Gilles Lalay Paris Le Cap 1992

Gilles Lalay e la cronaca di una morte assurda

Gilles Lalay, vincitore della Dakar 1989, è morto il 7 gennaio 1992 a mezzogiorno e mezzo sulla polverosa pista tra Franceville e Pointe Noire, in Congo.

Il motociclista della Yamaha Italia era in un tratto di trasferimento, 130 chilometri dopo la “speciale”. Una macchina dell’ organizzazione della Paris-Le Cap, una vettura del pronto soccorso medico che andava in senso opposto, ha travolto Lalay. Un impatto violentissimo, il ventinovenne corridore francese è morto sul colpo.

Maestri e abituati ad assorbire ogni cosa, gli organizzatori della corsa prima hanno fatto notare che Lalay, in quel momento, andava troppo forte e aveva tagliato una curva, poi si sono abbandonati alle solite considerazioni: “Un tragico colpo di coda del destino”.
Considerati i precedenti, una ricostruzione dell’incidente non verrà mai fatta con precisione. L’autista della macchina, al momento, per gli organizzatori non ha un nome e non può dire nulla.

A ben vedere, detta fuori dai denti, si tratta di una morte assurda in un raid che non ha più alcun significato tecnico e sportivo.

Lo ha fatto intendere con commozione e grande signorilità Daniele Papi, il team manager della Yamaha Italia: “Noi torniamo a casa. Senza alcuna polemica precisa. E morto uno dei nostri e riteniamo sbagliato restare qui. Certo, tutto quello che e’ avvenuto in questa corsa non ci è piaciuto molto”.
Sulla dinamica del tragico incidente restano solo brandelli di testimonianze. Angelo Cavandoli, un compagno di squadra del centauro francese, ha visto Gilles Lalay a terra, immobile, senza tracce di sangue sul volto.

Sul perchè la macchina del SOS andasse in senso opposto alla corsa ci sono state spiegazioni vaghe: dapprima si è detto che la vettura stava soccorrendo Jean Cristophe Wagner (anche lui seriamente ferito ieri), poi che la macchina faceva una normale opera di soccorso. In una breve conferenza stampa, Gilbert Sabine non ha aggiunto nulla ai dubbi che ci sono e rimarranno. E naturalmente: “La corsa continua”, con un’ottusa e ostinata tenacia, malgrado sia tutto già deciso.

La classifica delle moto e’ chiarissima e non può cambiare, perchè la piste da N’Djamena a Cape Town sono strette, polverose e alberate: nessuno si azzarda più a fare un sorpasso, chi parte per primo non può più perdere.

Chi ci prova rischia grosso, come hanno fatto ieri La Porte e Arcarons, che sono inevitabilmente caduti. Lo stesso discorso (forse anche di più) vale per le macchine.

Gilles Lalay aveva capito benissimo che la corsa era finita. Lunedì sera a Franceville si è mangiato l’ultimo piatto di “spaghetti italiens” della sua vita: glieli avevano cucinati Matilde Tomagnini e Federico Forchini. Faceva caldo e Lalay era stato al tavolino del piccolo accampamento di tende vicino all’ aereo della Yamaha, fino alle dieci di sera. Aveva commentato la cottura degli spaghetti: “Troppo al dente per me che vivo vicino a Limoges”. Poi si era quasi indirettamente tolto di dosso una serie di critiche che gli arrivavano: “Sta sempre li’ nel gruppo, non rischia nulla”. Gilles aveva capito e spiegava: “E del tutto inutile rischiare in queste condizioni. Non si può più sorpassare. Non puoi mai dire che una corsa sia finita, ma in questo caso non riesco a trovare altre definizioni”.

Non era la prima volta che Lalay diceva queste cose. Con il suo direttore sportivo, Aldo Betti, il corridore francese si era già confidato prima della partenza della Paris.Le Cap: “O si arriva in testa a Pointe Noire oppure è finita”. Ma l’assurdità della morte di Gilles Lalay non sta in queste piste strette, nella pericolosità dei sorpassi. Questa corsa, che costa ad ognuno ben 27 milioni e mezzo di lire soltanto di iscrizione, non sembra in grado di offrire la necessaria sicurezza. O perchè si vuole attraversare un territorio in guerra o perchè le macchine dell’organizzazione non conoscono bene le piste (come e’ avvenuto quest’anno a N’ Gougmi) oppure perchè una vettura del soccorso sanitario va nel senso contrario alla corsa.

