CARLOS MAS modellino della Dakar 1990

Tratto da un articolo di Motociclismo

Sull’onda della Dakar molti appassionati di collezionismo si sono cimentati nella creazione di veri e propri prototipi che le grandi case di modellismo non avevano messo a catalogo. Questa XTZ 740 è nata dalla voglia di riprodurre e far rivivere in scala ridotta la sfida ai grandi spazi di sabbia che hanno fatto la storia del motociclismo.

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Questa volta abbiamo voluto realizzare la moto del secondo classificato di quell’anno, lo spagnolo Carlos Mas. La moto è una Yamaha YZE 750, nel colore rosso dello sponsor spagnolo Camper. Dopo esserci documentati con foto tratte dai vari giornali, abbiamo cominciato la lavora-zione La base di partenza è stata la Yamaha 660 Chesterfield della Protar in scala 1:9, preferita a a sorella Yamaha 660 Ténéré, in quanto già dotata del freno posteriore a disco. La principale modifica da apportare e che ha richiesto numerose ore di lavoro è stata effettuata sul motore e sul telaio.

Mas05Mentre il modello di partenza è un monocilindrico con telaio a culla chiusa centrale, quello da realizzare è un bicilindrico con telaio a doppia culla aperta. Per il motore abbiamo mantenuto lo stesso basamento, modificando il piano di accoppiamento coi cilindri affinché questi ultimi risultassero più inclinati in avanti; questi sono stati ottenuti partendo da due teste-cilindri Mas03complete del mono, limate per 1/3, una nel lato destro, l’altra nel lato sinistro; incollandole insieme abbiamo così ottenuto un corpo largo 4/3 rispetto al mono originale, mantenendo le luci esistenti di aspirazione e di scarico. Dopo aver asportato la culla centrale del telaio, abbiamo posizionato il motore e provveduto, con dei tubi quadri di plastica, a ricostruire le due culle, partendo dalla triangolatura del cannotto di sterzo.

Il montaggio dei radiatori, acqua e olio con rispettivi manicotti, dei carburatori con relative valvole, della pompa benzina, dei condotti d’aspirazione e la verniciatura di tutti particolari, comprese le viti e i dadi del motore, hanno completato la parte relativa al motore. Lateralmente al triangolo di rinforzo abbiamo posizionato le due bobine, una per ogni candela. Per gli attacchi testa-motore abbiamo utilizzato dei supporti alettoni di auto adattati al profilo originale. Forcella, forcellone e ammortizzatore non hanno subìto modifiche se non quelle relative alla verniciatura di ogni particolare.

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Al serbatoio sotto sella è stato modificato il profilo nella parte posteriore, completata con l’aggiunta del parafango prelevato dalla Cagiva Elefant, della stessa scala e sempre della Protar A questo punto abbiamo realizzato gli scarichi. Per il silenziatore è stata utilizzata una borraccia appartenente a modello BMW 1000, sempre Protar, aggiungendo la fascetta per il fissaggio al telaio, ottenuta tagliando e piegando una striscia di lamierino di un tubetto di maionese. Per l’entrata sdoppiata del silenziatore si è sfruttato un pezzo dello scarico originale, mentre rimanenti collettori sono stati realizzati infilando del filo di piombo dentro un tubo di gomma del diametro necessario e piegato.

Il serbatoio e il cupolino hanno subìto un allargamento generale per contenere nuovo motore e abbiamo realizzato gli sfoghi Mas06per l’aria ai lati del cupolino stesso. Il parafango anteriore è stato accorciato nella zona posteriore. Il paracoppa modificato è di derivazione Cagiva Elefant, mentre la sella è stata rivestita con pelle e scamosciata, entrambi di colore rosso. Il montaggio dei vari particolari, luci di posizione supplementari, tappi serbatoi con sfiati, il road-book sul manubrio e una borsa porta-attrezzi nella zona dietro la sella hanno completato il montaggio. La realizzazione e il fissaggio delle varie scritte, immancabile mano di protettivo lucido ed ecco che la nostra special è pronta per affrontare le insidie dei deserti.

Gilera RC 600 Dakar 1991

Che la Gilera RC 600 fosse una buona moto nessuno ne dubitava. La vittoria nell’edizione precedente e l’ottavo posto assoluto (davanti a sé esclusivamente sofisticati prototipi), costituivano un ottimo biglietto da visita per la monocilindrica di Arcore. La Gilera e Medardo sono andati oltre alle attese con una prestazione assai vicina a quella dei prototipi. Con soli 560 centimetri cubi, la RC è riuscita in tante occasioni a man-tenere il forte ritmo imposto dai bicilindrici e Medardo ha anche vinto la tappa del 5 gennaio da Ghat a Tumu, la “speciale” più lunga della Parigi-Dakar.

Non tutto è andato benissimo per la Gilera: le rotture del serbatoio posteriore troppo pieno di carburante e mal fissato, alberino d’avviamento rotto sulla moto di Mandelli che ha richiesto la sostituzione del motore (automatico il cambio di categoria) e un’accensione sperimentale che ha fatto le bizze al momento di avviare i motori, oltre ad un ammortizzatore distrutto da Medardo. Alla Gilera sono però soddisfatti anche perché ritengono che la Dakar sia di grande aiuto per la produzione di serie.

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L’ing. Federico Martini
, responsabile tecnico, è assolutamente convinto della validità della formula Silhouette della Dakar. Il fatto che ci ha spinto a gareggiare nella maratona africana e in particolare in questa categoria, è costituito dallo specifico regolamento. Correre tutta la Dakar senza cambiare motore e telaio costituisce un messaggio di affidabilità assoluta verso il pubblico. Un motore che resiste a più di diecimila chilometri di continue torture senza problemi, rappresenta una garanzia per un propulsore di serie.

Nella categoria Silhouette motore e telaio sono di serie mentre il resto può essere cambiato. Per migliorare il raffreddamento abbiamo utilizzato radiatori più grossi con uno scambio termico superiore del 30%. La centralina sino a metà gara era diversa da quella montata sulla RC 600; un’accensione che dava pochissimi vantaggi in fatto di potenza ma che era utile per diminuire le emissioni inquinanti. Può apparire strano montare una simile accensione senza in sostanza ricavare dei vantaggi ma anche questa scelta è fatta in previsione di un utilizzo sulla RC di serie Se l’accensione resiste alla Dakar vuol dire che andrà bene in tutte le altre condizioni.

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L’abbiamo sostituita da metà corsa in poi una volta acquisiti i dati di affidabilità. I problemi elettrici sono venuti da un’errata scelta di batterie e da un impianto elettrico che durante i test era perfetto, mentre in Africa non si è rivelato tale. Questa particolare centralina determina l’anticipo d’accensione secondo il numero dei giri e la diversità di pressione all’interno dei condotti d’aspirazione. a valle della valvola a farfalla del carburatore a depressione. — Dove è stata modificata la moto rispetto a quella della precedente Dakar? La gara dello scorso anno ci aveva dato importanti indicazioni: eravamo a posto come motore e telaio, mentre la maneggevolezza doveva essere migliorata. Poiché eravamo sicuri in termine di affidabilità del motore, ci siamo spinti a incrementarne le prestazioni. Abbiamo ripreso le modifiche introdotte sul propulsore di serie del RC 91.

