Dakar 1985 | Rahier e Picco si raccontano

Le barbe lunghe, i volti scavati, la polvere rossiccia appiccicata addosso, gli occhi incassati, le mani con calli enormi, le moto sporche, sverniciate, saldate, rattoppate. I reduci dalla Parigi-Dakar si presentano così sulla spiaggia di Saly-Portudal, 80 chilometri dal traguardo, la sera prima del grande arrivo sul bagnasciuga oceanico della capitale senegalese.

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La grande avventura è quasi finita. I veri eroi sono i motociclisti, arrivati in una trentina dei 180 che erano — tra i superstiti anche sei italiani: Picco terzo, Marinoni quarto, Zanichelli 13°, Balestrieri poi squalificato per essersi fatto trainare nell’ultima tappa insieme con Gagliotti e Gualini. Appena arrivati sembrano dei fantasmi spaventosi, sembrano dei cadaveri in sella alle moto. Chi ha dormito per 22 notti in media tre-quattro ore ogni volta e ha guidato per dodici ore, tredici, quattordici o anche più, in mezzo al deserto o sulle pericolose piste di terra battuta.

Vincere la Parigi-Dakar, dice Rahier, è più bello che conquistare un mondiale di cross. Picco: « I francesi non volevano un vincitore italiano ».

Sono stanchi al limite del crollo. Basta una notte, però, trascorsa in riva al mare, basta una dormita di cinque o sei ore, basta la quasi certezza di avercela fatta per rivedere, la mattina dopo, degli esseri nuovamente umani, gente che racconta volentieri e senza supponenza, almeno tra i motociclisti, la propria avventura. Gaston Rahier è un belga biondiccio, piccolo piccolo con baffetti né lunghi né corti, e simpatico: sembra l’Asterix dei fumetti. E’ lui che ha vinto, in sella alla mastodontica BMW. Ce l’ha fatta per il secondo anno consecutivo, acciuffando il primo posto proprio quando pareva inevitabilmente sconfitto dal nostro Franco Picco. «Vincere una Parigi-Dakar — ha detto Rahier, due volte campione del mondo di motocross — è più bello che vincere nel cross.

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Per arrivare su questa spiaggia devi aver sputato sangue. Qui più che la moto è l’uomo che vince, nel cross invece moto e assistenza hanno troppa importanza. Questa prova è bella perché qui tutti i motociclisti hanno lo stesso problema, cioè sono soli, nel deserto o in una foresta, perciò c’è solidarietà tra tutti, ci si aiuta, si cerca di stare insieme. Con Picco, che conoscevo dai tempi del cross, siamo davvero amici, abbiamo fatto molta strada insieme ». Insinuiamo che la BMW ufficiale di Rahier è molto cambiata rispetto a quella della precedente edizione. « Alla BMW — risponde Rahier — hanno lavorato molto sulla moto. Il motore oggi ha più coppia, il telaio migliore tenuta, le sospensioni lavorano in modo più efficace e il tutto è più leggero ». A dieci metri dal vincitore disteso sulla sabbia insieme con altri italiani ecco lo sconfitto, cioè Franco Picco.

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E’ con il compagno di squadra Marinoni, con i due piloti della Honda-Italia Balestrieri e Zanichelli, con il privato Gualini. Sono in attesa di affrontare l’ultima fatica, ma il vento rinfrescante e la visione dell’oceano li ha già trasformati rispetto alla sera precedente. Chiediamo a Picco dove ha perso la gara. « Direi — risponde il nostro interlocutore — di averla persa a Kiffa, il giorno che mi sono smarrito insieme con Rahier. E’ accaduto perché Auriol aveva perduto una pedana e si era fermato a sostituirla. Se avessi seguito Auriol, non mi sarei perso perché lui, la « volpe del deserto », non sbaglia mai strada, mentre Rahier ha meno senso di orientamento. Ma lì più del primo ho perso il secondo posto perché perdendoci abbiamo permesso agli altri di farsi sotto ».

Ma quand’è che aveva creduto di aver vinto? « A Tichit, — risponde Picco — quando hanno rifatto la classifica tre volte. La prima volta mi avevano dato 44 minuti di vantaggio su Rahier, la seconda il mio vantaggio s’era ridotto a 23 minuti e la terza m’avevano posto al secondo posto a meno di sette minuti. Io avevo la certezza di essere arrivato in tempo al controllo, invece, poi, hanno detto che non era così. Mi sono sentito per un attimo de-rubato della vittoria. Ho pensato che non fosse bello trattarmi così. Comunque, anche terzo va bene, via! Penso che ai francesi desse noia che a vincere fosse un italiano, uno, poi, arrivato per la prima vol-ta. Già arrivare a Dakar, credete, è una grossa soddisfazione. E’ tanto bello che quando ci saranno concomitanze tra gare di cross e corse africane io sceglierò l’Africa ».

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Allora questi francesi l’hanno fatta un po’ sporca? « A loro dava chiaramente fastidio — riprende Picco —che a vincere fosse un italiano. Quando nel Ténéré sono partito in testa hanno detto “chi parte davanti qui si perde” e invece sono arriva-to a soli 11 minuti da Rahier. Ho tenuto duro e allora tutti si sono stupiti e anche pre-occupati. Da lì in poi ci han-no tenuto d’occhio in modo particolare e abbiamo dovuto rinunciare all’assistenza poiché i nostri mezzi erano fuori gara e soltanto chi è ancora in lizza può fare assistenza. Una mano, però, la danno a tutti anche i mezzi fuori corsa, però, a noi è sta-to vietato più che agli altri. Meno male che ci hanno aiutato un po’ i francesi della Sonauto-Yamaha ».

Qual è stato il tratto più difficile?  « C’era il mito del deserto del Ténéré — dice Picco —ma il deserto della Mauritania è peggio: Qui, la sabbia è finissima, come acqua, sommerge tutto. E anche le piste dure delle tappe finali però sono state terribili. La terzultima tappa prevedeva l’attraversamento di una foresta seguendo, così era scritto sul “road-book”, le impronte e le piste degli animali, peccato soltanto che di piste là in mezzo ce ne saranno state ventimila e tutte strette per una moto, figurarsi per le auto e i camion ».

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In una gara del genere quali sono i problemi di navigazione e di orientamento? « Avevo partecipato al Rally dei Faraoni — afferma Picco — e avevo sbagliato e imparato, per cui avevo deciso di seguire il “road-book”, l’istinto e, se si poteva, Auriol, tutto qui ». L’illusione di farcela per Picco è finita dopo essere stato parecchio tempo al comando della gara, per i pilo-ti del team Honda-Italia, invece, molto prima. Balestrieri e Zanichelli hanno accusato guai tecnici e sfortuna, pur dimostrando, come piloti, di essere al livello dei migliori. Zanichelli è arrivato alla fine con il piede sinistro distrutto. Balestrieri è stato squalificato per essersi fatto trainare pochi chilometri prima di Dakar quando era stato costretto a finire in mare per evitare bambini indigeni troppo calorosi e l’organizzazione se ne è accorta ed è stata inflessibile così come è stato per Gagliotti e Gualini.

Tratto da Motociclismo Marzo 1985