1986 – Una Dakar sfortunata per Serge Bacou

Una volta di più la malasorte ha colpito Serge Bacou, e senza aspettare il Ténéré, questa volta. Tamanrasset e Iférouane, il road book indica la presenza di un solco profondo. L’anno precedente la corsa di Marinoni era terminata proprio in quel punto. Hubert Auriol l’ha vista sul suo rullo ma…

Prologo innevato per la carovana Dakar 1986

Prologo innevato per la carovana Dakar 1986

«Sono arrivato molto veloce, a 120 o 130 chilometri all’ora, l’ho visto troppo tardi. Sono volato per almeno due metri, per un attimo ho anche creduto di riuscire a recuperare, invece la ruota anteriore si è piantata ed ho fatto una caduta da judoka temendo che la moto mi cadesse addosso.»

7 titoli di campione di Francia di motocross (1971 classe 250, 1971, 1972, 1973, 1974, 1976 e 1977 classe 500 e 13 tappe vinte nelle 8 Dakar a cui ha partecipato.

7 titoli di campione di Francia di motocross (1971 classe 250, 1971, 1972, 1973, 1974, 1976 e 1977 classe 500 e 13 tappe vinte nelle 8 Dakar a cui ha partecipato.

Appena rimessosi in piedi, Hubert gesticola per avvertire Cyril Neveu che lo seguiva da vicino. Recupera la moto e riparte. Poco dopo anche Gaston Rahier è vittima della doppia cunetta. Rimane a terra intontito e intanto compare il grande Serge che spinge al massimo tentando in tal modo di colmare l’handicap di potenza della sua Yamaha monocilindrica in questa tappa veloce. Come quelli che lo hanno preceduto de-colla e cade malamente, rimanendo a terra con la gamba a squadra. Rahier si riprende e si precipita a soccorrerlo e Serge lo informa:
«Ho il femore rotto.»
Non sarà Bacou a vincere l’ottava Dakar…

La reputazione del Ténéré, uno dei deserti più impressionanti del mondo, è giustificata. «La sabbia è molle, assai poco compatta, molto più difficile dell’anno scorso. Alcuni ostacoli sono nascosti dalle dune che si spostano in continuazione per effetto del vento. Non perdete la pista, mi raccomando non allontanatevi; non perdetevi d’occhio.»
Thierry Sabine chiarisce le insidie di tappa pur non volendo drammatizzare eccessivamente la situazione.

Il tragico destino di Jean Michel Baron

L’ 11 gennaio 1986 si è andati avanti con una tappa interminabile di 590 chilometri su strada fino a Zinder e tutti i concorrenti hanno assistito a una scena terribile qualche decina di chilometri dopo Nguigmi: Jean-Michel Baron, già dolorante al bacino da più di cinque giorni, giace a terra su un fianco. Ha il viso tumefatto e il ginocchio scoppiato, ed è privo di sensi; la sua Honda 750 è a parecchie decine di metri di distanza. Tutti i concorrenti si fermano per soccorrerlo. Jean-Claude Olivier gli taglia la tuta con il coltello per permettergli di respirare e resta con lui parecchie ore per pulire le ferite. Nel frattempo Gaston Rahier e Jacky Ickx tornano alla partenza per telefonare. Vengono attivati i radiofari d’emergenza. Purtroppo i tre elicotteri sono a terra. Tre ore dopo i dottori Florence Bonnel e Alain Lamour a bordo del veicolo medico si allontanano dalle sabbie della speciale e arrivano in soccorso di Jean-Michel. I medici valutano la gravità delle lesioni: coma al secondo stadio, lesione al ginocchio con ferita profonda, gomito destro fracassato, frattura del volto. Si attiva allora l’organizzazione per le grandi emergenze.

Jean Michel Baron

Jean Michel Baron

Thierry Sabine decolla immediatamente con l’elicottero pilotato da Francis-Xavier Bagnoud per trasportare il ferito a Nguigmi. Patrick Fourticq, trentanove anni, comandante dell’Air France oltre che protagonista del rally africano in veste di pilota, prende i comandi di un Cessna e si precipita a Nguigmi con i dottori Marianne Fleury e Alan Jones a bordo. Roger Kalmanowitz allerta SOS Assistance a Ginevra che garantisce un Lear-Jet per le due del mattino a Zinder. Il Cessna si insabbia subito dopo l’atterraggio, allora Fourticq si rivolge al responsabile della pista di atterraggio, che si scopre essere un suo ex allievo pilota.

Sta preparando le segnalazioni per l’elicottero che non è ancora arrivato, perché ha dovuto fare rifornimento. Il ferito viene quindi caricato sul Cessna e bisogna riuscire a decollare. Ci vogliono sette uomini per disinsabbiare l’aereo. La vettura della polizia viene collocata all’inizio della pista con i fari accesi e due uomini con le torce segnalano le distanze. Fourticq lancia l’aereo e riesce a emergere dalla sabbia e a decollare. Due ore dopo il Cessna atterra a Zinder. Il dottor Lapendry, capo della squadra medica dell’ambasciata, ha già predisposto tutto: la modesta infermeria del piccolo aeroporto è stata trasformata in blocco operatorio. «Abbiamo dovuto eseguire un intervento chirurgico come da protocollo: è stato necessario pulire le ferite ed effettuare una verifica chirurgica per preservare la futura funzionalità degli organi.»