Nuovi alberi a camme più spinti, pistone dal disegno rivisto, valvole maggiorate e carburatori di maggior diametro (30 mm). Abbiamo lavo-rato molto sugli impianti di aspirazione e scarico per estrarre dal motore tutto il suo potenziale. Nonostante il rapporto di compressione sia stato abbassato per usare benzine a basso numero di ottano, abbiamo riscontrato sette cavalli in più rispetto alla moto precedente. Ora siamo sui sessanta cavalli all’albero con un consumo che varia moltissimo secondo le condizioni del terreno di gara. Si va da un massimo di 6,5 litri sulla sabbia molle sino ai 9 del terreno duro. Non consuma poco, è vero! Un monocilindrico deve essere sempre spremuto al massimo per rimanere vicino alle prestazioni dei bicilindrici e quindi acceleratore sempre tutto aperto; condizioni estreme anche per il consumo. In totale la capacità dei serbatoi è stata aumentata a quasi sessanta litri, dieci in meno dei bicilindrici.

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Non è un gran vantaggio. È un po’ leggenda il dire che il mono sia più facile e leggero dei bicilindrici. La differenza di peso è al massimo di dieci chili a favore del mono e quindi non è rilevantissima. Per migliorare la maneggevolezza e la facilità di guida abbiamo rivisto la distribuzione dei pesi e il posizionamento dei serbatoi carburante. Le sospensioni sono nuove, le Kayaba giapponesi, montate anche sulla RC-A di serie. L’ammortizzatore è proprio quello standard modificato solo in tre lamelle interne per adeguarlo al maggiore peso della moto dakariana, per alleggerire il quale abbiamo usato qualche materiale leggero” ma niente di speciale. Tessuti di kevlar e carbonio per la carenatura – RC17serbatoio posteriore e per il cupolino, titanio per i fissaggi della sospensione posteriore del motore e le pedane. Ergal per i mozzi ricavati dal “pieno”.

Inoltre abbiamo rotto, ed anche questo inconveniente ce lo aspettavamo, il trave anteriore dove si fissa il motore. Fra previsto e subito lo abbiamo risolto, poiché per aumentare la luce da terra abbiamo tolto il telaietto che passa sotto il motore. In questo modo il propulsore lavora effettivamente come elemento stressato solle-citando il telaio. Per questo motivo abbiamo irrobustito i tiranti del motore aumentando-ne il diametro sino a 10 mm, rinforzando contemporaneamente le alette di attacco sul motore. Non abbiamo rotto più tiranti e carter motore, carne invece succedeva lo scorso anno; per contro ha cestito con una piccola crepa il telaio. Questo ci ha fatto capire che il motore può lavorare come elemento stressato e probabilmente useremo la stessa soluzione anche in serie, strutturando debitamente il trave anteriore del telaio Ed anche questa è un’altra efficace informazione da riportare sulla produzione di serie.

Altre rotture sono state quelle dei serbatoi posteriori in materiale composito. Erano tutti pezzi nuovi, finiti in pratica il giorno prima della partenza i serbatoi hanno avuto problemi di tipo meccanico. La sospensione posteriore tamponava un po’ troppo, tanto da far toccare la pinza del freno a disco con la parte interiore dei serbatoi. In fase di progetto avevamo previsto un gioco di 20 mm tra pinza e serbatoio ad escursione completa della ruota posteriore. Nei tamponamenti più decisi la pinza toccava; con inevitabili rotture. Questo vuol dire che sia il forcellone sia il telaietto che li sorregge cedevano, si piegavano leggermente. Modificata la taratura delle sospensioni, il problema è scomparso. Per contro è diminuito il comfort dei piloti e le moto saltavano un po’ troppo sulle buche.

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Si sono evidenziate delle piccole crepe sui serbatoi anteriori in alluminio a causa delle numerose saldature, la carrozzeria si rotta è rotta solo per le cadute, mentre non riusciamo a spiegare il motivo della rottura dell’albero di avviamento di Mandelli, perché proprio questo particolare era stato analizzalo a fondo. E’ stato cambiato anche il motore a Sotelo, perché si era bruciata la frizione per mancanza di gioco alla leva. Tutto il materiale di attrito dei dischi si é sparso nel motore ed un pezzo è andato a bloccare la valvola di sovrapressione del circuito di lubrificazione. Risultato: cotto bronzina sulla lesta di bella. Per il resto nessun altro problema meccanico ad eccezione della vaschetta dell’ammortizzatore frettolosamente fissato sulla moto di Medardo. —

La vostra moto esteticamente era la più riusata. tra tutte quelle che hanno corso, e forse anche la più aerodinamica.
«Si abbiamo curato molto l’estetica ma anche la protettività del pilota. Siamo partiti date dimensioni della scatola filtro, e abbiamo costruito intorno tutta la moto. Abbiamo cercato di proteggere I pilota per dargli un maggiore comfort. Meno si è stanchi, più forte si va e si commettono minori errori. La moto doveva essere la più Piccola possibile compatibilmente con le dimensioni del pilota. L’altezza del cupolino e quella de: plexiglass ha avuto come unico scopo quello di proteggere dalla pressione dell’aria il pilota Abbiamo invece scelto i fari omofocali per abbassare tutta la zona del cruscotto e la strumentazione, e garantire una maggiore visibilità. Inoltre questi fari assicuravano anche una migliore luminosità e quindi più sicurezza a chi rimaneva di notte nel deserto. La forma posteriore è dovuta al compromesso tra la maggiore capienza possibile e il minore ingombro per le gambe del pilota. Nel codone era posta la bussola, ed una batteria di soccorso. La forma dell’intera carenatura è stata studiata senza il conforto della galleria del vento. Ora proveremo la moto anche in queste condizioni; vogliamo essere pronti per tempo.

Si può quantificare il costo delta operazione Dakar?
Solo di materiale puro superiamo cento milioni per moto, ma tutta l’organizzazione ha ben altri e maggiori costi. Stiamo valutando se è possibile costruire un piccolo numero di repliche della RC Dakar. La cifra dovrebbe aggirarsi sui sessanta milioni e sarebbe comunque un prezzo politico. La differenza di costi sarà assorbita dalla fabbrica»

Sarete presenti anche nella prossima Dakar? «Sicuramente sì. Le condizioni che si incontrano alla Parigi-Dakar sono praticamente irripetibili, sia strumentalmente sia nelle normali condizioni di collaudo delle moto. Con la gara africana possiamo verificare molte parti della moto di serie» anche se la prossima Gilera RC non gareggerà più nella Silhouette. Costruiremo un prototipo con una cilindrata vicina ai 650 cc anche se probabilmente l’affidabilità non sarà più garantita al cento per cento».

Fonte Motociclismo Aprile 1991

Ténéré 4 cilindri per la Dakar

Una fredda mattina alla periferia di Parigi, un piccolo campo cross fuorimano, un pilota con gli sgargianti colori Sonauto, che si scalda i muscoli in vista della Dakar, caracollando in sella alla sua Yamaha “XT 600 Ténéré”: tutta normale, direte voi. Così sembra: ma sotto il gigantesco serbatoio della “Ténéré” batte un cuore che in comune con il propulsore monocilindrico della regina del deserto non ha proprio nulla. Si tratta infatti di un quattro cilindri raffreddato ad acqua, derivato dal motore venti valvole della “FZ 750”.

