Luigi Algeri e la sua Dakar 1990

Alla prepartenza di Milano si era presentato in un assetto a metà tra lo spiritoso e il dimesso. poi in gara ha fatto vedere quanto ci sapevi fare giungendo fino al traguardo con una moto decisamente malconcia.

Ti eri presentato con la moto sul carrello, ma poi…
«É vero, in quel momento avevo tutto con me e non avevo ancora accordi con nessuno per i ricambi.
A Parigi ho caricato una borsa sul camion di Grassotti ed un motore su un Tatra; questo mi doveva servire ad Agadez, solo che il camion non c’era ed io non sarei stato in grado di sostituirlo perché avevo la febbre.

Cosi nella seconda parte della Dakar non ho più potuto usare la quarta poiché era divenuta rumorosissima ed avevo paura di rimanere a piedi: ho corso anche col monoammortizzatore, praticamente scoppiato, che sono riuscito a sostituire poco prima del traguardo.
La mia moto era una Yamaha TT già impiegata da Maletti nella Dakar ’87, l’ho smontata tutta e rimontata come era in origine.

Quanto al mio risultato, (33° nell’assoluta n.d.r.) ho perso parecchio tempo poiché, oltre al motore. anche la sospensione posteriore ha dato seri problemi costringendomi a riparazioni di fortuna».

Si ringrazia Alfredo Margaritelli per la collaborazione.

Bennerotte Dakar 1990

Partenza Dakar 1990, un agguerrito Bennerotte alla presentazione sulla sua Suzuki DR750!

Lalay e Gilera insieme nel 1990?

C’è stato un momento in cui Gilles Lalay, vincitore in carica della Dakar 1989, e la Casa di Arcore sono stati vicinissimi. In queste foto il francese fece visita allo stabilimento ed al reparto corse Gilera, accompagnato dal D.S. Carlo Perini, accanito sostenitore dei rally africani. Venuto in Italia per fornire la sua consulenza proprio sulla Dakar, Lalay in quei mesi era ancora sotto contratto con HRC.

La storia purtroppo ci raccontò un epilogo diverso, in quanto Gilles si accordò con Suzuki e corse la Dakar 1990 con la DR BIG monocilindrica.

Fabio Guerrini e la Laverda OR600 alla Dakar 1990

Forse non tutti sanno che: alla Dakar 1990 partecipò anche una Laverda OR 600, portata in gara dall’italiano Fabio Guerrini. Non si sa molto e ci piacerebbe scoprire di più. Chi ha delle info?

Le mie Dakar di Ermanno Bonacini

Dopo 13 anni di motocross alla rincorsa di un sogno che seppur sfiorato più volte, non sono mai riuscito a farlo diventare la mia professione, ho pensato di chiudere almeno in bellezza questa parentesi di vita.

In quegli anni la Parigi Dakar teneva il mondo attaccato alla televisione, ai quotidiani e alle riviste. E quindi pensai che fosse la gara giusta, un sogno molto alettante, tanto da farne diventare una piacevole ossessione partecipando a 3 edizioni, dal 1989 al 1991.

Già, ma con quali soldi, con quali mezzi!?
Vi ricordo che sono sempre stato un operaio e coprire i 50 milioni necessari è sempre stato un calvario… Avevo una Yamaha XT Ténéré e questa è stata la mia prima moto che mi portò al traguardo 49° su 60 piloti arrivati al traguardo.
La preparai nella mia solita cantina 4×3 mt (chi dice che servono mega officine sbaglia) e solo per i serbatoi chiesi aiuto a VRP. Il motore era “fresco” aveva solo 18.000 km così sostituii il pistone e il cilindro coperti dalla “garanzia” pirata del mio amico concessionario. Ricordo che al 2° giorno caddi e distrussi il trip master, così guidai senza note fino alla fine, seguivo le tracce, la polvere e il mio istinto. Solo seguendo le tracce lasciate sulla sabbia da piloti come Franco Picco e Edi Orioli, riuscii a finire, perciò a loro va a loro il merito e la mia massima considerazione, forse i piloti più forti che abbia mai incontrato alla Dakar.

Tutto sarebbe finito lì dopo la prima edizione, avendo raggiunto il mio obiettivo, ma quando gli sponsor bussano alla tua porta e per strada ti fermano per chiederti un autografo capisci che non puoi interrompere questo sogno stupendo.
Nella Dakar 1990 avevo già un precontratto con Balestrieri per il noleggio di una delle sue Aprilia, poi all’ultimo momento tutto sfumò e la mia scelta ricadde su un’Africa Twin che mi fornì Boano. La moto era già preparata direttamente dalla HRC mancavano solo la strumentazione, le gomme e poche altre cose.

Purtroppo non fu un’edizione fortunata, un incidente importante alla 4° o 5° giornata, non ricordo bene, mi costrinse a terminare anticipatamente la corsa (ero al confine tra Libia e Niger e li finiscono i miei ricordi, perchè mi svegliai in sala di rianimazione al Maggiore a Bologna dopo 5 giorni).

Per la mia ultima Dakar, quella del 1991, usai sempre un’Africa Twin che Honda Italia mi mise a disposizione. Era già stata usata al Rally dei Faraoni, però era in ordine. Purtroppo quella edizione finii troppo presto, la pompa della benzina smise di funzionare al confine col Niger (ancora li, che fortuna!) e solo grazie ad un piccolo gruppo di piloti ritirati, dopo 3 giorni risalimmo fino a Tunisi dove ci imbarcammo per l’Italia.