Claude Lapendry, insieme a Jacques Azorin e Olivier Aubry opera il ginocchio, il gomito e il viso di Jean-Michel Baron, inserendo dei cateteri nei diversi organi vitali alla luce dei neon. La scena di questi uomini in verde, mascherati, che si aggirano intorno a uno di loro per cercare di strapparlo alla morte nel profondo del deserto è irreale, quasi fiabesca. La notte, al bivacco, i concorrenti sfilano uno dopo l’altro, con le immagini accumulate poco prima a lato della strada nel Niger meridionale ancora impresse in fondo agli occhi. Quando arrivano al camion di Africatours per prendere da mangiare si sfogano. «Gli avevo detto ieri sera di fermarsi. Non era più il caso di proseguire, aveva troppo dolore al bacino.»

È Gilles Picard, suo compagno di squadra alla Cagiva che parla, lentamente, sommessamente, come se si potesse tornare indietro nel tempo. «Per parecchie ore, nella pausa della corsa, mi sono domandato cosa ci facessi qui e se fosse il caso di continuare.»
Gérard Tilliette ha un macigno sul petto. Sarebbero comunque ripartiti tutti il giorno dopo, verso i 205 chilometri di insidie tra Tahoua e Talcho, prima di concedersi il piacere di una giornata di riposo a Niamey. Nella notte il jet ha trasportato Baron verso Parigi, verso la civiltà, verso una clinica specializzata.
ndr: purtroppo Baron non si riprese mai da quell’incidente, rimase in coma vegetativo fino alla suo decesso il 7 settembre 2010.

tratto da: L’albero perduto della Parigi Dakar di Jean Luc Roy edito da Edizione Mare Verticale

 

Gli italiani alla Dakar 1983

Abbiamo detto che gli italiani in gara sono stati sfortunati, ma fino e che punto si può parlare di sfortuna e non di disorganizzazione? Due erano le squadre tricolori presenti alla Parigi-Dakar, quella della Morini assistita da Valentini e composta da Massimiliano Volantini, Gianni Gagliotti e Leandro Ceccarelli. con l’aggiunta di Marco Folignati, un privato aiutato dal team ufficiale e quella delle Yarnaha-Belgarda che poteva contare su tre XT 550 guidate da Balestrieri, l’unico che si sia classificato, Bergamaschi e Zanichelli. Fra le due Equipes senza dubbio la più sfortunata è stata quella dei ragazzi di Parma.

Balestrieri, Zanichelli, Folignati e Bergamaschi

Balestrieri, Zanichelli, Folignati e Bergamaschi

Paolo Bergamaschi è uscito di scena già a Les Garrigues, in Francia, per una caduta e quando Balestrieri e Zanichelli viaggiavano di conserva nel Ténéré il secondo ha dovuto fermarsi per la rottura dell’ammortizzatore. Il più grosso limite dei tre della Yamaha è stata comunque l’assistenza, assicurata in via di amicizia dal noto pilota Gianfranco Bonera che in realtà ha fatto quanto ha potuto ma ha avuto lui stesso così tante gatte da pelare da perdere il contatto con i suoi stessi piloti quando questi hanno iniziato ad avere bisogno di lui.

Pressapoco stessa sorte toccata al trio della Morini che dietro una facciata quanto o professionale (grazie alla Zanussi che li aveva

Marco Folignati su Morini

Marco Folignati su Morini

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La Fiat Campagnola di supporto al team Valentini

sponsorizzati potevano contare su due mezzi d’appoggio, (una Campagnola Fiat ed Datsun Patrol) nascondeva anch’essa carenze organizzative non dovute tanto a cattiva volontà quanto ad una mole di lavoro aocessiva. Infatti quando la gara è entrata nel vivo le tre gialle Morini hanno un po’ perso i contatti con la loro assistenza ed il risultato è stato quello che si è visto, ai primi problemi meccanici di una certa gravità si sono dovuti ritirare; anche il bravo Valentini che all’inizio della Parigi-Dakar sembrava veramente potesse ben figurare.

La sorte del quarto uomo Morini, Marco Folignati, è stata ancor più singolare alla partenza della tappa Dirkou-Agades involontariamente Bonera provando la moto è finito in terra rompendo il serbatoio del carburante. Ciononostante Folignati è riu-scito a ripartire, seppure in ritardo, ma anche per lui quando le ore di ritardo sono divenute troppe, e non esisteva la possibilità di recuperarle, è venuto il momento del ritiro.

Fonte: Motosprint

Le Morini alla partenza

Le Morini alla partenza

Cyril Neveu: nel 1984 torno in auto!

Al termine della quinta edizione (1983 ndr.) della Parigi-Dakar vinta da Auriol, il suo maggiore antagonista, Cyril Neveu, ha forse dato la notizia più importante della giornata. Neveu 1983

«Non so se tornerò in sella ad una moto —ha detto il pilota 26 enne — i motociclisti in questa corsa sono obbligati a rischiare in modo eccessivo e testimonianza ne sono il gran numero fratturati per non parlare dalla possibilità di incidenti mortali. come purtroppo è accaduto quest’anno. Questa situazione mi ha fatto riflettere per cui spero che qualcuno nel 1984 decida di mettermi fra le mani un volante piuttosto che un manubrio”.

Nani Roma e la “paura di vincere”

Dakar 2002 – Dalla quarta alla settima tappa Nani Roma è in testa alla generale, a Zouerat nell’ottava, Meoni prende il comando. Nani inizia il suo inseguimento: alla dodicesima i due sono molto vicini e con distacchi minimi arrivano fino a Tichit in Mauritania. Mancano solo due tappe decisive per la vittoria finale della Dakar 2002. Ed è qui che accade l’incredibile.

Quattrordicesima tappa Tichit-Kiffa 473 chilometri. Nani si volta e continua ad andare, si volta ancora e continua per la sua strada, non capisce se si è perso o se è quella la giusta via. Perché non c’è nessuno? Dove sono gli altri? Eppure la pista è qui, il GPS dice così, anche il roadbook. O forse no?