È presto per dire se questa fantastica “750” sarà il primo gennaio ’86 al via delta leggendaria maratona africana, anche se la cura meticolosa dei particolari (ravvisabile pure nelle foto del nostro top secret) dimostrano chiaramente che non si tratta di

un semplice esperimento dell’importatore francese, ma di qualche cosa di più che non può non avere avuto il placet della Casa madre. Non dimentichiamo che la stessa “Ténéré” è nata proprio da una “idea” di Jean Claude Olivier, generai manager della Sonauto e testa di serie dei piloti Yamaha per la Parigi-Dakar.

Dunque, la nuova belva franco-nipponica, che TUTTOMOTO vi presenta qui in esclusiva, potrebbe essere l’arma vincente della Casa giapponese, ben decisa quest’anno a strappare alla BMW la corona di regina d’Africa. Quanto a potenza non si discute, da verificare però l’affidabilità nel deserto.

ll motore della “FZ 750” è stato notevolmente alleggerito e si è lavorato sugli alberi a camme per ridurre la potenza, aumentando nel contempo l’elasticità ai bassi e ai medi. La sospensione posteriore è monocross.

Senza segreto: realizzata per la Parigi Dakar, la “Tènéré” 4 cilindri offre numerose interessanti soluzioni, alcune intuibili osservando le foto del nostro “scoop”. Il telaio, per esempio, è quello della FZ, ridotto però in lunghezza.
I carburatori, in posizione elevata e ben protetta, ricevono la benzina tramite una pompa meccanica. Il gigantesco serbatoio è in pratica doppio e funge pure da protezione laterale per il radiatore del raffreddamento a liquido. L’insieme appare estremamente compatto e funzionale, adatto al fuoristrada.

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Testo TuttoMoto Enzo Caniatti

Yamaha XTZ 850 R, la fine (quasi) dei prototipi

Nel 1994 Yamaha decise di non partecipare con la squadra ufficiale in contrasto con la modifica al regolamento che sanciva la fine della categoria prototipi e non avendo tempo di preparare una moto per vincere decise di non partecipare, prima volta da quando iniziò la Parigi-Dakar. La Yamaha nel 1994 presenta la nuova moto la XTZ 850 R.

Con i costi di produzione limitati a 140.000 Franchi per almeno quindici moto prodotte in modo identico.

Ed unitamente alla XTZ 850 R fu presentata anche la XTZ 660 Super Production. Il prezzo imposto voleva favorire i piloti e le squadre private che potevano acquistare ufficialmente moto performanti già pronte al prezzo prestabilito.

Tuttavia, gli esperti hanno segretamente valutato il prezzo di produzione della XTZ 850 R molto più alto! Il patron Yamaha Motor France non smentì questa affermazione, anzi confermò che la moto era una moto da gara a tutti gli effetti e che valeva ben più del suo prezzo. Un vero affare per l’acquirente privato.
Peterhansel aveva preparato perfettamente la sua moto e ne avevano fatto una serie identica ed era quasi imbattibile.

Delle 15 moto preparate una decina furono vendute ai privati, come il Tais Sport e il team Les Copains, le moto furono presentate e vendute in livrea bianca e serbatoi anteriori alluminio. Le XTZ 850 R erano moto molto performanti e pochi piloti poterono sfruttarle a pieno, nel 1996 Orioli vinse con la dama bianca, mentre nel 1995, 1997 e 1998 Peterhansel vinse con la XTZ 850 R che da derivazione TDM passò a al motore TRX, infatti le moto furono omologate per la circolazione su strada con la sigla 3VD, come i TDM.

 

Jean Claude Oliveir, patron di Yamaha Motor France con Stephane Peterhansel alla presentazione del modello 1994

Jean Claude Oliveir, patron di Yamaha Motor France con Stephane Peterhansel alla presentazione del modello 1994

Una particolarità, le moto clienti furono vendute ai clienti con il telaio bianco, mentre le moto del team interno avevano il telaio blu come la moto. La moto oltre a quelle a casa di Perterhansel (Dakar 1998) una è esposta al museo Yamaha in Giappone che non è la 1997 (è una clienti travestita) un paio alla Yamaha Motor France, una o due in Italia le altre sono una in Spagna e un paio tra Francia e Germania.
Quasi tutte le XTZ 850 R sono ancora in ottima forma e perfettamente funzionanti.

Testo Giovanni Tazzone Fantazzini

YAMAHA TT600 Wild Team – Dakar 1990

Per la preparazione delle tre moto che hanno concluso la Parigi Dakar sono stati presi, come base di partenza, i motori del XT 600 1989 e il telaio del TT 600. Interventi sul motore non sono stati radicali. Nessuna maggiorazione di cilindrrata, ma solo una particolare messa a punto.

La decisione di non procedere nella sostituzione preventiva a metà gara del propulsore (che avrebbe implicato la squalifica automatica dalla categoria silhouettes) obbligato a mantenere sollecitazioni e dimensionamenti nella norma. Una leggera raccordatura dei condotti, un radiatore dell’olio (della Yamaha 750 mono a cinque valvole), l’albero a camme del kit BYRD per elaborare il TT 600, la cassetta filtro di aspirazione rifatta per ospitare l’elemento in carta della Renault 12(l’unico a trovarsi in ogni angolo dell’Africa) e un’accurata messa a punto di carburazione, sono i pochi interventi eseguiti sul motore. Il sistema di scarico è stato costruito ex novo su dalla BYRD, trattasi di un sistema a scarico libero con megafono e controcono finale, è arrivato il lamierino di 0,8 mm di spessore. I collettori al cilindro sono stati mantenuti sdoppiati (uno per valvola) è stato previsto il collegamento ad un silenziatore finale per i trasferimenti europei.

L’accensione rimasta quella originale dell’ex così come il cilindro pistone valvole e testata; questi ultimi uguali nel motore del motore XT del 1989. La scelta del cilindro incamiciato piuttosto che a quello con riporto galanico del TT 600 è stata fatta per godere di una maggiore affidabilità nei confronti delle inevitabili infiltrazioni di sabbia. I carter esterni sono infine stati sabbiati e verniciati trasparente ma solo per motivi estetici. La carburazione è stata quindi per ritoccata con un discreto arricchimento nel getti minimo e massimo.

La corona originale è stata sostituita con una Chiaravalli in acciaio unita ad una catena RK auto-lubrificante con o-ring, lasciando solo il pignone originale. Da segnalare inoltre l’adozione di un rinforzo per l’alberino di comando del cambio, con una piastrina di sicurezza contro gli eventuali urti. La lubrificazione del propulsore e del cambio è stata affidabilità a un buon multigrado come lo Shell Helix.

Durante la gara la manutenzione di ogni moto a richiesto tre candele, quattro filtri olio e tre set completi di catena corona pignone, innumerevoli filtri aria e benzina e un carburatore completo per la moto di Marcaccini (pagato ben 4000 Fr. al team Yamaha Sonauto).

Quello montato ha inspiegabilmente cominciato a far girare il regolarmente il motore e nemmeno una pulizia completa è riuscito a riportarlo nelle condizioni di partenza.

Impianto elettrico
Anche questo importante componente è stato rifatto completamente, privandolo di ogni collegamento superfluo e raddoppiandolo per intero. Quindi: due bobine e due centraline.

I fanali anteriori, due alogeni della Fiat Ritmo sono stati inseriti nel cupolino grazie a una staffa di sostegno che garantisce una regolazione differenziata per l’inclinazione del fascio luminoso, in modo da ottenere sempre una adeguata illuminazione nelle lunghe discussioni delle sospensioni. La batteria adottata di tipo sigillato, ha fornito l’energia anche alla pompa elettrica della benzina prelevata da una Yamaha Tenere 600: universalmente riconosciuta come la più affidabile dal popolo motociclistista della Dakar. Per la navigazione sono stati montati Road Book a funzionamento elettrico della MD, il trip master originale dell’onda XT 600 R e una bussola aeronautica .

