Le 125 nella storia della Dakar

Testo: Romolo Ciancamerla

Usare il termine “avventura” nel definire la partecipazione alla Dakar con una ottavo di litro, non è affatto una forzatura: se già partecipare e finire questa gara con una moto di cilindrata e potenza adeguata è un’impresa riservata a pochi eletti, tentare di farlo con una moto di tale cilindrata è veramente qualcosa che rasenta l’eroismo!

Il primo problema è quello dell’affidabilità meccanica: con una moto di questa cilindrata si deve sempre essere al massimo delle capacità del motore, sia su piste dure che su quelle sabbiose, perché altrimenti le tappe si finiscono il giorno dopo! Quando anche si riesca a preservare la meccanica e si abbia una assistenza adeguata – con una quantità di ricambi che permettano una sostituzione frequente di pezzi che non riuscirebbero a fare tutta la gara (pistoni a vagonate, cilindri in quantità..e anche qualche motore completo!) – in ogni caso un pilota su una 125, per quanto esperto e bravo possa essere, arriverà sempre a sera inoltrata, se non durante la notte, quindi dovrà avere una resistenza fisica anche superiore a quella necessaria ai piloti delle cilindrate superiori.

E non si pensi che la maggior leggerezza di una 125 possa essere un’arma a favore: a causa del fatto che si deve essere sempre a manetta, i consumi delle 125 sono anche decisamente superiori a quelli di moto di cilindrata superiore, quindi lo sfidante col 125 dovrà portarsi una quantità superiore di benzina e, alla fine, il peso della sua moto sarà solo leggermente inferiore, inoltre, almeno nelle Dakar di una volta, dovrà prevedere anche più rifornimenti. I 4T sono stati usati solo nelle primissime edizioni (troppo bassa la potenza per stare dentro nelle tappe sempre più tirate che Dakar dopo Dakar venivano inventate dagli organizzatori), così sono stati complicati dalla esigenza di dover far miscela: se è vero che usare un sistema di miscelazione automatica è troppo rischioso (non si riuscirebbe mai a tenerlo protetto dalla sabbia!) è anche vero che fare miscela in mezzo al deserto non è l’operazine più semplice di questo mondo!

Per farvi una panoramica di tutti questi “eroi” che hanno tentato di arrivare a Dakar (quando si arrivava là!) o comunque in fondo, dividerò la storia della Dakar in 5 grandi periodi, che hanno anche costituito le tappe evolutive di questa grande manifestazione.

 

GLI ALBORI: LA PRIMA PARIGI-DAKAR 1979

A Capodanno 1979 un eterogeneo gruppo di 200 avventurieri, sui veicoli più improbabili (a 2,4 o più ruote, allora la classifica non era ancora separata), partì dal Trocadero di Parigi per raggiungere la capitale del Senegal, Dakar, che ancora era un semplice punto su una cartina geografica ed il cui nome non era ancora ammantato di leggenda.

DAKAR 1979 Gregoire Verhaeghe arriva in fondo alla prima edizione con la sua moto di tutti i giorni, una Honda 125 XLS

DAKAR 1979 Gregoire Verhaeghe arriva in fondo alla prima edizione con la sua moto di tutti i giorni, una Honda 125 XLS

A guidare questa carovana c’era quel Tierry Sabine, che aveva contratto il male dell’avventura africana partecipando, con una delle poche moto (perdendosi anche per 3 giorni nel deserto!), due anni prima al Rally Cote d’Ivoire, organizzato da Jean Claude Bertrand, che faceva il percorso inverso da Abidjan a Nizza e che è stato a tutti gli effetti il precursore della Parigi-Dakar.

Alla prima Dakar le moto erano circa la metà degli iscritti e c’erano anche quattro 125, due Suzuki TS 2T e due Honda XLS a 4T; solo una delle due Hondine arrivò in fondo, guidata da Gregoire Verhaeghe, che, con i suoi 19 anni, era anche il più giovane dei partecipanti.

Guardando la sua foto, che sembra arrivare da un’altra epoca, si vede chiaramente che molte moto partecipanti non avevano niente di diverso dalle moto di tutti i giorni, con giusto qualche attrezzo caricato sul portapacchi; infatti Gregoire usò la sua Hondina che aveva sulle spalle già 70.000Km.