“Avrei dovuto fare mezzo giro e andarmi a cercare la traccia buona, era chiaro che non potesse essere quella. Sentivo che stavo sbagliando ma non ho avuto la lucidità per tornare indietro”.

Pochi metri dopo Nani è sopra la cresta di una montagna, cerca di salire, cerca di trovare un varco, cerca una valle dentro la quale infilarsi, cerca un buco per uscire dal tunnel. Nani è in gabbia, sbatte la testa contro le sbarre e cerca di un’uscita come una tigre allo zoo. Dove si è infilato non può essere un terreno da Dakar, è un percorso di trial!. La moto gli cade dalle mani, gli scivola giù dalla montagna, prova a salire, ad uscire ma cade ancora. La sua moto è troppo pesante e ingombrante, nessuno sarebbe in grado di portarla fuori di lì. Non passa nessuno. Fabrizio è a pochi metri da lui in linea d’aria, ma a in basso a fianco alla montagna e viaggia in un pistone da 120 all’ora. Mentre l’altro va, Nani cerca di fare mulattiere impossibili.

Un elicottero della televisione francese, segue tutta la sequenza, dall’alto le telecamere seguono gli sforzi dell’animale impazzito. Il veivolo resta sulla scena, non lo può abbandonare a sé stesso. E prova, prova, e prova ancora. La montagna è più grande di lui ma Nani continua, sputando sangue, a cercare di salirgli sopra. Poi scende a fondo valle, rallenta, è seduto, la moto balbetta ed è fuori controllo, cammina a stento perché è senza pilota, Nani è aggrappato al manubrio ma semi-svenuto. La moto avanza lentamente per forza d’inerzia, poi si china a terra con il suo pilota inerme. L’elicottero si posa al suo fianco. Nani trema, ha freddo, è terrorizzato. “Non ti sei fatto male”, gli surrurra dentro il casco Gerard Roltz, giornalista di France Television. No, non si è fatto niente, è caduto da fermo. Ma dentro si che ha male: “stupido! Bastava fare mezzo giro, invece ho cercato di scalare l’Everest!”

Il grande campione, la speranza che sette anni prima aveva fatto scrivere di sé, è ancora una volta in ginocchio.
Grazie a Guido Conter per aver rappresentato a parole quello che il video non poteva.

 

Re tra i Re – Nani Roma

La lunga marcia di Nani Roma verso la vittoria finale nella gara africana più dura, una vita verso Dakar.
di Guido Conter

E’ passata la mezzanotte da qualche ora. Il mondo intero si sveglia all’ora di pranzo dopo avere bevuto e ballato per festeggiare l’inizio del 1996. Juan Roma Cararach si sveglia in testa alla Dakar. Dietro di lui tutti i giganti: Peterhansel, Orioli, Arcarons, Kinigardner. Quel pomeriggio del primo dell’anno mentre monta la tenda, a Oudja in Marocco, la luce nei suoi occhi è davvero particolare.

“Era la mia prima Dakar, tutto sembrava facile”

Quell’anno la gara partiva da Granada. La prima tappa fino a Malaga la vince Tiainen ma lui è lì che se la gioca alla pari col finlandese e con Trolli su un terreno impossibile, da enduro estremo. La seconda in Marocco da Nador a Oudja la vince Kini ma lui è sempre lì. Sulle pietraie marocchine Peterhansel con la Yamaha bicilindrica fa fatica, Roma non si fa pregare, per un attimo gli tremano i polsi, poi spalanca il gas e si mette dietro il drago il cui solo pronunciare il nome metteva soggezione.

Roma è in testa in classifica generale dopo 463 chilometri, nella tappa successiva verso Er Rachidia (552 chilometri di cui 328 di speciale) prende la ruota di Peterhansel e non lo molla. Dove è guidato Nani lo supera, sul veloce l’altro gli passa accanto e lo riempie di polvere e pietre, per fargli capire che quello è il gioco dei grandi, si nuota in mare alto ed è lo squalo che detta legge.

Mancano 6564 chilometri a Dakar ma i giornali e le televisioni di tutto il mondo non parlano che di lui, è l’uomo nuovo anche se è un po’ presto per dirlo. Il ragazzo è molto simpatico ed è bellissimo da vedere alla guida, la sua tecnica incanta e in molti sono convinti che possa vincere presto, forse subito.

Nani Roma, Re fra i Re

Nani Roma, Re fra i Re

Ma chi è Juan Roma Cararach? Non viene dal nulla, non si è improvvisato pilota. Nel campionato spagnolo di enduro è sempre tra i primi, ha vinto un campionato europeo con una Husqvana 250 2 tempi nel 1994, anno in cui è stato medaglia d’oro alla Sei Giorni. Nel 1995 vince la Baja Aragon e come premio Jordi Arcarons lo porta alla Dakar. La sua Ktm è poco più che standard ma va bene così e a testa bassa sfida i giganti senza timore. Qualcuno al bivacco gli dice di andare piano ma lui questo avverbio non lo capisce. Lo capirà il giorno dopo. Quando si sveglia dopo aver perso i sensi, vede la faccia di Franco Acerbis che lo consola e gli comunica che la sua prima Dakar è andata alle ortiche. E’ durata poco ma ora il mondo intero sa il suo vero nome: Nani

Diceva il grande Fabrizio: “Mi piace molto Nani, da lui ho imparato molto, ha una tecnica raffinata, il suo corpo sulla moto è sempre nella posizione corretta”

L’anno dopo si parte ed arriva a Dakar. Il percorso è duro, faticoso fin da subito, Nani c’è ma al giro di boa, ad Agadez in Niger, cade e si rompe scapola e clavicola. Quando arrivano i soccorsi, lo trovano a terra ma la sua moto non c’è, qualcuno l’ha rubata. Verrà ritrovata sette anni dopo, a metà del 2005. L’Africa prende e dà secondo logiche a volte incomprensibili. Ora è nel suo garage a Folgueroles dove Nani è nato e vive.

