Moto Morini Camel 500 1983

Nel 1983 il Team Valentini schiera 3 Moto Morini Camel 500 e le affida ai tre amici Massimiliano Valentini, Leandro Ceccherelli e Gianni Gagliotti che si presentarono al via, sia al Rally dei Faraoni, che alla Parigi-Dakar!

Tutti e tre i piloti Morini del Team Valentini nelle prime fasi della gara cavalcavano posizioni di vertice nella loro categoria, ma purtroppo in quell’occasione nessuno ha visto la spiaggia di Dakar causa problemi tecnici.

Gilera RC 750 1992

Siamo alla partenza della Parigi – Le Cap del 1992 e la Gilera decide finalmente di partire con un “prototipo” e cercare di giocarsi la vittoria nella generale. I piloti sono di altissimo livello e rispondono al nome di Franco Picco e “Luigino” Medardo, la moto è la nuova RC 750 che è alla sua sola seconda uscita, dopo la brevissima esperienza nel Rally dei Faraoni del ’91, interrotta anzitempo a causa della frattura di Picco e della rottura della cinghia di distribuzione sulla moto di Medardo. La moto è una monocilindrica da 750 cc. con distribuzione bialbero a 4 valvole in testa comandata da cinghia dentata, cambio è a 5 marce e frizione a secco.

Un progetto innovativo che va controcorrente rispetto alle tendenze dell’epoca: alla potenza e al peso delle bicilindriche ufficiali vengono preferite la leggerezza e la maneggevolezza.
Purtroppo la sfortuna si accanisce su questo progetto nato con le migliori aspettative, entrambi i piloti si ritireranno nella stessa tappa, la speciale Waw El Kbir-Tumu, Medardo per un guasto tecnico, Picco per una caduta che gli causerà una frattura al polso.

Yamaha XT 660 Sonauto 1987

Quella del 1987 è la ultima Parigi Dakar per una Yamaha monocilindrica in forma ufficiale, il team francese Sonauto Yamaha schiera in squadra Serge Bacou e il patron Jean Claude Olivier sulla FZT 900 4 cilindri, mentre Thierry Charbonnier sulla più facile affidabile XT 660.
Montava un monocilindrico da 660 cc che erogava circa 52 cv a 7250 giri, era alimentata da due carburatori da 27 e 30 mm. Grazie alla sua semplicità, il peso era contenuto a soli 154 kg a secco a cui andavano aggiunti 30 lt del serbatoio principale e 25 lt quello sotto la sella. 

Classico cerchio da 17’ al posteriore, mentre per l’anteriore Thierry poteva scegliere fra il classico 21’ o il più piccolo 19’. Per i freni, un maxi 300 mm all’anteriore e un classico 230 mm al posteriore. Con questa moto Charbonnier concluse all’ottavo posto togliendosi la soddisfazione di vincere una tappa.

Gilera RC 600 1993

Il 1993 è un anno particolare, con il minor numero di iscritti in assoluto alla Parigi Dakar (solo 46 moto partenti). Uno splendido lampo lo darà comunque un pilota italiano, Massimo Marmiroli, 30 anni, commerciante con la passione della meccanica e dell’avventura, che darà alla Gilera la vittoria nella 9a tappa ad Atar (Mauritania).
Al secondo posto in quella tappa, staccato di soli 19 secondi, un altro italiano: Massimo Montebelli su Yamaha.
Nella generale Montebelli conluderà ottavo e Marmiroli decimo.

Honda NXR 750 1987

Per il vincitore dell’edizione del ’86 Cyril Neveu e i suoi compagni di team Lalay e Charliat, fu messa a disposizione da HRC per la Parigi Dakar del 1987, una versione aggiornata della Honda NXR bicilindrica. Rispetto all’anno precedente vantava una cilindrata leggermente maggiore, portata a 780 cc. ed una potenza di circa 75 cv che permetteva di raggiungere i 175 kmh.

Su questa moto, già vincente di suo, fu fatto esclusivamente un lavoro di affinamento, soprattutto sui materiali, il che che consentì di abbassare il peso fino a 185 kg a secco (240 kg in ordine di marcia). Il comparto freni fu arricchito da un disco anche al posteriore al posto del tamburo.

 

Suzuki DRZ 750 Big Gualini

Con oltre 30 rally africani sulle spalle, fra veterani della Dakar, Beppe Gualini si schiera al via nel 1990 a cavallo di una Suzuki DRZ 750 Big. Concluderà in ottima 15a posizione nella generale.

BMW GS 1000 Dakar 1984

E’ il 1984 e la BMW è la moto da battere, forte anche della vittoria di Auriol nell’anno precedente! Il detto vale anche in Germania, moto che vince non si cambia. Il motore è il classico 1050 cc. da 80 cv, peso a secco 173 kg, velocità massima 180 kmh.

