Signorelli, Orioli, Mercandelli e Aluigi. Nella foto manca solo Zotti.

Gilera RC 750 1992

Siamo alla partenza della Parigi – Le Cap del 1992 e la Gilera decide finalmente di partire con un “prototipo” e cercare di giocarsi la vittoria nella generale. I piloti sono di altissimo livello e rispondono al nome di Franco Picco e “Luigino” Medardo, la moto è la nuova RC 750 che è alla sua sola seconda uscita, dopo la brevissima esperienza nel Rally dei Faraoni del ’91, interrotta anzitempo a causa della frattura di Picco e della rottura della cinghia di distribuzione sulla moto di Medardo. La moto è una monocilindrica da 750 cc. con distribuzione bialbero a 4 valvole in testa comandata da cinghia dentata, cambio è a 5 marce e frizione a secco.

Un progetto innovativo che va controcorrente rispetto alle tendenze dell’epoca: alla potenza e al peso delle bicilindriche ufficiali vengono preferite la leggerezza e la maneggevolezza.
Purtroppo la sfortuna si accanisce su questo progetto nato con le migliori aspettative, entrambi i piloti si ritireranno nella stessa tappa, la speciale Waw El Kbir-Tumu, Medardo per un guasto tecnico, Picco per una caduta che gli causerà una frattura al polso.

Gilera RC 600 1991

Presentata nel 1989, la Gilera RC 600 è dotata di motore monocilindrico da 569 cc, erogava 48 cv a 7.250 giri, ed aveva distribuzione bialbero a quattro valvole comandate da una cinghia dentata in gomma, l’albero monolitico con biella a cappello, il raffreddamento a liquido e l’accensione elettrica digitale e il telaio a monoculla.

Alla Parigi Dakar del 1991 i piloti, Luigi Medardo e Roberto Mandelli si classificarono 7° e 9° nella generale!