Nel 1998 va forte ed è forte anche nella navigazione. Alla quarta tappa El Rachidia-Ouarzazate, si ferma e guarda in terra. La sua testa gli dice destra, le tracce degli altri dicono dritto. Che fare? “Ero sicuro che fosse destra, ma possibile che si sbagliassero tutti Arcarons, Peterhansel? Poi arrivò Fabrizio, come sempre solido come una roccia, fece un cenno con la testa, staccò la frizione e sparì nel nulla… ovviamente verso destra. Non avevo bisogno di altre conferme, bastava Fabrizio. Gli andai dietro, andammo forte come mai, ballavamo per mano in un fandango meraviglioso. Attorno a noi silenzio, dietro di noi… nessuno”
Quando arrivano al bivacco scendono dalle moto ad aspettare gli altri. Il primo arriva dopo mezz’ora.

Meoni vince la tappa, i due sono davanti a tutti di una vita. Nani vorrebbe amministrare il vantaggio ma la sesta tappa (Smara Zouerat 614 chilometri, 494 di speciale) è una pista veloce, velocissima, Peterhansel lo passa sul dritto. “Mi sembrava di essere fermo, quel bicilindrico Yamaha andava che faceva paura. Stephan aveva il fuoco dentro, mi prese 18 minuti solo in quella tappa”.

Il giorno dopo riparte verso El Mreiti, c’erano stati problemi con l’assistenza e la moto non era perfetta, a metà percorso si rompe un cuscinetto della frizione. La moto è ferma, Nani gli si siede accanto e apetta l’assistenza. L’attesa dura tutta la notte. “E’ stata un’esperienza indimenticabile, quel cielo illuminato a giorno dalle stelle”. Se avesse potuto ascolatare la musica, avrebbe alzato il volume ad una ballata di Springsteen, invece resta lì ad ascoltare il suono del deserto, un silenzio assoluto. Nani è fermo ma cresce ogni giorno di più, sa di essere forte e forse un giorno vincerà. “Vincere è sempre difficile, vince uno solo”. Per adesso va bene così e KTM gli propone un contratto per l’anno successivo. Può scegliere se fare solo la Dakar e guadagnare circa trenta milioni di lire di allora, oppure fare tutte le gare e guadagnarne meno di dieci. “Ovviamente ho scelto di correre più gare possibile”

Nel 1999 non c’è con la testa, si è separato dalla moglie da cui ha avuto una figlia due anni prima ed è poco concentrato sulla gara eppure va veloce. La KTM gli affida Giò Sala come gregario. “Mi sembrava impossibile che Giò fosse lì per me. E’ una persona fuori dal comune, un uomo buono, leale, mi è sempre piaciuto stare con lui. A volte andava più forte di me e si fermava in speciale ad aspettarmi, mi sentivo in imbarazzo, non mi sembrava logico”.

E’ in forma, va forte ma cade anche nel ’99… e fanno quattro! Si era fermato a vedere cosa fossa sucesso a Meoni fermo a bordo pista, ripartendo, a 20 all’ora prende una pietra e finisce in terra. Risale in moto, ha male ad un dito ma finisce lo stesso la speciale (Bir Mogrein-Atar 629 Km). Il medico che lo visita all’arrivo gli impedisce di partire il giorno dopo: quel dito è fratturato in otto parti.

Nel 2000 si parte da Dakar e si arriva al Cairo. KTM (che non ha ancora mai vinto) schiera un esercito di moto e la sfida è con BMW che ha vinto l’anno precedente con Sainct.

Nani è il più veloce, è imprendibile per tutti. Alla seconda tappa è in testa alla generale. Parte per primo e nessuno è in grado nemmeno di avvicinarlo. Vince la terza e la quarta tappa. A Bobo Dioulasso ha un vantaggio su Sainct di più di 20 minuti. La gara è durissima, i piloti Kappa abbandonano uno dietro l’altro.

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La sfida della Dakar 2000 è contro lo squadrone BMW

Lui ha capito come si fa, amministra dove è rischioso, fa la differenza dove sente di poterlo fare. Nani c’è e fa paura, ogni mattina parte e sparisce nel nulla, è concentrato, motivato. Per quanto gli altri cerchino soluzioni, ogni giorno il ritardo da Roma aumenta. Alla nona tappa da Waha a Khofra in Libia, Sainct attacca alla morte ma gli prende un solo secondo in 610 chilometri di speciale.

La decima tappa porta in Egitto, dove il traguardo è previsto al Cairo tre giorni dopo. A Nani basta andare, prendere la ruota di Sainct e farsi accompagnare fino alla fine. E’ fatta, nessuno gli potrà togliere il successo. “Alla KTM c’era una gran confusione, venivano montati pezzi mai sperimentati prima, i problemi meccanici erano all’ordine del giorno a causa di scelte avventate e illogiche da parte dei tecnici, le moto subivano cambiamenti sostanziali senza che ci fosse la certezza di ottenere risultati positivi. Ero in testa si, ma da solo”.