Telaio
La base e quello della Yamaha TT 600 la parte anteriore è stata ovviamente rinforzata con fazzoletti saldati nella zona del cannotto di sterzo, ma anche ad aumentare vi cerca 1 litro la capienza olio motore che circola all’interno dei tubi. L’arco utile dello sterzo è stato diminuito con l’usuale placchetina saldata anteriormente al cannotto, misurata agli angoli esterni presenta una larghezza di 50 mm invece dei normali 20 mm. Questo per evitare che, in caso di caduta, la forcella sfondi il serbatoio. La parte posteriore invece è stata ridisegnata è costruita completamente.

Anche gli attacchi forcellone. Il lavoro maggiore però è stato richiesto dalla progettazione e realizzazione del forcellone. Più lungo e ben 150 mm rispetto a quello originale, è stato costruito in Carpental, la sezione esterna è di 80 × 35 mm.

L’attacco al telaio avviene mediante due piastre ricavate dal pieno e unite ai due bracci per saldatura. Come si può giudicare dalle foto il forcellone denota una finitura veramente pregevole. Va ricordato che tutte le lavorazioni telaistiche che sono state realizzate con l’aiuto di maschere costruite appositamente. I cavalletti, particolare importantissimo, sono di tipo laterale e posti in entrambi i lati della moto. Se abbassati contemporaneamente, la ruota posteriore rimane sollevata da terra, consentendo così una agevole sostituzione della stessa. A sinistra si mantiene la stampella originale arricchita di una base larga in nylon per prevenire meglio la fondamento sulla sabbia. Dall’altra parte troviamo cavalletto contenitore del tipo montato dalle Yamaha ufficiali. Infatti è stato realizzato sulla base di alcune fotografie.

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Il reparto sospensioni è servito da una forcella Kayaba tipo tradizionale, di provenienza ufficiale con steli da 43 mm e da Mont ammortizzatore Ohlins privo della regolazione idraulica esterna in compressione, con leveraggi di progressione del TT 600

Wildbike23La bellissima forcella è completamente richiamata dal pieno per quanto riguarda foto e i pompanti ed è dotata di sgancia ruota rapido (anche se, relativa utilità ora che le mousse hanno preso il sopravvento rispetto alle tradizionali). All’interno dei pompanti è montato un sistema di anticavitazione per l’olio idraulico. Più lunghi invece i collaudi per la taratura finale del mono ammortizzatore, che è stata definita pochi giorni prima della partenza per Parigi. Il pacco lamellare interno lavora immerso in olio Ohilins specifico e in sintonia con una molla da 9,5 kg (leggermente più chiusa per il peso). La pressione interna è di 15 atmosfere e bisogna specificare che durante la gara non si è mai reso necessario sostituire l’unità ammortizzatore in nessuno delle tre moto,

Le piastre della forcella che se ricavate dal pieno lavorando 2 blocchi di Avional 24, invariata la geometria di sterzo, ma aumentata l’altezza delle stesse: 38 mm per quella superiore e 40 mm per quella inferiore ruote sono state assemblate nella officina di Wild Team con mozzi e e raggi provenienti dalla ufficiale, e cerchi Takasago di normale produzione. Per quest’ultimi però si è dovuto acquistarli non forati per la raggiatura, che è stata eseguita dopo la specifica foratura richiesto dal mozzo, disegnato per cerchi DID.

E per i perni ruote e forcellone Marcaccini è Montebelli si sono rivolti allo specialista Poggipolini, che li ha realizzati in acciaio, Wildbike4mentre per la bulloneria si è cercato di mantenere quella originale, giudicata ottima. I freni sono stati forniti sempre dalla BYRD e troviamo davanti un bel disco Brembo in ghisa da 300 mm ampiamente sforato e con montaggio flottante sulla flangia in lega leggera. Posteriormente viene in aiuto per frenare gli oltre 160 kg a secco di questa speciale un disco in acciaio da 230 mm accoppiato anche esso ha una pinza Nissin a due pistoncini.

Al manubrio troviamo i comandi originali del XT con quelli elettrici modificati nelle funzioni. Solo il manubrio, uno Zaccaria in ergal i nostri hanno scelto per la sua eccezionale robustezza, viene montato con un particolare ponticello, sempre in piega che unisce le due staffe di ancoraggio alla piastra superiore. Grazie a questo particolare Marcaccini nel 1988 ha potuto concludere 1000 km di una tappa nonostante la piastra forcella superiore spezzata a metà, con il solo soccorso di una cinghia in nylon prestata da Clay regazzoni.

In ultimo abbiamo lasciato quelli che sono forse i pezzi più importanti per avere allo stesso tempo una moto funzionale e guidabile: i recipienti per la dislocazione dei 60 l di carburante che è necessario portarsi appresso durante la maratona africana. Costruirsi i serbatoi per un enduro non è un’operazione impossibile, ma farlo per la Dakar, e quindi nella maniera più robusta possibile è un altro affare.

Non vorremmo scadere in dicerie da bottegai, ma la stessa blasonata Gilera ufficiale ha lamentato nell’ultima Parigi Dakar, perdite dai serbatoi che i poveri meccanici hanno dovuto riparare spesso. Tutte le sovrastrutture per la loro special sono proprio i particolari meglio riusciti. Realizzate in lamiera di alluminio piegata, sagomata e saldata come pochi ma battilastra sanno fare. È da tenere presente che la moto protagonista del servizio, seppur restaurata rimane pur sempre la moto che ha portato Marcaccini da Parigi a Dakar. Venendo al sodo troviamo i due serbatoi anteriori, per una capienza totale circa 45 lt. facilmente smontabili e con un collegamento a vasi comunicanti per una lettura immediata, durante la marcia, della benzina ancora disponibile.

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Il pescaggio del prezioso liquido avviene grazie alla pompa elettrica già menzionata, coadiuvata innesco da una pompetta manuale in gomma di tipo motonautico. Sotto la sella, rivestita in finta pelle scamosciata, per una migliore aderenza al fondoschiena, trovano posto gli altri 15 lt. di carburante. Il portapacchi posteriore chiude la culla posteriore ed è provvisto di due maniglie molto utili negli insabbiamenti.

All’interno di questi involucri è stata introdotta una speciale spugna per evitare violenti sciacqui, altrimenti pericolosi nella guida, e soprattutto in curva. Sotto il motore è posto il serbatoio dell’acqua (obbligatorio per regolamento) con i suoi 6 lt. circa di capienza, l’alloggiamento della batteria e un ripostiglio capiente per eventuali ricambi e attrezzi. Con la piastra inferiore, quest’ultimo funge anche da scudo di protezione per il basamento del motore.

Infine il cupolino e i parafanghi sono stati realizzati su disegno del Wild Team anche se chiaramente ispirati a quelli delle Yamaha ufficiali. Nella loro progettazione si è curata soprattutto la riparabilità in caso di incidente. E dobbiamo riconoscere, dopo aver visto Marcaccini all’opera, che tutte le sovrastrutture si smontano in pochissimi minuti. Un ottimo lavoro dunque, soprattutto in considerazione del pregevole risultato globale che non ha mancato di stupire vari esponenti della stampa straniera e mi stessi avversari.
Ndr: tutte le 3 Yamaha del Wild Team raggiunsero il traguardo di Dakar, Montebelli 17°, Aluigi 28° e Marcaccini 30°.