Quindi capita, inevitabilmente, che, nel rally più famoso del mondo, un serio professionista come Lalay possa essere investito dagli organizzatori. Qualcuno commentava che si “è trattato di un incidente di strada”. E c’è da allargare le braccia pensando che al rally, contrabbandato per il più bello del mondo, si possa morire come il sabato sera vicino a una discoteca di Riccione.

Fonte: Gianluigi Da Rold – corriere.it

  • Il lungo raid diventa sempre piu’ inutile. Un lungo trasferimento aereo dal Congo all’ Angola, per ritrovare sulla tabella degli arrivi a Namibe la consueta classifica: Edy Orioli che vince la tappa, ma sempre Stephan Peterhansel che comanda la classifica.moto; Ari Vatanen che si toglie una soddisfazione, ma Hubert Auriol che e’ sempre il capofila.auto. Decisamente la Paris.Le Cap fa piu’ notizia per la cronaca nera, purtroppo. La corsa e’ entrata nel suo scontato ultimo tratto, Gilbert Sabine sta gia’ pensando quale camicia indossare a Le Cap, ma la salma di Gilles Lalay, morto in un incidente assurdo martedi’ sulla pista, e’ ancora a Pointe Noire, nel Congo. E’ una vicenda incredibile. Raccolto a cinquanta chilometri dal traguardo, il cadavere di Lalay e’ stato portato all’ ospedale civile di Pointe Noire. Con l’ angoscia nel cuore, i dirigenti della Byrd, Daniele Papi e Giuseppe Belotti, si sono immediatamente mossi, hanno avvertito l’ ambasciata francese, quella italiana, gli organizzatori. Le pratiche per l’ estradizione del corpo di Lalay erano complicate, ma non insuperabili. Bastava che ci fosse un’ organizzazione normale. E forse bastava una “spinta” con le autorita’ locali. Una volta saputo che bisognava fare una domanda al ministero dell’ Interno, i due dirigenti della Byrd si sono rivolti all’ organizzazione della Dakar per accelerare i tempi e per chiedere che un aereo arrivasse da Ginevra al piu’ presto. La giovane moglie di Lalay aveva chiesto al telefono solo una cosa: “Riportatemelo al piu’ presto”. E la cosa sarebbe riuscita, perche’ persino i congolesi avrebbero accelerato le loro procedure. Le difficolta’ le ha fatte invece anche l’ organizzazione, lo stesso Gilbert Sabine ha elencato i problemi di un trasporto, anche dalla Svizzera alla Francia, del cadavere di Lalay. E si e’ scoperto cosi’ che, malgrado l’ iscrizione di 27 milioni e mezzo di lire, l’ assicurazione, la quota mensa, la cauzione e le altre amenita’ che la TSO trattiene, in anticipo, se si muore (cosa non del tutto imprevedibile, dato che in 14 Dakar ci sono gia’ stati 3O morti), non c’ e’ nessuno che ti riporta a casa. Quindi la vicenda di Lalay e’ diventata penosa. In assenza dell’ aereo da Ginevra, gli uomini della Byrd avevano trovato un’ altra soluzione, pronti anche a “oliare” la burocrazia congolese e a caricarsi la bara sul loro aereo: “Vediamo se i francesi lo rifiutano all’ aeroporto” aveva detto, con rabbia e commozione, Guido Betti. Ma non c’ e’ stato invece nulla da fare. Giovedi’ , mentre la carovana della Paris.Le Cap si riposava negli allucinanti alberghi di Pointe Noire, Giuseppe Belotti ha fatto il giro di uffici inesistenti, ha contattato gente che non sapeva e altra che faceva finta di nulla. A un certo punto, alcuni erano gia’ pronti a correre all’ ospedale per caricare la salma. Ma all’ ultimo momento sorgeva sempre una nuova difficolta’ : bisognava trovare un’ altra firma, un altro permesso. E nessuno della TSO era li’ a consigliare a dare una mano al team manager della Byrd. Le uniche indicazioni erano di rivolgersi a un ministero, poi a un consolato. Niente, per l’ ex vincitore della Dakar 1989 non c’ era nessuna speranza di ritornare in patria, neppure da morto. Belotti allora ha preso l’ aereo da Pointe Noire a Brazzaville per tentare di parlare all’ ambasciatore francese. Cosi’ , forse stamani, Gilles Lalay prendera’ il suo ultimo aereo per la Francia. Gianluigi Da Rold

    Da Rold Gianluigi