Alla decima tappa il suo motore si rompe, la moto affonda nella sabbia e con lei i sogni, le speranze, il lavoro fatto, il talento che forse nessuno saprà riconoscergli. Altro che musica, altro che silenzio. Nani si prende la testa tra le mani, attorno a lui tutto è fermo, l’unica cosa che si muove è la BMW di Richard Sainct che avanza serena verso la vittoria finale. Nani non è più il pivello del ’96, è un pilota veloce, è un campione cui la mala sorte ha tolto la coppa del vincitore. Che rabbia, che tristezza. Il tempo che passa dura una vita intera, quando riesce a ripartire dietro di sé fa il vuoto, vince le ultime due tappe. Lui, che è il vincitore della Dakar dell’anno 2000, in classifica sarà solo 17esimo.

Nani Roma Dakar 2001 su BMW

Nani Roma Dakar 2001 su BMW

BMW piazza quattro moto ai primi quattro posti nell’anno che doveva essere di KTM. Nani scalpita, a Monaco lo vogliono. BMW gli propone soldi e una bicilindrica per due anni. “Ho detto si, volevo cambiare. Il bicilindrico era la moto più difficile che io avessi mai guidato ma era una sfida, volevo provare”

Al prologo della 23esima edizione, fa l’assoluta a pari tempo con l’amico Sala. “Fare il tempo in una speciale guidata da sei minuti con quella moto è stato semplicemente esilarante, era difficile, era pesante, ingombrante” Con quella moto era difficile pensare alla vittoria finale, ma lui ci prova, vince un paio di tappe prima di ritirarsi per una caduta dove si rompe un ginocchio. Vince la KTM, vince un irrefrenabile Meoni.

“BMW decise poi di ritirarsi con un anno di anticipo. Ero senza moto e senza lavoro. Chiamai Kini, non mi lasciò nemmeno finire di parlare: KTM è la tua casa, puoi tornare quando vuoi, per te una moto ci sarà sempre”.

Nel 2002 in gara ci sono due persone. Nani Roma, il talento e Fabrizio Meoni il gigante. Fabrizio si è costruito una moto addosso. A fine estate si era presentato al Rally d’Egitto con la nuovissima bicilindrica LC8. In quel rally ha lasciato Roma in testa per quasi tutta la gara per poi andarselo aprendere sul finale e metterselo dietro. Fabrizio è in stato di grazia, fa quello che vuole e non sembra avere punti deboli, per batterlo ci vuole concentrazione, velocità, tattica.

Dalla quarta alla settima tappa Nani è in testa alla generale, a Zouerat nell’ottava, Meoni prende il comando. Nani inizia il suo inseguimento: alla dodicesima i due sono molto vicini e con distacchi minimi arrivano fino a Tichit in Mauritania. Mancano due tappe decisive per la vittoria finale della Dakar 2002. Ed è qui che accade l’incredibile.

Quattrordicesima tappa Tichit-Kiffa 473 chilometri. Nani si volta e continua ad andare, si volta ancora e continua per la sua strada, non capisce se si è perso o se è quella la giusta via. Perché non c’è nessuno? Dove sono gli altri? Eppure la pista è qui, il GPS dice così, anche il roadbook. O forse no?

“Avrei dovuto fare mezzo giro e andarmi a cercare la traccia buona, era chiaro che non potesse essere quella. Sentivo che stavo sbagliando ma non ho avuto la lucidità per tornare indietro”.

Pochi metri dopo Nani è sopra la cresta di una montagna, cerca di salire, cerca di trovare un varco, cerca una valle dentro la quale infilarsi, cerca un buco per uscire dal tunnel. Nani è in gabbia, sbatte la testa contro le sbarre e cerca di un’uscita come una tigre allo zoo. Dove si è infilato non può essere un terreno da Dakar, è un percorso di trial!. La moto gli cade dalle mani, gli scivola giù dalla montagna, prova a salire, ad uscire ma cade ancora. La sua moto è troppo pesante e ingombrante, nessuno sarebbe in grado di portarla fuori di lì. Non passa nessuno. Fabrizio è a pochi metri da lui in linea d’aria, ma a in basso a fianco alla montagna e viaggia in un pistone da 120 all’ora. Mentre l’altro va, Nani cerca di fare mulattiere impossibili.

Un elicottero della televisione francese, segue tutta la sequenza, dall’alto le telecamere seguono gli sforzi dell’animale impazzito. Il veivolo resta sulla scena, non lo può abbandonare a sé stesso. E prova, prova, e prova ancora. La montagna è più grande di lui ma Nani continua, sputando sangue, a cercare di salirgli sopra. Poi scende a fondo valle, rallenta, è seduto, la moto balbetta ed è fuori controllo, cammina a stento perché è senza pilota, Nani è aggrappato al manubrio ma semi-svenuto. La moto avanza lentamente per forza d’inerzia, poi si china a terra con il suo pilota inerme. L’elicottero si posa al suo fianco. Nani trema, ha freddo, è terrorizzato. “Non ti sei fatto male”, gli surrurra dentro il casco Gerard Roltz, giornalista di France Television. No, non si è fatto niente, è caduto da fermo. Ma dentro si che ha male: “stupido! Bastava fare mezzo giro, invece ho cercato di scalare l’Everest!”.
Il grande campione, la speranza che sette anni prima aveva fatto scrivere di sé, è ancora una volta in ginocchio.

“LC8 era la mia moto, mi piaceva più di ogni altra, KTM decise di darmela dopo quella Dakar, fui molto contento, vinsi subito in Tunisia”.

Dopo tanti piazzamenti, tante cadute, tanta sfortuna, una vittoria ci voleva, eppure sono molti gli osservatori a giurare che ormai Juan Roma Cararach non avrebbe più vinto. Quando avrebbe potuto non l’ha fatto per sfortuna e per cadute, ora è entrato in un loop negativo e non vincerà più, sentenzia qualcun’altro dopo la caduta a 130 orari in mezzo alla pietre fuori dalla pista sulla via verso Zilla (Libia) alla Dakar 2003 dove quasi ci lascia la pelle.