Yamaha XTZ 660 Super Production

Per cercare di evitare lo strapotere dei prototipi alla Dakar, la direzione di gara verso la fine del 1993 provvede a cambiare il regolamento, ed introdurre la categoria sport prototipi, moto di derivate dalla serie. La Yamaha visto il poco tempo per prepararsi e le divergenze con la direzione gara, non iscrive nessuna squadra alla Dakar 1994.

Durante il 1995 la Yamaha Motor France non potendo più contare sui prototipi provenienti dal Giappone, nel proprio atelier prepara due piccole serie di moto, 15 bicilindrici e 15 monocilindrici. Il bicilindrico direttamente derivato dal prototipo vincente nel 1993, con telaio Barigo e motore di derivazione TDM, come riportato sulle carte di circolazione delle moto, moto adatta a piloti professionisti ed esperti.

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Il monocilindrico derivato dal XTZ 660 con modifiche al telaio, sospensioni, alla cassa filtro e alle sovrastrutture, adattato e preparato per piloti amatori che erano nella sfera di Yamaha France.
Le importanti modifiche vennero state testate da Stéphan Peterhansel al Nevada Rallye. 25577234_10211073917748227_1633602844_o

La capacità del carburante è stata aumentata a 37 litri grazie ai due serbatoi anteriori in alluminio (un optional posteriore da 5 litri), il paramotore riceve una riserva d’acqua in alluminio, il telaietto posteriore rimovibile è in acciaio, la forcella è una Kayaba da 43 mm della gamma YZ preparata nell’idraulica e nelle molle, l’ammortizzatore è un Ohlins dedicato nelle misure e nel serbatoio, il forcellone in alluminio scatolato è realizzato su misura con la possibilità di smontaggio rapido della ruota posteriore, il silenziatore è un First Racing, l’airbox è originale ma modificato (con un’apertura più ampia e un secondo filtro, alcune vennero dotate di cassa filtro in alluminio dedicata).
Il cupolino e i fianchetti laterali sono in poliestere rinforzato con fibra di carbonio, i parafanghi anteriori e posteriori provengono dalla WR 250, la sella è in poliestere specifico. L’equipaggiamento di navigazione è obbligatorio e comprende Trip elettrico MD e triplo ICO.

18817906_10209548817781681_103864442_oIl prezzo di vendita includeva la moto, ma anche un kit di parti molto fornite, l’assistenza e il trasporto dei pasti durante l’evento. Le 15 moto troveranno rapidamente compratori, tra cui il “Team Les Copains” composto da Christian Sarron , Pierre Landereau, Philippe Alliot e Raphael de Montrémy. Jacques Laffite correrà su una TT 350 e Thierry Magnaldi sulla XTZ850R.

Tra gli altri piloti anche il famosl pilota/velista/giornalista Thierry Rannou, Egfried Depoorter e altri.
Circa metà delle 14 moto corsero anche nella Dakar 1996 con Marc Troussard, Michel Servet e altri.
Visto la richiesta e il prezzo altissimo della Super Production, la Yamaha Motor France, preparò nel 1995 due serie di moto per le corse raid, la Marathon e la Marathon Rallye, entrambe preparate su base XTZ 660 ma con poche e mirate modifiche. La Marathon: serbatoi e sospensioni. La Marathon Rallye: serbatoi sospensioni e cassa filtro. Per entrambe nessuna modifica al telaio.

Special Tks Giovanni Tazzone Fantazzini

Dakar 1990: la prima Yamaha bicilindrica

Il rally dei Faraoni era alle porte. Sarebbe partito ad inizio ottobre e rappresentava un importante banco prova in vista della successiva Parigi-Dakar, l’avvenimento più importante della stagione africana. La gara egiziana assumeva perciò una particolare rilevanza per la Yamaha, che dopo un infruttuoso inseguimento della vittoria con la sua monocilindrica, sempre protagonista, ma sempre sconfitta nelle ultime edizioni, decise di uniformarsi alla formula scelta da Honda e Cagiva (ma non dalla Suzuki) realizzando una bicilindrica contraddistinta dalla sigla YZE 750 T.

YZE1990-2

Tramontava così la sigla OW che la moto ufficiale per i rally aveva diviso a lungo con la 500 da gran premio. Prima del debutto ufficiale ai Faraoni la neonata Yamaha mosse i primi passi in Giappone con Franco Picco e Stephan Peterhansel che hanno avuto occasione di riprovarla anche in Francia, opportunamente modificata sulla base delle indicazioni da loro fornite in occasione del primo test. Picco e Peterhansel tornati in sella poco lontano dalle spiagge di Le Touquet dove si disputava la celebre gara di enduro, ed entrambi riscontrarono con soddisfazione come sia stata migliorata la moto, rinunciando a qualche chilometro in velocità di punta in cambio di un maggior tiro ai regimi medio-bassi.YZE1990-1

Della nuova YZE 750 T erano disponibili soltanto due esemplari per Picco e Peterhansel, ma altre due moto verranno ultimate in tempo per la Parigi-Dakar, una per la squadra italiana e l’altra per quella francese. Queste sono le prime immagini della bi-cilindrica ufficiale corredate da dati tecnici non troppo approfonditi per il tradizionale riserbo dei giapponesi, piuttosto restii a svelare i «segreti» delle loro creature.

YZE1990-3La cilindrata era di circa 800 cm3 e la potenza massima superava i 70 CV a 7500 giri per una velocità massima di 170 km/h (contro i 150 km/h della «mono»). Il telaio era più basso rispetto alla OW 94 (ribattezzata oggi YZE 750. La forcella aveva steli di 46 mm con un’escursione di 300 mm. L’escursione del monoammortizzatore posteriore era invece di 260 mm. I freni erano entrambi a disco ed un peso a secco di soli 190 kg. Per la sua ultima nata, la Yamaha aveva realizzato in proprio anche la complessa strumentazione necessaria per affrontare i rally.

Dal trip master alla bussola elettronica tutto era stato allestito ad Iwata e la moto arrivò in Europa già «pronta gara», soltanto da verniciare nei colori degli sponsor. Tradizionalmente erano invece i team ad occuparsi di acquisto e montaggio degli strumenti di bordo, diventati con il passare degli anni sempre più sofisticati e determinanti per l’esito delle gare.

Special tks to Stefano Massenz per l’articolo

Eugen Eicher su BSA alla Dakar 1985

Eugen Eicher si era iscritto alla Dakar 1985 e veniva dalla Svizzera, quindi pensò bene di traslare l’utilità del famoso coltellino multiuso dell’ esercito, alla moto inserendo pezzi di ricambio direttamente sul telaio. L’esempio più pratico è la corona posteriore che poteva eventualmente servire da protezione per il carter motore della sua BSA bicilindrica da 650 cc. Probabilmente molti altri pezzi di ricambio erano montati lontano dagli occhi dei profani. Non sono stato in grado di saperne di più, con mio grande rammarico, ci appelliamo ai fans del sito per saperne di più.

Se necessario, Eugen era determinato a usare attrezzi “antiquati” come il martello e pinze alloggiati in una sacca di cuoio. Una testimonianza fotografica che fa capire lo spirito di avventura che pervadeva i concorrenti dell’epoca.