L’avviamento è elettrico, ed è una bella comodità su un bisonte del genere. Il serbatoio, realizzato appositamente per abbassare al massimo il baricentro e migliorare la manegevolezza, ha una capienza di circa 56 lt (!) portando la moto a pieno carico a quasi 230 kg!! 

Ulteriore innovazione per quei tempi, lo sviluppo in collaborazione con Michelin, di un sistema misto gomma spugna-camera d’aria (una sorta di mousse gonfiabile) che permette di utilizzare il pneumatico anche a pressioni molto basse.

Su questa moto viene sperimentato per la prima volta il road-book avvolgibile a doppio rullo al posto del classico con fogli “a perdere” in voga a quei tempi, con notevoli vantaggi nel caso che il pilota volesse controllare le note precedenti in caso di perdita della pista.
Come da pronostico, la GS sbanca, all’arrivo di Dakar, primo Gaston Rahier secondo Hubert Auriol.

Husqvarna WR 500 1984

Non si sa molto di questa Husqvarna 500 2 tempi del 1984 che venne portata in gara da Bernard Rigoni #6 e da Gilles Desheulles #5, se non che la base era la WR da enduro con adattate le ovvie sovrastrutture per la competizione nel deserto. Degna di nota il colossale serbatoio della miscela di ben 70 litri!! Desheulles non arrivò a Dakar mentre Rigoni si classificò 28imo.

Intervista a Bruno Birbes

A novembre mi chiama Fabio, e dopo avermi dato del cialtrone e dell’incompetente come fa da sempre, mi dice che però può darmi un’ultima possibilità: ci sarebbe da fare un articolo su un certo…
Ovviamente finiti i nostri giochetti, mi dice: «Oh, guarda che questo è uno VERO, è un dakariano vecchio stampo, mica una mezza sega come te…». E ancora: «Questo ne ha fatte più di una decina, tra quelle in moto come pilota e quelle come assistenza e team manager. È uno delle tue parti, un bresciano…».

Bresciano a chi, io sono un genovese. Mia moglie, mia glia e il mio cane sono bresciane, ma questo è un discorso a parte… Quindi mi faccio avanti e gli chiedo il nome, lui mi dice che si chiama Birbes, Bruno Birbes. Ma io lo conosco!!! Quante Dakar? Quello? Quel Bruno Birbes? Ah sì, mi era giunta voce… Ha ragione Fabio, sono un cialtrone.
Sì, ma è mai possibile che tutte le volte che incontro “il” Bruno (notare l’articolo prima del nome, alla bresciana) quello sembra sempre che sia un docile sessantacinquenne a cui piace fare ancora qualche scampagnata con gli amici alle cavalcate motociclistiche… Cos’è, uno scherzo? Al che inizio ad indaga- re, chiamo un paio di amici e questi mi parla- no di uno che dà del gas da vendere, che si è messo dietro in classi ca piloti professionisti con nomi altisonanti, che si è giocato dei Rally dei Faraoni nei primi sei.

Questi bresciani mi fanno arrabbiare: è mai possibile che quando ti rapporti con loro sembrano sempre gli ultimi arrivati, quelli che hanno vissuto nella capanna no a ieri pomeriggio, poi vai a vedere sotto e scopri che sono dei draghi di quella roba lì!?
Ora vi racconto un pochino di chi stiamo parlando. Parliamo di un giovane promettente campione classe 1949, che fa i suoi primi passi con dei Gerosa 50, Italjet 50 e Müller 50 nelle gincane dei primi anni ’60. Addirittura nel 1968, alla Sei Giorni di San Pellegrino, conquista la medaglia di bronzo su Müller 50 motorizzato Zündapp, no al momento in cui non si compra un Müller 125, motore Montesa, lo mette in mano al mitico preparatore di Borgo San Giacomo, Maestroni (recentemente scomparso), e inizia l’avventura delle corse. Va fortissimo il ragazzino, ha quel guizzo che lo fa stare davanti, ha quella follia del campione. Inizia così a farsi un nome e con esso iniziano ad arrivare le amicizie e gli aiuti.

