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Antonio Cabini: non c’è 2 senza 3!

Fedele al proverbio non c’è due senza tre Antonio Cabini, dopo aver portato a termine le due precedenti edizioni della Parigi-Dakar, è arrivato al traguardo finale della maratona africana anche nel 1991. In sella ad una Yamaha da lui stesso preparata il trentaquattrenne cremasco ha portato a quota sette le sue partecipazioni all’affascinante manifestazione in quanto si era presentato per la prima volta nell’84, fra i primi italiani; ci ha riprovato senza fortuna nei due anni successivi, è poi stato della partita come navigatore di auto nell’87 ed ha saltato solo l’edizione 88.

Si è concluso con molta soddisfazione la Dakar motociclistica 1991 di Antonio Cabini, «veterano» della corsa con all’attivo sette partecipazioni. Da privato con una Yamaha monocilindrica.

Stavolta, come già due anni prima, si è classificato al trentottesimo po-sto, un risultato magari non eccezio-nale ma sempre confortante per chi si presenta solo con un meccanico avio-trasportato e qualche cassa di ricam-bi su un camion.

È la terza volta consecutiva che raggiungi Dakar. È sempre una soddisfazione notevole a la prima volta è irripetibile?
«Effettivamente la prima volta ti regala emozioni proprio speciali. Nel mio caso, poi, io avevo inseguito quel traguardo per ben quattro volte senza successo e di conseguenza volevo proprio farcela. Quest’anno aveva l’incognita della moto, che avevo preparato io stesso, dopo che nelle due precedenti edizioni avevo noleggiato una moto ex ufficiale dalla Belgarda. C’era il timore di non riuscire ad arrivare in fondo ma tutto sommato è sempre andata bene e ce l’ho fatta nuovamente. La maggiore soddisfazione è stata raggiungere Dakar con un mezzo preparato in proprio.»

Hai incontrato maggiori o minori difficoltà rispetto al passato?
«Come percorso la Dakar ’91 l’ho giudicata più selettiva, più dura. Per quanto mi riguarda ho avuto problemi limitati e non mi é mai stata inflitta la forfettaria. Sono rimasto due volte senza benzina dopo aver sbagliato pista a causa di una limitata autonomia, ma soprattutto mi ha rallentato un’errata scelta della cassetta del fil-tro. Mi aspirava poca aria e non poteva usufruire di tutta la potenza. Purtroppo l’inconveniente non era più ri-medibile una volta partiti e mi sono rassegnato… sono i tipici inconvenienti di chi arriva a montare gli ultimi pezzi in fretta e furia, magari proprio il giorno di Natale.»

L’organizzazione ha aumentato le tappe marathon per favorire, a suo dire, i piloti privati. Ti è sembrata una scelta azzeccata?
«L’intenzione era buona ma i risultati non sono stati quelli promessi. I piloti ufficiali prima delle tappe marathon hanno la possibilità di farsi revisionare al meglio i mezzi e quindi difficilmente, a meno di cadute o particolari eventi sfortunati, incontrano poi problemi. Riescono poi a trovare il sistema di farsi lasciare sulla pista qualche pezzo da sostituire e all’arrivo, mentre noi dobbiamo arrangiarci col sacco a pelo, trovano sempre qualcuno che li fornisce di tende e altri comfort. In ogni caso se ripenso a due anni fa, quando non avevo il meccanico sull’aereo, stavolta per me é stata tutto sommato una Dakar sopportabile.»

Cosa più di tutto ti spinge ad affrontare questa maratona?
«È la sua diversità da tutte le altre gare che attira. È una gara dove non conta solo la classifica ma anche arri-vare in fondo, superare ogni ostacolo e traversia, ti gratifica anche senza le vittorie. Dopo una certa età si ha voglia di qualcosa di differente, di qualcosa che va al di là del risultato sportivo e in questo senso la Dakar è una delle poche, se non l’unica, che pud dare questo genere di sensazioni.»

Cosa trovi stupendo e cosa sconsiderato della manifestazione?
«Stupendi trovo i posti attraversati, i paesaggi, tutti luoghi dove difficilmente un semplice turista può arrivare, Trovo eccessivamente stressante la parte europea della gara, soprattutto prima del via. Tra verifiche, trasferimenti, passerelle e compagnia bella non si vede l’ora di arrivare in Africa, specialmente per i privati é una fase allucinante.»

Con gli sponsor riesci a pareggiare i conti o questa Dakar ti procura ingenti spese?
«Mi hanno aiutato la ditta lcas e la Top cuscinetti ma ovviamente bisogna integrare di tasca propria queste entrate per poter partecipare ad una Dakar. Per un privato del mio livello la spesa si aggira sui 50-60 milioni. Bisognerebbe forse cercare di coalizzarsi e limitare così le spese comuni. In questo senso mi dicono abbia svol-to un buon lavoro il team Assommato.»

Tra una Dakar e l’altra partecipi ad altre gare?
«Negli anni scorsi ci riuscivo. Ultimamente il lavoro mi assorbe troppo. Ho corso nei Rally di Sardegna, nel Trofeo Motorally, all’Atlas. Vengo dall’enduro e prima della Dakar mi cimentavo in campo regionale e nazio-nale.»

Nella prossima edizione ci sarai nuovamente?
«Non ho ancora deciso. Devo forse trovare qualche nuovo stimolo. La febbre dell’Africa, comunque, colpisce anche me e se quando corro non vedo l’ora che finisca in primavera ricomincio a sentirne la nostalgia. Ve-dremo.»

Intervista: Danilo Sechi

Cabini e Torri Dakar 1989

Cabini e Torri intenti a sistemare la catena della KTM di Claudio durante al Dakar 1989.