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Le Yamaha XT alla Dakar 1985

Le XT alla Parigi-Dakar ’85 Le Yamaha presenti alla Parigi-Dakar erano di due tipi: quelle ufficiali, preparate direttamente dalla casa e gestite dal team francese Sonauto, che hanno conquistato con Olivier il secondo posto, e quelle preparate dalla Belgarda, che dopo aver dominato a lungo la competizione con Picco hanno terminato al terzo e quarto posto con lo stesso Picco e con Marinoni. Noi abbiamo analizzato la versione preparata dal team italiano perché, avvicinandosi maggiormente alla produzione di serie, permette di fare degli interessanti confronti.

Belg85-12La moto della Belgarda rappresenta un vero e proprio collage, in quanto sfrutta parti della TT600, della XT 600 Ténéré e della 490 da cross. Il telaio è quello della TT 600, rinforzato nella parte posteriore per sostenere il peso del serbatoi supplementari e della borsa degli attrezzi. In particolare è stato saldato un tubo di rinforzo che va dalla zona di attacco dei forcellone fin sotto la sella. Rispetto al telaio di serie poi sono stati aggiunti due tubi paramotore, uno per lato, per ottenere una maggiore protezione, e il cavalletto centrale per facilitare le operazioni di assistenza.

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Forcellone “ufficiale Yamaha”

La forcella e il forcellone posteriore sono stati forniti direttamente dalla Yamaha e sono uguali a quelli delle moto ufficiali. La forcella ha gli steli da 43 millimetri come quella della TT 600, ma è dotata dei foderi con lo sgancio rapido della ruota anteriore. Le molle chiaramente sono rinforzate per il maggior peso che devono sopportare. Il forcellone posteriore è un modello sperimentale un po’ più alto di quello di serie. L’ammortizzatore posteriore è quello di serie, mentre la molla anche in questo caso è rinforzata per sopportare il maggior carico.

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Ruote rinforzate di derivazione YZ

Le ruote adottate sono quelle della 490 da cross. Le gomme sono state montate, a seconda dei terreni, con la camera d’aria, mettendo dietro un doppio fermacopertone per evitare di strappare la valvola, oppure con la « mousse » di gomma piena. La « mousse » in particolare é stata adoperata sulle pietraie o comunque sui terreni duri dove il rischio di forature è molto elevato.
L’impianto frenante è un incrocio tra quello della XT 600 Ténéré e quello della 490 da cross. All’avantreno c’è il disco di serie della Ténéré con il gruppo frenante (pompa e pinza) della moto da cross che garantisce una maggiore affidabilità. Al retrotreno sia il tamburo che il gruppo frenante sono da cross.
Il motore è quello della TT 600, strutturalmente identico a quello, della Ténéré ma già all’origine un po’ più potente (circa 2 cavalli in più) e soprattutto più generoso in basso. Per guadagnare un ulteriore tiro ai bassi è stato sostituito l’albero a camme con quello dei kit di preparazione che la Belgarda commercializza, ed è stata posta una cura particolare nella progettazione della parte terminale della marmitta a scarico libero, che peraltro sfrutta i collettori di serie. E’ stata inoltre variata la taratura dei carburatori per adeguarli alla scatola filtro sul serbatoio.

Filtro aria intercambiabile posizionato a ridosso del serbatoio in modo da non dover smontare la sella

Filtro aria intercambiabile posizionato a ridosso del serbatoio in modo da non dover smontare la sella

In gara poi è stato utilizzato il cilindro della Ténéré con la canna in. ghisa al posto di quello della TT con la canna cromata. Sono di serie anche la frizione e il cambio, quest’ultimo sia come struttura che come scalatura dei rapporti. Si è intervenuto invece sul rapporto finale, adattandolo via via alle caratteristiche dei percorso con la sostituzione della corona. La catena è rinforzata, dei tipo di quelle adottate sulle moto da cross.

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Serbatoio Byrd da 39 lt.

Il serbatoio ha una capacità di 39 litri ed è lo stesso del kit di preparazione, Dentro è completamente vuoto; i piloti stessi hanno rinunciato alla spugna all’interno perché gli scuotimenti dei carburante a serbatoio semivuoto non infastidiscono la guida e si guadagna un litro di capacità. I serbatoi laterali sono stati fatti fare appositamente dalla Belgarda. Quello dell’acqua, obbligatorio per regolamento, ha, una capacità di 6 litri, quello della benzina di 10.
Le sovrastrutture sono completate dalla sella della Ténéré, da un parafango posteriore Acerbis e dal cupolino, che racchiude il radiatore dell’ollo (nella Ténéré è fissato di fianco al motore). Il cupolino protegge la strumentazione che comprende contagiri, tachimetro con trip-master e termometro della temperatura dell’olio. Dietro al cupolino trovano posto anche la bussola e una cassetta per il roadbook

Fonte:http://www.xt600.cc/xtword/?page_id=2

Le 125 nella storia della Dakar

Testo: Romolo Ciancamerla

Usare il termine “avventura” nel definire la partecipazione alla Dakar con una ottavo di litro, non è affatto una forzatura: se già partecipare e finire questa gara con una moto di cilindrata e potenza adeguata è un’impresa riservata a pochi eletti, tentare di farlo con una moto di tale cilindrata è veramente qualcosa che rasenta l’eroismo!

Il primo problema è quello dell’affidabilità meccanica: con una moto di questa cilindrata si deve sempre essere al massimo delle capacità del motore, sia su piste dure che su quelle sabbiose, perché altrimenti le tappe si finiscono il giorno dopo! Quando anche si riesca a preservare la meccanica e si abbia una assistenza adeguata – con una quantità di ricambi che permettano una sostituzione frequente di pezzi che non riuscirebbero a fare tutta la gara (pistoni a vagonate, cilindri in quantità..e anche qualche motore completo!) – in ogni caso un pilota su una 125, per quanto esperto e bravo possa essere, arriverà sempre a sera inoltrata, se non durante la notte, quindi dovrà avere una resistenza fisica anche superiore a quella necessaria ai piloti delle cilindrate superiori.

E non si pensi che la maggior leggerezza di una 125 possa essere un’arma a favore: a causa del fatto che si deve essere sempre a manetta, i consumi delle 125 sono anche decisamente superiori a quelli di moto di cilindrata superiore, quindi lo sfidante col 125 dovrà portarsi una quantità superiore di benzina e, alla fine, il peso della sua moto sarà solo leggermente inferiore, inoltre, almeno nelle Dakar di una volta, dovrà prevedere anche più rifornimenti. I 4T sono stati usati solo nelle primissime edizioni (troppo bassa la potenza per stare dentro nelle tappe sempre più tirate che Dakar dopo Dakar venivano inventate dagli organizzatori), così sono stati complicati dalla esigenza di dover far miscela: se è vero che usare un sistema di miscelazione automatica è troppo rischioso (non si riuscirebbe mai a tenerlo protetto dalla sabbia!) è anche vero che fare miscela in mezzo al deserto non è l’operazine più semplice di questo mondo!

Per farvi una panoramica di tutti questi “eroi” che hanno tentato di arrivare a Dakar (quando si arrivava là!) o comunque in fondo, dividerò la storia della Dakar in 5 grandi periodi, che hanno anche costituito le tappe evolutive di questa grande manifestazione.

 

GLI ALBORI: LA PRIMA PARIGI-DAKAR 1979

A Capodanno 1979 un eterogeneo gruppo di 200 avventurieri, sui veicoli più improbabili (a 2,4 o più ruote, allora la classifica non era ancora separata), partì dal Trocadero di Parigi per raggiungere la capitale del Senegal, Dakar, che ancora era un semplice punto su una cartina geografica ed il cui nome non era ancora ammantato di leggenda.