La moto che sicuramente mi ha dato più soddisfazioni e che ricordo con più piacere è stata senz’altro la mia prima Yamaha, era la più leggera è la più maneggevole, però aveva dei limiti. A differenza dell’Honda bicilindrica, se vuoi più pesante ma decisamente più completa per una competizione simile.

Arrivati a questo punto, cosa resta della mia Africa? Credo di aver dato tanto di me stesso a questa gara, però non si può essere eterni, mantengo dei rapporti di amicizia con pochi dakariani.
Purtroppo a mio parere la tecnologia ha svilito l’avventura e i problemi politici hanno fatto il resto, della vecchia Dakar è rimasto ben poco. Però fa parte di me e la seguo sempre con piacere ogni volta che parte.

Un aneddoto curioso, è quando ben consapevole dell’importanza del recupero fisico, di mangiare e dormire, per abituarmi al sonno a basse temperature, problematiche avrei incontrato al nord a inizio gara, mi preparavo dormendo all’aperto in sacco a pelo tutto il mese di dicembre!!

Terminato il mio sogno ho scelto un’altra strada nello sport “molto meno impegnativa” che lasciasse tempo alla mia vita privata e senza dare importanza al lato agonistico, ora a 55 anni, una figlia, una compagna e la mia nuova passione è il triathlon.

Ciao a tutti.

Ermanno Bonacini

Franco Picco Dakar 1990…è andato tutto storto!

Avrebbe dovuto essere la Dakar del successo. Invece per Franco Picco si è trasformata in una gara durissima, nella quale è stato costretto a stringere i denti per resistere alla fortissima infezione intestinale che lo ha buttato a terra, lo ha costretto a sudare per arrivare, e certo non nella posizione che voleva.

«Era una mia precisa scelta tattica quella di cominciare ad attaccare solo dopo metà gara spiega ma quando è arrivata la Mauritania stavo malissimo, faticavo a restare sulla moto, e mi sembrava di avere la testa piena d’acqua. Addirittura sono stato due giorni senza mangiare per non dovermi fermare in prova speciale, carta igienica alla mano, ma bevendo solo acqua si perdono completamente le forze. Sono arrivato perché concludere la Dakar è pur sempre un risultato, ma non è certo quello che volevo io. Terzo, quarto, quinto o secondo non fa molta differenza». Una delusione totale, insomma? «Spesso arrivi a prendere la decisione di smettere proprio perché hai lavorato come un matto tutto l’anno solo per quel risultato, e poi vedi che perdi la gara per cose del genere: ti cadono le braccia, ti viene da pensare che sia inutile insistere. Sudi, fatichi, rischi anche di farti male davvero e poi basta un nonnulla per man-dare tutto in fumo. Come quel salto in cui sono caduto, nella prima parte della corsa: ci sono passati tutti senza il minimo problema, è bastato appena un piccolo colpo di gas ed io mi sono rovesciato. Un attimo e rischi di mandare tutto in fumo».

C’è stato anche il problema di presentarsi con una moto totalmente nuova.

«Già, c’erano da rifare tutte le esperienze dopo tanti anni con le monocilindriche. Però per fare le cose bene bisognerebbe poter cominciare a febbraio con le prove, perché ci vuole tempo per i collaudi, ed eventualmente per modificare ciò che non va. È un problema perché una ditta non può lavorare tutto l’anno solo per la Parigi-Dakar e le prove cominciano sempre a metà settembre, ma bisognerà riuscirci, anche perché così avrò più tempo per allenarmi con la moto da gara: più si va avanti e più l’allenamento è necessario, e forse avrei avuto bisogno di averne fatto un po’ di più con la bicilindrica, quest’anno».

C’è una certa rivalità tra te ed Orioli: ti dispiace che abbia vinto? «Certo mi dispiace che abbia vinto lui. Ma solo perché vuol dire che non ho vinto io!».

Fonte Motosprint

 

 

I “nostri eroi”, gli italiani all’arrivo della Dakar 1990

In piedi: Franco Picco, Alessandro Ciro De Petri, Medardo, Mandelli, Petrini, Marcaccini, Cabini e Montebelli;
Accosciati: Gualini, Algeri, Grassotti, Signorelli, Orioli, Mercandelli e Aluigi. Nella foto manca solo Zotti.

Cagiva Elefant 900 1990

Siamo alla Partenza della Parigi Dakar 1990 e Edi Orioli si presenta al via con una nuova Cagiva che sembra da subito nata sotto un’ottima stella. Peterhansel è messo fuori corsa nel Ténéré, Neveu squalificato, Lalay cade. Le Cagiva di Edi Orioli e di Alessandro “Ciro” De Petri imperversano nelle tappe desertiche e prendono il volo. Orioli passa in testa a Ghat e consolida definitivamente il suo vantaggio con la tappa di Agadez che ha attraversato tutto il Ténéré. Per il friulano è il secondo successo, dopo quello con la Honda nel 1988, ed è anche la prima vittoria della Cagiva dopo sei partecipazioni.

Suzuki DRZ 750 Big Gualini

Con oltre 30 rally africani sulle spalle, fra veterani della Dakar, Beppe Gualini si schiera al via nel 1990 a cavallo di una Suzuki DRZ 750 Big. Concluderà in ottima 15a posizione nella generale.

Foto di gruppo all’arrivo della Dakar 1990

I “nostri eroi”, gli italiani all’arrivo della Dakar 1990.
In piedi: Franco Picco, Alessandro Ciro De Petri, Medardo, Mandelli, Petrini, Marcaccini, Cabini e Montebelli;
Accosciati: Gualini, Algeri, Grassotti, Signorelli, Orioli, Mercandelli e Aluigi. Nella foto manca solo Zotti.