Nani Roma con Fabrizio Meoni alla Dakar 2003

Nani Roma con Fabrizio Meoni alla Dakar 2003

Chi è Roma? Si può essere re senza avere la corona? Si può essere tra i grandi senza aver mai vinto? La misura di sé è data da ciò che ognuno sente di essere, dall’apprezzamento degli altri che non è mai mancato. Tutti hanno sempre avuto grande ammirazione e rispetto per lui e questo potrebbe bastare per mettere il suo nome nella bacheca dei grandi, o forse no.

“Ho sempre corso per me stesso, non mi è mai interessata la gloria, ho dato sempre tutto ciò che potevo, in Africa le gare sono difficili, il vento gira in un attimo e quello che sembra facile diventa impossibile”.

1 gennaio 2004, Francia, parte la 26esima edizione della Dakar. Le moto al via sono 195, la numero 4 è la sua. Al prologo sotto la neve chi, dei 35 mila spettatori, è pronto a scommettere un soldo su di lui? Ci sono da fare 9506 chilometri e 500 metri, centimetro dopo centimetro, metro dopo metro. Minuti, ore, giorni. Avversari veloci, d’esperienza, intelligenti.

Lui non lo sa, eppure questa è la volta buona. Vincerà e sarà Re tra i Re.

Esteve Pujol è in testa alla quinta tappa, a Tan Tan in Marocco Nani lo affianca nella generale. Nei 1055 chilometri della tappa successiva Esteve Pujol cade, Meoni ha problemi con la sua LC8, Sainct va forte e riduce lo svantaggio vincendo la speciale. Nani vince il giorno dopo. Despres spinge ma non fa paura perché ha un ritardo accumulato all’ottava tappa. Poi il ponte aereo, ci sono problemi di sicurezza in Burkina-Faso e i concorrenti vengono aviotrasportati direttamente alla partenza della 12 tappa.

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Il 2004 finalmente è l’anno giusto per Nani Roma che si aggiudica la Dakar

Nani respira profondamente, mantiene la calma e la testa così ancora nella tappa successiva. Nella 14esima tappa da Ayoun el Atrus a Tidjikja, Nani si perde ma stavolta ritrova la strada, butta via poco più di un minuto ma resta davanti mentre Despres continua a vincere e ad avvicinarsi al podio. A Nani tremano i polsi e nella 15esima tappa, vinta da Meoni perde 2’.37” su Sainct che lo insegue, altri 2 minuti nella sedicesima ma va bene così. Perde ogni giorno secondi, minuti e guadagna ogni giorno, centimetri, metri, chilometri.

La 17esima tappa è Dakar-Dakar 106 chilometri di cui solo 27 di speciale. Vince ancora Despres, Nani accarezza la battigia del Lago Rosa con un filo di gas, corre libero, sereno verso la sua corona di Re.
Chi è Juan Roma Cararach, quello di un mese prima, un campione, ma ora ha in testa la corona che per troppi anni è stata nascosta da qualche parte sotto la sabbia.

Questa è la fine di una storia che ricomincia mezz’ora dopo la premiazione dentro la hall dell’hotel Meridien di Dakar. Nani firma per Mitsubishi ed inizia una nuova carriera a quattro ruote. “Mi sono sempre piaciute le auto, avessi avuto i soldi avrei iniziato a correre in macchina fin da subito”

Risultati

1991: Vicampione di Spagna Enduro Junior 125 cc

1992: 5º nel Cto. Europa de Enduro Senior 125 cc

1993: 4º nel Cto. di Spagna de Enduro Senior

Medaglia di bronzo ISDE

1994: Campione Europeo di Enduro Senior

Medaglia d’oro ISDE

4º Cto. di Spagna Enduro Senior

1995: 2º Cto. di Spagna Enduro 4T

Medaglia di bronzo ISDE

1996: 3º Cto di Spagna Enduro 4T

2º Assoluto del Cto. Mondo Enduro 4T

1997: Campeione di Spagna di Enduro

Campione di Spagna Raids

1999: Medaglia d’oro ISDE

2º Rally d’Egitto

2º Rally del Dubai

Vincitore Baja Aragón e Baja Italia

2000: Medaglia di bronzo ISDE

2001: Medaglia di bronzo ISDE

2º Baja Aragón

2002: Vincitore del Rally di Tunisia (KTM 950 Rally)

1º Baja Aragón

2003: 2º Baja Aragón

3º Coppa FIM Rallys T.T.

3º Rally di Tunisia

3º Rally del Marocco

Vencitore Rally d’Egitto

Vencitore Rally di Sardegna

2004: Vencitore della Dakar

2º Rally di Sardegna

Walter Surini al traguardo di Città del Capo nel 1992

Due volte al via e due volte al traguardo, nel ’91 a Dakar, 36esimo, a Città del Capo, 20esimo. Walter Surini ha nuovamente dimostrato di avere le capacità ed il temperamento per ben districarsi nella massacrante maratona africana. Difendendo i colori della Kawasaki IP Italy ripagò la fiducia accordatagli portando la 500 Kle bicilindrica quattro tempi da un capo all’altro del Continente nero sfiorando il successo nella categoria 500 (è stato a lungo in testa alla graduatoria provvisoria) e centrando quella della 500 international, riservata ai piloti con buoni risultati nei rally internazionali.

Il pilota di Rogno portò a termine anche la sua seconda avventura nella Dakar piazzandosi ventesimo assoluto su Kawasaki – il salto di un timbro per una nota errata del road-book gli costò una penalizzazione di dodici ore.