Anche se i percorsi di quelle prime edizioni seguivano le piste tracciate e i road-book erano solo di pochissime pagine indicando poco più dei nomi delle località di inizio e fine tappa (nomi ancora meno conosciuti della Dakar stessa, ma che diventeranno icone degli appassionati di Africa. Come dimenticare In Salah,Tamanrasset,Agadez,Gao, Bamako?!), arrivare in fondo con quella moto è da considerarsi una impresa titanica e farlo arrivando 65° su 74 arrivati (33° nelle moto, il miglior risultato mai raggiunto da un partecipante in 125!!) fa comprendere ancora di più che il giovane Verhaeghe aveva tutti i numeri per farcela e lo dimostrò partecipando ad altre 4 Dakar e finendo addirittura 3° assoluto nell’ ‘82 con una Barigo 600.

 

GLI ANNI DELLA CONSACRAZIONE: dal 1980 al 1986

Il successo della prima edizione ebbe una eco così grande che Tierry Sabine, anno dopo anno, fece diventare la sua corsa uno degli eventi più seguiti dai media mondiali. Sempre fedele al suo motto “C’est la Dakar” per giustificare le critiche che gli arrivavano da ogni parte per la pericolosità crescente di una gara in cui la velocità media continuava a salire ed i percorsi deviavano sempre più spesso dalle piste segnalate, facendo diventare la navigazione sempre più importante.

DAKAR 1984 Patrick Vallet conclude la gara sulla sua Yamaha DT125 Notare il portaroadbook con i fogli  al vento!

DAKAR 1984 Patrick Vallet conclude la gara sulla sua Yamaha DT125 Notare il portaroadbook con i fogli al vento!

Anche se il rischio di perdersi nel Sahara aumentò a dismisura, un numerro sempre maggiore di personaggi (sportivi e non) voleva tentare quell’avventura ed anche per le case costruttrici la Dakar diventò un avvenimento a cui era sempre più difficile dire di no.

I veicoli diventarono sempre più specializzati e le moto presero ad assumere quell’aspetto da “nave del deserto” derivato dall’uso di serbatoi sempre più grandi che porterà a generare quella categoria di veicoli anche per la produzione di serie.

Nonostante ciò, qualcuno che tentava l’avventura su un 125 ci fu sempre…e questi sono i numeri:

1 concorrente nell’ ‘80, 3 nell’ ‘83, 2 nell’ ‘84, ‘85 ed ‘86.

In questo periodo, soltanto un pilota riuscì nell’impresa di raggiungere Dakar su un 125: nell’ ‘84 Patrick Vallet finì 40° assoluto nella categoria Moto, su 54 arrivati dei 116 partiti, un risultato di assoluto rispetto, considerando che erano già gli anni delle vittorie del Gaston Rahier sul bestione BMW (antenato delle tante GS attuali) e che le giapponesi e, timidamente, anche le case italiane si

Monsieur 125”, Gerard Barbezant alla sua prima partecipazione nel 1985, su Honda XL 125

Monsieur 125”, Gerard Barbezant alla sua prima partecipazione nel 1985, su Honda XL 125

stavano impegnando sempre di più direttamente nella preparazione delle moto, che erano ancora moto derivate dalla produzione con opportuni adattamenti.

GLI ANNI D’ORO: dal 1987 al 1992

Anche dopo la morte del suo fondatore Tierry Sabine, avvenuta durante la edizione 1986 a causa di un incidente all’elicottero da dove il “Condottiero” ormai gestiva la corsa e, pur se in molti appassionati tendono a far coincidere quell’anno con la fine della “Dakar Eroica”, la struttura che il Sabine stesso aveva creato, la TSO, riuscì a gestire la crescita e la Dakar diventò la gara motociclistica più seguita in assoluto.

Ormai sia le case automobilistiche (la Citroen/Peugeot in primis) sia tutte le più grandi case motociclistiche sviluppavano prototipi che erano creati solo per cercare di vincere quella corsa (che, nel caso delle moto, generavano poi dei veicoli di produzione che ci somigliavano, invertendo il processo seguito negli anni iniziali) e la gara era diventata a tutti gli effetti un GP nel deserto che si vinceva basandosi più sulle performance dei mezzi che sulle capacità dei piloti di “trovare” la pista giusta, anche perchè i sistemi di navigazione erano diventati molto vicini a quelli satellitari usati oggi e che fanno smarrire la strada solo se si rompono.

Nonostante questo aumento vertiginoso delle prestazioni, ancora qualche “eroe” che decideva di partire in 125 lo troviamo: nell’ ‘87 ancora due partenze (ma nessuno all’arrivo!) per poi raggiungere l’esplosione delle presenze nel 1988, con ben 13 moto 125 alla partenza.

