14 gennaio 1986: nulla sarà più come prima

Il 14 gennaio 1986, come sempre, insegue la corsa a bordo del suo elicottero bianco. Forse per l’eccessivo peso o per la scarsa visibilità dovuta a una tempesta di sabbia, non lo sapremo mai –, il velivolo si schianta a terra. Con Thierry Sabine, muoiono il cantante francese Daniel Balavoine, il giornalista Nathaly Odent, il pilota dell’elicottero, François Xavier-Bagnoud e il tecnico radio Jean-Paul Le Fur.

È uno choc per la carovana, ma la gara va avanti.

«Io vi porto alle porte dell’avventura, ma tocca a voi aprirle per sfidare la sorte»

ripeteva il creatore della Dakar. E sfidare il deserto è anche giocare con la vita, saltando sulla cresta delle dune o ballando sulla sabbia ad oltre 200 chilometri orari.

L’incidente rimarrà quello col più tragico bilancio nella storia della Dakar. Le ceneri di Sabine saranno sparse sotto il celebre “albero perduto”, vicino a dove smarrì la strada una decina di anni prima.

In quella edizione perse la vita anche il motociclista giapponese Yasuo Kaneko, investito da un’automobilista. Sarà la più tragica Dakar della storia con sei morti.

Honda XL 600L 1986

Le moto giunsero direttamente dal Giappone ai primi di dicembre; furono allestite dal reparto Ricerche e Sviluppo, R & D, sulla base dei due prototipi utilizzati da Balestrieri e De Petri al Faraoni, quindi erano delle monoclindriche derivate dalla XL 600 LM.

La squadra della Honda France disponeva invece di macchine spinte da propulsori bicilindrici sviluppate dalla HRC, più potenti ma alla loro prima esperienza desertica. I responsabili della filiazione italiana vollero privilegiare il mono per le maggiori garanzie che esso offriva in fatto di affidabilità, ad ogni modo andava sempre considerato che per realizzare queste motociclette in Giappone la Casa madre investii, solo nello studio, la bellezza di un miliardo di lire.

La macchina aveva alesaggio e corsa di 100 x 82 mm per una cilindrata di 643 cc.; la potenza non era notevolissima a causa della scarsa qualità delle benzine reperibili in territorio africano, comunque si aggirava sui 51 cavalli ottenuti con un rapporto di compressione pari a 8,5:1 e con un carburatore singolo da 40 mm di diametro.

Con cambio e frizione strettamente derivati dalla XL di serie, la Honda della Dakar riusciva a spingere una velocità massima di circa 170 chilometri orari, grazie anche alla nuova carenatura che, dai test effettuati in Giappone, aveva dimostrato la propria validità consentendo di guadagnare circa 10 chilometri l’ora.

L’interasse era di 1520 mm, sulle moto di Balestrieri e Orioli, mentre per De Petri la macchina era un po’ più corta perché «Ciro» aveva richiesto una diversa inclinazione del cannotto di sterzo; la forcella è da 43 mm ed è della Showa come il monoammortizzatore che lavorava su un Pro Link ridisegnato con leveraggi al di sotto della linea del forcellone.

Interessante la soluzione adottata per la carena, in tre pezzi, che nella parte inferiore aveva due serbatoi per l’acqua di scorta e per circa un chilo di lubrificante da utilizzare in caso di necessità; la capacità del serbatoio carburante era di 36 litri che venivano aumentati a 55 da quelli posteriori.

All’arrivo di Dakar si classificarono; Balestrieri al 3° posto, De Petri 5° e Edi Orioli 6°.