Dal 1970 al ’74 corre con CZ 250 e Maico 500, e alterna Cross con Regolarità, dove si scontra con i nomi di quell’epoca, nomi del calibro di Vertemati e Angiolini. Mentre mi racconta queste storie a un certo punto Bruno, serio come un carabiniere, mi cita un episodio del 1970 che lo vede protagonista con il Maico 500 in una gara internazionale: spicca il volo, sbaglia la velocità e atterra sul piano dopo un volo pazzesco, piegando manubrio, pedane e telaietto e riducendo il cerchio davanti a forma di palla da rugby. Al che mi dice: «E da lì sono come mi vedi ora, prima ero alto e biondo». Con questa ho capito che è uno che si prende in giro da solo, come tutti i motociclisti sani…

In quegli anni arriva l’ufficialità con Puch nella Regolarità e il grande incontro con l’uomo della svolta, Silvio Fatichi, ai tempi officina assistenza Puch e meccanico preparatore. Nel 1973 Birbes entra a far parte della squadra ufficiale Frigerio e diventa un pilota Puch a tutti gli effetti. Corre con la 180 cc, fatta su misura per la Sei Giorni di Camerino nelle Marche del 1974, e con la 250 Replica Everest a due carburatori, con la quale si gioca il podio della classifica di fine stagione all’italiano, combattendo con piloti come Testori, Taiocchi e Ferrari.

Nel 1975 prova a mettere la testa a posto e decide di aprire una concessionaria Puch e BMW; si avvale dell’importantissima figura di Fatichi, smette di correre ufficialmente ed inizia una florida carriera imprenditoriale. Uso il termine “prova” perché, agonistica- mente parlando, la testa a posto ha fatto finta di metterla, dedicandosi alle gare minori e mettendosi ad aprire la saracinesca la mattina. Ha sposato la figlia di Fatichi, gli ha regalato delle nipoti, ha venduto tante belle BMW boxer, mansuete e silenziose, e ha rigato diritto per qualche annetto. Il problema è che sotto la cenere c’era ancora il vulcano acceso: un bel giorno si è svegliato, ha guardato una BMW, si è rivolto a suo suocero, Fatichi, e gli ha detto: «Ne facciamo una e andiamo alla Dakar!».

Ecco, ora sono c… 1984, Rally dei Faraoni, Puch 500 4 tempi, 24°; l’anno dopo stesse posizioni, sempre saltando controlli timbro e prendendosi ore di penalità. Quindi si iscrive alla Grande Avventura: nel 1987 è deciso a prendere parte alla Dakar. Sull’onda dei successi di Gaston Rahier, della sua BMW ufficiale e del fatto di esserne concessionario, costruiscono, lui e Fatichi, un missile da deserto su base BMW boxer. Al Faraoni dell’86 vanno a testarla e tornano con un 6° assoluto, quindi via verso Dakar. Senza assistenza, esperienza e con tanta manetta, al terzo giorno senza chiudere occhio di notte cappotta e si rompe spalla, costole, ecc…

Arriva a fine tappa e nella sua testa, di avventuriero malato di moto, pensa di ripartire… Carlo Florenzano, allora
team manager Honda con Orioli e Terruzzi, lo prende e gli fa capire che la sua gara è finita, lo carica sull’aereo al suo posto e gli porta la moto no ad Agadez. Mentre mi racconta l’episodio, Bruno ha le lacrime agli occhi. Fatto sta che, ovviamente, si riorganizza e addirittura crea un Team, l’Assomoto, grazie all’aiuto determinante di Pollini e Girardi (suoi grandi amici, altri due malati di rally).

Così, dopo aver comprato un Unimog, pa tono per la Dakar 1988. In questa edizione c’è una tappa da 1.150 km… è un’edizione durissima, rompe il cambio nella seconda tappa e dopo essersi fatto trainare da Winkler fino al traguardo, racconta di essere rimasto senza benzina (anche perché altrimenti lo squalificano) e passa il traguardo accendendo la moto con l’aria tirata facendo finta che sia tutto a posto… In seguito rompe il telaio sotto il canotto di sterzo, ci finisce una tappa e poi lo salda; a Bamako cambia il motore che ormai va ad olio, ma alla fine arriva e anche in ottima posizione.

Al Rally dei Faraoni dell’88 va con un XR 600. Agguerritissimo e pronto a fare un buon risultato, pianta una mina di quelle di cui si ricorda solo che dopo essersi fermato a dare una pinza a De Petri… buio completo fino a quando Gualini gli dice di stare fermo che sta arrivando l’elicottero. Due giorni in coma al Cairo. Dal 1989 basta motociclette, ma solo da guidare. Arriva Beppe Cannella a correre e lui diventa team manager, anche perché è ancora imbustato. Dal ’90 diventano assistenza ufficiale Gilera per i privati iscritti alla Dakar e nel ’91 diventano addirittura Team Ufficiale Kawasaki con le KLE 500 bicilindriche.