DAKAR 1979 Gregoire Verhaeghe arriva in fondo alla prima edizione con la sua moto di tutti i giorni, una Honda 125 XLS

DAKAR 1979 Gregoire Verhaeghe arriva in fondo alla prima edizione con la sua moto di tutti i giorni, una Honda 125 XLS

A guidare questa carovana c’era quel Tierry Sabine, che aveva contratto il male dell’avventura africana partecipando, con una delle poche moto (perdendosi anche per 3 giorni nel deserto!), due anni prima al Rally Cote d’Ivoire, organizzato da Jean Claude Bertrand, che faceva il percorso inverso da Abidjan a Nizza e che è stato a tutti gli effetti il precursore della Parigi-Dakar.

Alla prima Dakar le moto erano circa la metà degli iscritti e c’erano anche quattro 125, due Suzuki TS 2T e due Honda XLS a 4T; solo una delle due Hondine arrivò in fondo, guidata da Gregoire Verhaeghe, che, con i suoi 19 anni, era anche il più giovane dei partecipanti.

Guardando la sua foto, che sembra arrivare da un’altra epoca, si vede chiaramente che molte moto partecipanti non avevano niente di diverso dalle moto di tutti i giorni, con giusto qualche attrezzo caricato sul portapacchi; infatti Gregoire usò la sua Hondina che aveva sulle spalle già 70.000Km.

Anche se i percorsi di quelle prime edizioni seguivano le piste tracciate e i road-book erano solo di pochissime pagine indicando poco più dei nomi delle località di inizio e fine tappa (nomi ancora meno conosciuti della Dakar stessa, ma che diventeranno icone degli appassionati di Africa. Come dimenticare In Salah,Tamanrasset,Agadez,Gao, Bamako?!), arrivare in fondo con quella moto è da considerarsi una impresa titanica e farlo arrivando 65° su 74 arrivati (33° nelle moto, il miglior risultato mai raggiunto da un partecipante in 125!!) fa comprendere ancora di più che il giovane Verhaeghe aveva tutti i numeri per farcela e lo dimostrò partecipando ad altre 4 Dakar e finendo addirittura 3° assoluto nell’ ‘82 con una Barigo 600.

 

GLI ANNI DELLA CONSACRAZIONE: dal 1980 al 1986

Il successo della prima edizione ebbe una eco così grande che Tierry Sabine, anno dopo anno, fece diventare la sua corsa uno degli eventi più seguiti dai media mondiali. Sempre fedele al suo motto “C’est la Dakar” per giustificare le critiche che gli arrivavano da ogni parte per la pericolosità crescente di una gara in cui la velocità media continuava a salire ed i percorsi deviavano sempre più spesso dalle piste segnalate, facendo diventare la navigazione sempre più importante.

DAKAR 1984 Patrick Vallet conclude la gara sulla sua Yamaha DT125 Notare il portaroadbook con i fogli  al vento!

DAKAR 1984 Patrick Vallet conclude la gara sulla sua Yamaha DT125 Notare il portaroadbook con i fogli al vento!

Anche se il rischio di perdersi nel Sahara aumentò a dismisura, un numerro sempre maggiore di personaggi (sportivi e non) voleva tentare quell’avventura ed anche per le case costruttrici la Dakar diventò un avvenimento a cui era sempre più difficile dire di no.

I veicoli diventarono sempre più specializzati e le moto presero ad assumere quell’aspetto da “nave del deserto” derivato dall’uso di serbatoi sempre più grandi che porterà a generare quella categoria di veicoli anche per la produzione di serie.

Nonostante ciò, qualcuno che tentava l’avventura su un 125 ci fu sempre…e questi sono i numeri:

1 concorrente nell’ ‘80, 3 nell’ ‘83, 2 nell’ ‘84, ‘85 ed ‘86.

In questo periodo, soltanto un pilota riuscì nell’impresa di raggiungere Dakar su un 125: nell’ ‘84 Patrick Vallet finì 40° assoluto nella categoria Moto, su 54 arrivati dei 116 partiti, un risultato di assoluto rispetto, considerando che erano già gli anni delle vittorie del Gaston Rahier sul bestione BMW (antenato delle tante GS attuali) e che le giapponesi e, timidamente, anche le case italiane si

Monsieur 125”, Gerard Barbezant alla sua prima partecipazione nel 1985, su Honda XL 125

Monsieur 125”, Gerard Barbezant alla sua prima partecipazione nel 1985, su Honda XL 125

stavano impegnando sempre di più direttamente nella preparazione delle moto, che erano ancora moto derivate dalla produzione con opportuni adattamenti.

GLI ANNI D’ORO: dal 1987 al 1992

Anche dopo la morte del suo fondatore Tierry Sabine, avvenuta durante la edizione 1986 a causa di un incidente all’elicottero da dove il “Condottiero” ormai gestiva la corsa e, pur se in molti appassionati tendono a far coincidere quell’anno con la fine della “Dakar Eroica”, la struttura che il Sabine stesso aveva creato, la TSO, riuscì a gestire la crescita e la Dakar diventò la gara motociclistica più seguita in assoluto.

Ormai sia le case automobilistiche (la Citroen/Peugeot in primis) sia tutte le più grandi case motociclistiche sviluppavano prototipi che erano creati solo per cercare di vincere quella corsa (che, nel caso delle moto, generavano poi dei veicoli di produzione che ci somigliavano, invertendo il processo seguito negli anni iniziali) e la gara era diventata a tutti gli effetti un GP nel deserto che si vinceva basandosi più sulle performance dei mezzi che sulle capacità dei piloti di “trovare” la pista giusta, anche perchè i sistemi di navigazione erano diventati molto vicini a quelli satellitari usati oggi e che fanno smarrire la strada solo se si rompono.

Nonostante questo aumento vertiginoso delle prestazioni, ancora qualche “eroe” che decideva di partire in 125 lo troviamo: nell’ ‘87 ancora due partenze (ma nessuno all’arrivo!) per poi raggiungere l’esplosione delle presenze nel 1988, con ben 13 moto 125 alla partenza.

Il 1988 è stato l’anno in cui parteciparono le due Gilera R1, insieme alle due Peugeot della squadra originaria “La Sfida 125”; oltre a queste moto, già descritte nel numero scorso, partirono un Kawasaki, 2 Yamaha, 2 Aprilia , 3 Cagiva ed un KTM.

Il KTM , il famoso “bimotore”, era una moto tra le più “assurde”, mai viste alla Dakar: il suo costruttore, Michel Assis, conscio dei limiti meccanici di un motore 125, non aveva trovato una soluzione migliore che piazzare un secondo motore di scorta fissato sopra a quello in uso, pronto ad essere sostituito in caso di avaria sulla pista!

DAKAR 1988: Ecco dov’era il motore di scorta! Nonostante questo, Assis non superò le prime tappe!

DAKAR 1988: Ecco dov’era il motore di scorta! Nonostante questo, Assis non superò le prime tappe!