Il 1988 è stato l’anno in cui parteciparono le due Gilera R1, insieme alle due Peugeot della squadra originaria “La Sfida 125”; oltre a queste moto, già descritte nel numero scorso, partirono un Kawasaki, 2 Yamaha, 2 Aprilia , 3 Cagiva ed un KTM.

Il KTM , il famoso “bimotore”, era una moto tra le più “assurde”, mai viste alla Dakar: il suo costruttore, Michel Assis, conscio dei limiti meccanici di un motore 125, non aveva trovato una soluzione migliore che piazzare un secondo motore di scorta fissato sopra a quello in uso, pronto ad essere sostituito in caso di avaria sulla pista!

DAKAR 1988: Ecco dov’era il motore di scorta! Nonostante questo, Assis non superò le prime tappe!

DAKAR 1988: Ecco dov’era il motore di scorta! Nonostante questo, Assis non superò le prime tappe!

DAKAR 1988 Michel Assis con la sua monumentale KTM 125 “Bimotore”

DAKAR 1988 Michel Assis con la sua monumentale KTM 125 “Bimotore”

Una menzione particolare va fatta per una delle due Yamaha, quella guidata dall’italiano Mercandelli: il veterano di tante Dakar era iscritto con una XT 600, ma a meno di 15 giorni dalla partenza venne contattato dalla Belgarda (la squadra italiana che gestiva le Yamaha ufficali per Picco e Co.) e gli venne offerta una Tenerè 125 “Ufficiale”. Dal momento che la squadra Yamaha aveva (ed ha!) la sua sede a meno di due Km dalla sede storica della Gilera e siccome “il paese è piccolo e la gente mormora”, niente di più probabile che il vorticoso programma di allestimento delle due Gilera avesse superato le mura dello Stabilimento di Arcore e che la Belgarda avesse deciso a sua volta di allestire un 125 in fretta e furia; il livello di preparazione della moto e la proposta all’ultimo minuto a Mercandelli lasciano supporre che la verità non sia così distante dalla mia supposizione.

In ogni caso, nonostante una partecipazione così numericamente importante, ancora una volta nessun 125 superò la metà della

DAKAR 1988 La Yamaha Tenerè 125 di Mercandelli, preparata di corsa dalla Belgarda

DAKAR 1988 La Yamaha Tenerè 125 di Mercandelli, preparata di corsa dalla Belgarda

gara: la maggioranza dei concorrenti non superò le micidiali prime due tappe e solo le

DAKAR 1989 I Fratelli Auribault tra gli ultimi a partecipare alla Dakar degli Anni d’Oro, ed ambedue al traguardo

DAKAR 1989 I Fratelli Auribault tra gli ultimi a partecipare alla Dakar degli Anni d’Oro, ed ambedue al traguardo

Cagiva (iscritte da un team francese molto ben organizzato) arrivarono vicine ad Agadez… ma non poterono proseguire a causa della mancanza di ricambi fermi nel deserto nel loro camion di assistenza.

Il 1989 fu l’ultimo anno della Dakar degli anni d’oro che vide delle 125 alla partenza e due dei tre partenti, i Fratelli Auribault (dei veri veterani di questa corsa) riuscirono nell’impresa di arrivare a Dakar, in 52° e 53° posizione dei 60 arrivati, prestazione notevole se si considera il livello raggiunto dalla gara.

Per ritrovare altri 125 al via si dovettero attendere altri 10 anni.

 

GLI ANNI DEL CAMBIAMENTO: DAL 1993 AL 2007

Nel 1993 si raggiunse il numero minimo di partenti: la situazione politica burrascosa nel Nord Africa aveva convinto molte delle grandi case (soprattutto in campo moto) a ridurre l’impegno ufficiale e, conseguentemente, la copertura mediatica era rapidamente scemata. In questo stesso anno la gestione della gara passa dalla TSO alla ASO, quasi a voler suggellare un passaggio di testimone tra la “classica” e la “nuova” Dakar. Negli anni seguenti la ASO cambiò molte volte il percorso, sia modificando la città di partenza che di arrivo, questo sempre nel tentativo di trovare percorsi che evitassero le pericolose zone “calde” che di anno in anno diventavano più estese, fino ad arrivare all’edizione del 2008 che fu annullata a due giorni dalla partenza. Le difficoltà della gara, però, non diminuirono e per molti anni nessuno trovò le motivazioni per tentare di nuovo con la ottavo di litro, finchè nel 1999 rispuntò quello che in Francia fu soprannominato “Monsieur 125”, tal Gerard Barbezant, che partecipò ad un totale di 14 Dakar, tutte fatte in 125!