Fatichi ormai è diventato un drago delle preparazioni dakariane, e dal 1985 al ’95 prepara qualcosa come 25 moto. È conosciuto come un uomo dal carattere duro e che sa bene come metterti in piedi una motocicletta da deserto, per cui in tanti si affidano al “nonno”. Durante questi anni fanno assistenza a vari piloti, tra cui Aldo Winkler, e vivono l’avventura delle Dakar vecchio stile, quelle africane, diventando a tutti gli effetti un team importante e riconosciuto come certezza dall’organico della Dakar (tra i tanti aneddoti che mi racconta Bruno rimango colpito da quella volta in cui all’arrivo di una tappa in Mauritania Orioli arriva col cambio finito, tappa Marathon senza assistenza; Birbes è lì, e con l’aiuto di alcuni amici smonta tutto in una notte, sistema il cambio e permette al campione di fare la tappa del giorno dopo, arrivare all’assistenza e infine vincere la sua terza Dakar).

Fino in mezzo ad un trasferimento, tampona di striscio un camion fermo a fari spenti; a 120 km/h lo vedono all’ultimo e lo colpiscono col fianco sinistro, si strappano tutte le ruote da quella parte e iniziano a carambolare. Per uscire buttano giù il vetro davanti a calci con il camion che fuma pronto a prendere fuoco. Per capirci meglio, Bruno ha intuito quella notte che i jolly erano finiti…
La sua BMW ora la tiene in casa al quarto piano, di fianco ai giocattoli dei nipotini, di fronte alla scrivania, vicino alle fotografie. Lui è un gentile sessantenne di buona educazione e rispettoso della casa e del suo ordine, mai più ti viene da pensare che sia quel diavolo da Dakar che si è sempre buttato dentro all’Avventura, quella maiuscola.

Fra le foto che trovo in casa di Bruno Birbes, una mi colpisce particolarmente, e così gli chiedo cosa stava facendo in quella foto. Immediatamente inizia a ridere e mi spiega che in un’edizione degli anni ’90 della Dakar durante una tappa Aldo Winkler arriva col forcellone spezzato. Birbes, che è la sua assistenza, sa di non avere il ricambio lì e il giorno dopo deve tassativamente far ripartire il suo pilota. Ora, vorrei citare la definizione di genio che viene data nel film Amici Miei: “il Genio è fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità di esecuzione!”. Quindi Birbes si guarda in giro col braccio del forcellone spezzato in mano. Lì a fianco c’è un chioschetto mauritano con i tavolini e le seggiole di ferro. Con fare furtivo acchiappa una seggiola, sega una gamba e la in la divisa in due dentro i canali interni del forcellone rotto; rivetta il tutto (ovviamente in maniera seria) e il giorno dopo Winkler è ripartito… e ha finito la gara. Ragazzi, vi giuro che mi sono brillati gli occhi!

Tratto da un articolo di Endurista Magazine, testo di Paolo Silvestri

Le francesi Barigo alla Dakar 1984

La Barigo è un progetto che prende il nome dal suo costruttore, il francese Patrick Barigault, ed è stata un po’ la sorpresa dell’edizione ’82, arrivando in terza posizione con Gregoire Verhaeghe, e nella versione che si presenta alla Parigi Dakar del 1984 appare ulteriormente migliorata grazie al fondamentale contributo della sponsorizzazione della Pacific de Ricard.

Il motore è il Rotax ’83 di 560 centimetri cubici che equipaggiava anche le KTM, con una potenza di 48 cavalli a 7500 giri alimentato da un carburatore Bing con diametro da 40 mm. Il motore, molto potente, ha dimostrato una certa tendenza a scaldare, per cui si è preferito adottare un radiatore supplementare posto sul frontale della moto. L’accensione è elettronica, ma è presente anche un grosso alternatore da 180 watt per produrre l’energia necessaria all’illuminazione. 

La forcella è anche in questo caso una Marzocchi da 42 mm con una corsa di 300 mm. La sospensione posteriore non è più con monoammortizza-Aore come nella versione primitiva, ma è data da una coppia di ammortizzatori Ohlins. In questo modo si è creato più spazio per il serbatoio e il filtro dell’aria. La capienza del serbatoio, costruito in kevlar, per avere un elemento resistente agli urti e contemporaneamente molto leggero, è di 38 litri. Sempre ai fini della massima leggerezza, il costruttore ha realizzato il telaio utilizzando acciaio 25 Cd 45, molto leggero ma ugualmente resistente.

I freni sono un disco anteriore Brembo da 230 mm e un tamburo posteriore da 160 mm, i pneumatici sono i Michelin Desert 3.00×21 l’anteriore, 5.00×17 il posteriore.

Le due Barigo GRS 560 di VERHAEGHE e GORONESKOUL non arriveranno al traguardo.