Grande soddisfazione all'arrivo. Maletti risulterà vincitore della cat. fino a 500 cc.

Grande soddisfazione di Surini con il compagno di team Maletti all’arrivo.

– E’ stato più emozionante raggiungere Dakar l’anno scorso oppure Città del Capo quest’anno?
“Sono state entrambe sensazioni bellissime. A Dakar si trattava della prima volta, era la fine di un’avventura tutta da scoprire, a Città del Capo mi ha colpito l’accoglienza che ci hanno tributato, l’entusiasmo degli spettatori. Se devo proprio scegliere è stato più bello l’arrivo ’92 perché la gara è stata più difficile, più faticosa e stressante. Non è vero, come si è detto e scritto, che nella seconda parte la corsa sia stata una passeggiata. Si, non ci sono più stati colpi di scena ai vertici delle classifiche ma abbiamo attraversato percorsi insidiosi e molto difficili, non è stata una vacanza, lo posso assicurare. Chi ha affermato il contrario o si è ritirato a metà oppure ha effettuato i trasferimenti in aereo.”

– Che sia stata comunque deludente non si può però negare. Se facesse parte dell’organizzazione che modifiche apporterebbe?
“Continuerei a puntare sul completo attraversamento dell’Africa ma effettuerei la gara al contrario, da sud a nord, da Città del Capo a Tripoli. Pensa, all’inizio tappe con brevi distacchi tanto per creare il clima giusto e poi, nel deserto, la grande selezione finale. Certo ci sarebbero inconvenienti anche in questo caso, per esempio il trasporto dei mezzi in Sudafrica condizionerebbe i tempi di effettuazione, ma dal punto di vista prettamente agonistico si proporrebbe una competizione sicuramente più interessante ed incerta sino all’ultimo.”

Surini.Dakar

Walter Surini sulla Kawasaki KLE 500 del Team IP Italy

– Da trentaseiesimo a ventesimo è stato un bel passo avanti. Merito della maggiore esperienza o anche di cos’altro?
“Innanzitutto poteva andare anche molto meglio, senza il salto di timbro nelle battute conclusive e la conseguente pesante penalizzazione avrei potuto guadagnare anche cinque posizioni. Certo l’esperienza ha giocato un ruolo non indifferente ma determinante è stata l’affidabilità della mia Kawasaki, una moto talvolta non adeguatamente potente, con un assetto non specifico ma davvero affidabile. Rispetto a dodici mesi prima ho tribolato molto meno, non ha avuto rotture gravi anche se per qualche giorno ho corso senza la quinta marcia, ho potuto raggiungere i bivacchi in tempi ragionevoli e quindi ripresentarmi molto pi` riposato e lucido al via della frazione successiva. E tutto questo nonostante la nostra organizzazione abbia dovuto fare a meno molto presto del camion d’assistenza costringendoci a limitare le sostituzioni dei pezzi usurati e spesso ad elemosinare qualche copertone o altri pezzi di ricambio.”

– Ma esattamente cosa è successo quel giorno che ha saltato il controllo a timbro?
“Quella è stata una tappa micidiale, davvero molto impegnativa, e l’inconveniente capitato a me è successo anche a parecchi altri piloti. Certo io sono arrivato in ritardo di qualche minuto al briefing mattutino ma quello che mi ha indotto all’errore è stata una nota inesatta del road-book. Mi ha fatto imboccare una pista parallela a quella giusta, in mezzo alla vegetazione, e non ho potuto accorgermi del timbro, che magari era vicinissimo a dove sono transitato. Sono stato penalizzato con dodici ore, l’inconveniente mi è costato davvero caro.

– Ai suoi livelli si riesce a pareggiare le spese o addirittura partecipare a questa gara comporta sacrifici economici?
“Stavolta ho pareggiato i conti ma obiettivamente dopo una tale faticaccia, aver trascorso un mese tra polvere e sudore, aver macinato migliaia di chilometri non mi sembra di dire un’eresia se affermo che qualcosa in tasca dovrebbe anche rimanere. D’altronde noi piloti siamo così, la passione troppo spesso ci fa fare cose irrazionali.”

– Adesso nel suo futuro cosa c’è?
“Alla fine di febbraio conto di conseguire il brevetto commerciale come pilota d’elicotteri mentre come pilota aspetto che la Kawasaki definisca i suoi prossimi programmi. Certamente conto di partecipare a qualche rally importante.”
di Danilo Sechi
http://www.motowinners.it/spazio%20interviste/Surini%20Dakar%201992.htm

Fabrizio Meoni Tribute

Ci piace ricordarlo così: sanguigno e sincero!
Ciao Fabrizio

Dakar 1991, la cavalcata gloriosa di Edi

Spezzoni di un’epoca mai dimenticata. Bignardi del Team Assomoto, Edi e la sua Cagiva, Ciro alle prese con una gomma, Mas che fa benzina, Montebelli al self service…meraviglioso!

Patrizio Fiorini, le mie Dakar

Categoria Malles Moto: ovvero, l’organizzazione ti trasporta una cassa coi tuoi ricambi e, credo, due ruote complete. Tu in un campo allestito, illuminato, con vari servizi tipo: gazebo, compressore, idropulitirice, saldatrice, meccanici dell’organizzazione quando disponibili, spazio tende, docce… devi arrangiarti a fare tutto.

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Praticamente quello che in Africa negli anni ’80 e inizi ’90 era un trattamento da pilota semi-ufficiale. In quegli anni il privato partiva con lo zaino, e al massimo, un pò di ricambi su un camion. I più “ricchi” avevano un meccanico assieme ad altri piloti e qualche ricambio in più.
Poi c’erano una decina di “ufficiali”, ma erano su una altro pianeta. Io potevo ritenermi fortunato, grazie ad un amico, avevo caricato su un camion in gara, una cassa con olio, filtri, camere d’aria e un motore di ricambio. E una borsa con qualche vestito oltre quelli che avevo addosso fin dalle verifiche a Rouen.

