DAKAR 1991 | Matti, matti da legare

Come definire diversamente i piloti che prendono parte alla Dakar da privati, spendendo di tasca propria per sottoporsi a fatiche e sacrifici? Ma la passione che li spinge è superiore a qualsiasi freddo calcolo. È la stessa passione che ha portato alcuni di loro a prendere il via in condizioni anche più difficili della media, con mezzi che decisamente non sono il massimo per una maratona del genere.

Ma la Dakar è bella anche per questo, perché prima ancora della gara viene il confronto con se stessi e con la propria moto. Di questo esercito di pazzi scatenati il re è sicuramente Jean Gilles Soupeaux, un francese che per tre anni ha guidato i camion della TSO e che per la tredicesima edizione della corsa ha deciso di passare dall’altra parte della barricata, da concorrente.

Per il suo debutto come motociclista non ha scelto un mezzo consueto: alle verifiche di Parigi si è presentato con una Harley Davidson. La Casa americana però non ha gradito l’iscrizione in forma privata di una delle moto da essa costruita, la prima nella storia della Dakar: ha chiesto senza successo alla Thierry Sabine Organization che nelle classifiche non risultasse il suo nome, ma ha ottenuto almeno che il suo marchio non venisse apposto sul serbatoio del «mostro».

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Il mezzo di Soupeaux è stato ritenuto troppo lontano dalla serie per essere «degno» di portare il nome Harley. Del resto quello con cui il quarantenne parigino ha preso il via era uno strano ibrido dotato sì del bicilindrico americano, ma con una ciclistica della Honda Africa Twin allungata ad hoc ed un look fantasioso realizzato all’aerografo. Perfettamente in carattere con la sua moto, Soupeaux è partito con un giubbotto nero con le frange, pure decorato ad aerografo.

Non è però andato molto lontano: 113° ed ultimo nel prologo, in Africa non è riuscito a completare nemmeno una tappa ritirandosi nel trasferimento su asfalto da Tripoli a Ghadames: con una moto terminata solo la settimana prima era da prevedere.