La sua prima partecipazione risale al 1985, con una Honda XLR 125, che usò anche nel 1986; nel 1987 passò al 2T su una Honda NX125 e poi usò una Yamaha per la edizione del 1988. Dopo una interruzione di 11 anni, si ripresentò nel 1999, stavolta in sella ad una KTM EXC 125 che usò quasi ininterrottamente fino alla sua ultima Dakar, quella del 2007, corsa alla bella età di 61 anni! Non corse la Dakar del 2006 a causa del dolore che gli procurò la morte del grande Fabrizio Meoni, suo buon amico. Esempio di passione e perseveranza riuscì nell’intento di finire la Dakar solo nel 2003, in una edizione che terminò a Sharm-el-Sheikh e che fu una delle meno dure di sempre, al punto tale che il suo vincitore Sainct, commentandone la facilità disse che “l’aveva potuta terminare perfino il Barbezant”!

Dakar 2005: venti anni son passati, ma “Monsieur 125” è ancora in sella alla sua KTM EXC 125 per la sua 13° partecipazione alla Dakar

Dakar 2005: venti anni son passati, ma “Monsieur 125” è ancora in sella alla sua KTM EXC 125 per la sua 13° partecipazione alla Dakar

Sembra che la dedizione di questo sportivo vero alla classe 125 non fosse dettata da una qualche forma di perverso masochismo, ma semplicemente dal fatto che non aveva mai fatto la patente per le moto di cilindrata superiore… e la 125 era l’unica moto che poteva guidare!

Pur se in qualche edizione fu accusato di qualche “trucco”, cioè quello di tagliare pesantemente il percorso, beccandosi la forfettaria per salto dei controlli… ma rimanendo in gara sfruttando il regolamento che lo permette (in fondo non era uno sprovveduto, essendo detentore di 3 lauree in ingegneria!), non si può che ammirarne la caparbietà; comunque rimarrà negli annali tra i pochissimi ad aver completato la Dakar in 125!

LA DAKAR CAMBIA CONTINENTE; DAL 2009 AD OGGI

La sempre più instabile situazione politica del Sahel, che impedisce di trovare dei percorsi adeguati per allestire in sicurezza una gara all’altezza della sua fama, spinge gli Organizzatori ad attraversare l’Oceano Atlantico e della Dakar rimane solo il nome di qualcosa che, oltre a percorrere piste dell’ America del Sud, perde anche quell’alone di “avventura” che ne aveva sempre permeato la storia. La gara, pur sempre massacrante, diventa una sorta di Enduro “Long Range” con percorsi che scalano le Ande e che percorrono dei deserti che non hanno certo più le difficoltà ed il fascino di sfida, tipiche del Tenerè. Le moto diventano più leggere e maneggevoli, ma pensare di usare un 125 ha ancora un qualcosa di eroico.

Nell’ultima edizione di quest’anno, il francese Sylvain Espinasse, ha corso e completato la Dakar su una Husqvarna, diventando il sesto pilota nella storia a riuscire nell’impresa.

Dakar 2016 Sylain Espinasse è il primo a correre e concldere la Dakar “del nuovo mondo”

Dakar 2016 Sylain Espinasse è il primo a correre e concldere la Dakar “del nuovo mondo”

Sulla sua moto, dotata di un intelligentissimo serbatoio per l’olio miscela realizzato all’interno del forcellone, ha dovuto sostituire 5 pistoni per giungere all’arrivo e ha dovuto superare una difficoltà sconosciuta ai concorrenti delle vecchie Dakar: il superamento dei passi a più di 4.000 metri lo hanno costretto, talvolta, a non riuscire a raggiungere velocità superiori ai 40 Km/h, causate dalla carburazione pesantemente ingrassata.

Ma al termine della sua impresa, Sylvain ha raccontato che le difficoltà più grandi le ha incontrate nel superamento delle dune; questo mi fa pensare che se avesse tentato la vecchia Parigi-Dakar forse non sarebbe entrato nella storia!

 

Articolo tratto da Endurista nr. 43
http://www.enduristamagazine.com/prodotto/endurista-n-43-novembredicembre-2016/