Alla seconda tappa in Libia il camion del mio amico Stefano Pirola di Lissone si rompe, decidono di salvare il salvabile tornando a casa. Tutto quello che riuscirono a fare fu consegnare la borsa coi vestiti ad un’auto di un team francese, un Toyota privatissimo del Team Sud che rimase a piedi due tappe dopo. Appena in tempo per lasciare la borsa al bivacco, il sacco a pelo no, quello se lo lasciarono sull’auto… mi arrivò mesi dopo a casa con saluti e gadget del Team Sud.

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Così al bivacco della seconda tappa in Libia, mi ritrovai com’ero da giorni, solo stivali nei piedi, senza un goccio d’olio per la moto, senza sacco a pelo (la tenda non era prevista), filtri o qualsiasi cosa per gli imprevisti. I vestiti che trovai erano l’ultima cosa di cui avevo bisogno, avevo viaggiato per anni da solo senza prevedere nulla per me, solo per la moto, e vedermi recapitare la borsa da due colleghi di sfighe su 4 ruote, mi sembrò una presa in giro, ma erano talmente malconci che li ringrziai, passammo una bella serata insieme, ci scambiammo gli indirizzi promettendoci un bel team auto e moto per l’anno dopo (sogni da falò sotto le stelle).

Al bivacco della prima tappa non riuscii nemmeno a trovare il mio camion, il marasma era totale, una bufera di vento e pioggia aveva ridotto l’area a ridosso di un aeroporto in un pantano di sabbia e fango. Ricordo Montebelli e Marcaccini, gli amici che mi vendettero la moto, fare manutenzione ai loro 660 sotto un diluvio nello spazio improvvisato dalla Yamaha BYRD. Io vagai fino all’alba tentando di sdraiarmi sui teli di plastica di chi era riuscito ad aprire le tende sotto un grande gazebo. Da lì in poi, fino al mio abbandono per rottura del cambio tra Tenere e Ciad, ho vissuto di espedienti, a scrocco di tutto, a dormire avvolto nel telo di sporavvivenza sotto i camion.

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Leggere oggi che sei stanchino perché dormirai 3 ore e mezza, perché “ti tocca” la Malles Moto, mi fa sorridere.

Nella foto, sono l’anno dopo alla seconda tappa in Marocco, guido ancora col piede destro sul motore, la pedana è rimasta tra Montpellier e Marsiglia forse incastrata nella macchina di Paul Maurice, un ubriaco che mi tagliò la strada in trasferimento. Lasciai in giro per il fosso tutti gli strumenti, i fari, pezzi di carena, codino, la tuta antiacqua (pioveva anche li…), il dito mignolo della mano destra e due costole. Vedere Franco Picco ed Edi Orioli aiutarmi e, a pacche sulla schiena dirmi “dai resisti”, mi fece continuare, sempre con la mia cassa da privato a cercare una pedana compatibile da saldare col troncone di leva del freno che mi era rimasta.

Abbandonai anche lì, in Algeria, arrivai a fine tappa oltre la partenza del giorno dopo, 980 km dentro e fuori il grande Erg Occidentale, la classica tappa di sfoltimento che alleggeriva la TSO in vista dell’ingresso in Africa Nera. Dal giorno dell’incidente in Francia dormii (male) solo quella prima notte, le costole si stavano svegliando… dopo, per quattro tappe non mi sdraiai mai. Alla partenza di ogni tappa i medici, che sapevano dell’incidente, mi facevano una visita per vedere com’ero messo, pressione, occhi, riflessi e altre boiate che avrei evitato volentieri, pur di mettere a posto altre cose nella moto (luci obbligatorie per es.).

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Tornai a casa in moto come nei miei viaggi, col Tunisi-Genova, più in forma di quando ero partito, con la moto schiacciata ma finalmente a posto ed efficiente.

Nel ’97 ho scoperto il benessere della categoria Malles Moto. Di avere un mio meccanico comunque non se ne parlava. Trovarmi tutti quei servizi a disposizione, mi sembrò un’altro mondo, pulire il filtro con l’aria compressa è roba importante, avere un meccanico ed un gommista che prima o poi ti consegna la tua ruota o il pezzo di ricambio (solo per possessori di ktm al tempo) mi sgravava di un sacco di ore di lavoro che potevo impiegare sul road book e fare quel bel lavoro con gli evidenziatori colorati che spesso si vede nelle foto di oggi. Dormire sempre poco comunque.

Abbandonai la corsa tra Mali e Senegal prima di farmi male seriamente, prendevo troppi rischi per andare avanti a tutti i costi, si partiva da Dakar e il caldo era troppo. Bene per me che mi rimase quel pelo di lucidità per decidere di fermarmi. Male andò ad un collega francese che vidi a terra con le auto attorno su una pista rossa con solchi fondi come tutta la ruota. Al bivacco si seppe che era morto e mi rimase impresso, forse troppo, o per fortuna.

 

fiorini-1997Anche oggi questa Dakar ci fa vedere storie e personaggi al limite della resistenza, mi piace meno rispetto alle Paris-Dakar, ma rimane una bella gara. Peccato per tutta quella “civiltà” che vedo attorno ai piloti, troppa gente, troppi servizi, troppo tutto (al bivacco girano persino delle belle signorine…).

L’Africa e il Sahara sono irripetibili, per fortuna ci ho provato.