DAKAR 1988 Michel Assis con la sua monumentale KTM 125 “Bimotore”

DAKAR 1988 Michel Assis con la sua monumentale KTM 125 “Bimotore”

Una menzione particolare va fatta per una delle due Yamaha, quella guidata dall’italiano Mercandelli: il veterano di tante Dakar era iscritto con una XT 600, ma a meno di 15 giorni dalla partenza venne contattato dalla Belgarda (la squadra italiana che gestiva le Yamaha ufficali per Picco e Co.) e gli venne offerta una Tenerè 125 “Ufficiale”. Dal momento che la squadra Yamaha aveva (ed ha!) la sua sede a meno di due Km dalla sede storica della Gilera e siccome “il paese è piccolo e la gente mormora”, niente di più probabile che il vorticoso programma di allestimento delle due Gilera avesse superato le mura dello Stabilimento di Arcore e che la Belgarda avesse deciso a sua volta di allestire un 125 in fretta e furia; il livello di preparazione della moto e la proposta all’ultimo minuto a Mercandelli lasciano supporre che la verità non sia così distante dalla mia supposizione.

In ogni caso, nonostante una partecipazione così numericamente importante, ancora una volta nessun 125 superò la metà della

DAKAR 1988 La Yamaha Tenerè 125 di Mercandelli, preparata di corsa dalla Belgarda

DAKAR 1988 La Yamaha Tenerè 125 di Mercandelli, preparata di corsa dalla Belgarda

gara: la maggioranza dei concorrenti non superò le micidiali prime due tappe e solo le

DAKAR 1989 I Fratelli Auribault tra gli ultimi a partecipare alla Dakar degli Anni d’Oro, ed ambedue al traguardo

DAKAR 1989 I Fratelli Auribault tra gli ultimi a partecipare alla Dakar degli Anni d’Oro, ed ambedue al traguardo

Cagiva (iscritte da un team francese molto ben organizzato) arrivarono vicine ad Agadez… ma non poterono proseguire a causa della mancanza di ricambi fermi nel deserto nel loro camion di assistenza.

Il 1989 fu l’ultimo anno della Dakar degli anni d’oro che vide delle 125 alla partenza e due dei tre partenti, i Fratelli Auribault (dei veri veterani di questa corsa) riuscirono nell’impresa di arrivare a Dakar, in 52° e 53° posizione dei 60 arrivati, prestazione notevole se si considera il livello raggiunto dalla gara.

Per ritrovare altri 125 al via si dovettero attendere altri 10 anni.

 

GLI ANNI DEL CAMBIAMENTO: DAL 1993 AL 2007

Nel 1993 si raggiunse il numero minimo di partenti: la situazione politica burrascosa nel Nord Africa aveva convinto molte delle grandi case (soprattutto in campo moto) a ridurre l’impegno ufficiale e, conseguentemente, la copertura mediatica era rapidamente scemata. In questo stesso anno la gestione della gara passa dalla TSO alla ASO, quasi a voler suggellare un passaggio di testimone tra la “classica” e la “nuova” Dakar. Negli anni seguenti la ASO cambiò molte volte il percorso, sia modificando la città di partenza che di arrivo, questo sempre nel tentativo di trovare percorsi che evitassero le pericolose zone “calde” che di anno in anno diventavano più estese, fino ad arrivare all’edizione del 2008 che fu annullata a due giorni dalla partenza. Le difficoltà della gara, però, non diminuirono e per molti anni nessuno trovò le motivazioni per tentare di nuovo con la ottavo di litro, finchè nel 1999 rispuntò quello che in Francia fu soprannominato “Monsieur 125”, tal Gerard Barbezant, che partecipò ad un totale di 14 Dakar, tutte fatte in 125!

La sua prima partecipazione risale al 1985, con una Honda XLR 125, che usò anche nel 1986; nel 1987 passò al 2T su una Honda NX125 e poi usò una Yamaha per la edizione del 1988. Dopo una interruzione di 11 anni, si ripresentò nel 1999, stavolta in sella ad una KTM EXC 125 che usò quasi ininterrottamente fino alla sua ultima Dakar, quella del 2007, corsa alla bella età di 61 anni! Non corse la Dakar del 2006 a causa del dolore che gli procurò la morte del grande Fabrizio Meoni, suo buon amico. Esempio di passione e perseveranza riuscì nell’intento di finire la Dakar solo nel 2003, in una edizione che terminò a Sharm-el-Sheikh e che fu una delle meno dure di sempre, al punto tale che il suo vincitore Sainct, commentandone la facilità disse che “l’aveva potuta terminare perfino il Barbezant”!

Dakar 2005: venti anni son passati, ma “Monsieur 125” è ancora in sella alla sua KTM EXC 125 per la sua 13° partecipazione alla Dakar

Dakar 2005: venti anni son passati, ma “Monsieur 125” è ancora in sella alla sua KTM EXC 125 per la sua 13° partecipazione alla Dakar

Sembra che la dedizione di questo sportivo vero alla classe 125 non fosse dettata da una qualche forma di perverso masochismo, ma semplicemente dal fatto che non aveva mai fatto la patente per le moto di cilindrata superiore… e la 125 era l’unica moto che poteva guidare!

Pur se in qualche edizione fu accusato di qualche “trucco”, cioè quello di tagliare pesantemente il percorso, beccandosi la forfettaria per salto dei controlli… ma rimanendo in gara sfruttando il regolamento che lo permette (in fondo non era uno sprovveduto, essendo detentore di 3 lauree in ingegneria!), non si può che ammirarne la caparbietà; comunque rimarrà negli annali tra i pochissimi ad aver completato la Dakar in 125!

LA DAKAR CAMBIA CONTINENTE; DAL 2009 AD OGGI

La sempre più instabile situazione politica del Sahel, che impedisce di trovare dei percorsi adeguati per allestire in sicurezza una gara all’altezza della sua fama, spinge gli Organizzatori ad attraversare l’Oceano Atlantico e della Dakar rimane solo il nome di qualcosa che, oltre a percorrere piste dell’ America del Sud, perde anche quell’alone di “avventura” che ne aveva sempre permeato la storia. La gara, pur sempre massacrante, diventa una sorta di Enduro “Long Range” con percorsi che scalano le Ande e che percorrono dei deserti che non hanno certo più le difficoltà ed il fascino di sfida, tipiche del Tenerè. Le moto diventano più leggere e maneggevoli, ma pensare di usare un 125 ha ancora un qualcosa di eroico.

Nell’ultima edizione di quest’anno, il francese Sylvain Espinasse, ha corso e completato la Dakar su una Husqvarna, diventando il sesto pilota nella storia a riuscire nell’impresa.

Dakar 2016 Sylain Espinasse è il primo a correre e concldere la Dakar “del nuovo mondo”

Dakar 2016 Sylain Espinasse è il primo a correre e concldere la Dakar “del nuovo mondo”

Sulla sua moto, dotata di un intelligentissimo serbatoio per l’olio miscela realizzato all’interno del forcellone, ha dovuto sostituire 5 pistoni per giungere all’arrivo e ha dovuto superare una difficoltà sconosciuta ai concorrenti delle vecchie Dakar: il superamento dei passi a più di 4.000 metri lo hanno costretto, talvolta, a non riuscire a raggiungere velocità superiori ai 40 Km/h, causate dalla carburazione pesantemente ingrassata.

Ma al termine della sua impresa, Sylvain ha raccontato che le difficoltà più grandi le ha incontrate nel superamento delle dune; questo mi fa pensare che se avesse tentato la vecchia Parigi-Dakar forse non sarebbe entrato nella storia!

 

Articolo tratto da Endurista nr. 43
http://www.enduristamagazine.com/prodotto/endurista-n-43-novembredicembre-2016/