Cagiva Elefant Marathon Dakar 1994

Gli appassionati più facoltosi, festeggiarono la nascita del regolamento Marathon per la Parigi-Dakar 1994, che vincolava all’uso di mezzi con derivazione diretta dai mezzi di serie (scelta che uccise i costosissimi prototipi ufficiali).
Cagiva allestì quindi la 944 Marathon, che costituì la base per la moto portata in gara dal team CH Racing di Roberto Azzalin e che vinse poi per la Casa varesina la seconda Dakar con Edi Orioli.

La Marathon riguadagnò diversi particolari di pregio della precedente 900 IE ma andò anche oltre: a parte appunto il ritorno dell’accoppiata Marzocchi Magnum – Ohlins, su questa versione speciale si adottò un cerchio anteriore da 21”, più adatto all’impiego in fuoristrada (misure complete 90x90x21″ e 140x90x18″) ma soprattutto l’inedito (nella produzione di serie) propulsore da 944 cc alimentato da raffinatissimi carburatori a valvola piatta Keihin FCR capace di erogare 75 cavalli e 7,2kgm.

Yamaha YZE OW08 850 Dakar 1993

Nel 1993 si correva la 15a edizione della Parigi-Dakar, competizione durissima attraverso il deserto africano, con partenza da Parigi e con arrivo nella capitale del Senegal. Edizione strana con solo 46 moto che si presentarono alla partenza e fra tutte si è distingueva la Yamaha YZE OWD8 di Sephane Peterhansel, vincitore delle due precedenti edizioni.

Un pezzo davvero unico, ancor più che raro questa Yamaha che è stato in vendita sul sito www.classic-motorbikes.com.
La moto in vendita era l’ufficialissima versione da 850 cc, nata sulla base della 750 stradale ma completamente rivoluzionata da Yamaha Motor France in collaborazione con il reparto corse giapponese. Il motore era un bicilindrico parallelo, come tradizione vuole, e il frontale con il serbatoio maggiorato  il caratteristico cupolino con lente faro ovale, la rendono senza dubbio una delle più belle dakariane degli anni ’90.

Questa moto è appartenuta alla collezione di Yamaha Motor France per 20 anni e non è stata minimamente toccata dopo aver tagliato il traguardo di Dakar ’93. In sostanza, si trattava di una moto conservata e ben lavata.
I graffi, la verniciatura scrostata il alcuni punti, il cupolino e il codino rotti, il carter rovinato dalle protezioni dello stivale, sono tutte “ferite di battaglia” che raccontano la storia.

DKV 750 Dakar 1985

Finanziamento tedesco, progetto francese e motore giapponese, questo il connubio che permette di vedere nascere nel 1985 il progetto DKV.
I soldi li per la realizzazione della moto, provenivano dallo sponsor, la Deutsche Kranvenversicherung AG che allora era la più grande assicurazione sanitaria d’Europa. L’idea venne a Richard Montel, capo della Normoto di Juvignac Hérault e metteva la centro del progetto il 4 cilindri in linea della Kawasaki GPZ 750 ZX.

Il progetto era innovativo per quei tempi, e che in qualche modo lanciò la moda delle pluricilindriche in gara nel deserto, tanto in voga negli anni a seguire.

Il motore venne modificato profondamente. Prima cosa fu necessario abbassare il rapporto di compressione e depotenziarlo fino a raggiungere dei regimi di coppia più consoni ad una corsa nel deserto. La cura permise comunque di raggiungere la ragguardevole potenza di circa 80 cavalli. Un altro “piccolo bricolage” venne effettuato per alleggerire il peso: il motorino di avviamento venne smantellato, con conseguente alleggerimento dell’impianto elettrico. Venne montato il kit starter della Kawasaki Z 650. Un filtro aria Sachs fatto in casa e preso “in prestito” da una Volkswagen Golf, un bello scarico quattro in uno e voilà, il gioco è fatto!

L’anima della ciclistica venne mantenuta sempre la Kawasaki ZX, la doppia culla venne segata al fine di aggiungere una culla rimovibile, per agevolare la manutenzione, sostenendo la sella e serbatoio aggiuntivo. Per “dissetare” il 4 cilindri viene realizzato un serbatoio principale in lamiera di 2 mm della capienza di 45 litri e sotto la sella trova spazio un altro serbatoio da 15 lt.

La forcella, una Kayaba di provenienza crossisitica, trapiantata da una Yamaha YZ 490, con adattati gli attacchi per le pinze dei due freni a disco Brembo da 220 mm di diametro. Il progetto, sicuramente serio e ben realizzato viene evidenziato dalla realizzazione di parti in alluminio anodizzato oro, come la piastra di supporto delle pinze freno anteriori e posteriori e dei triangoli delle forcelle. Anche il forcellone oscillante era di derivazione di ZX e montava, al posto del sistema Unitrak, due classici ed affidabili White Power con serbatoio separato. I mozzi delle ruote erano del Z 650.

Il punto di forza della DKV sembrava essere la buona potenza a tutti i regimi, la solidità di un motore affidabile, e i piloti come Yvan GORONESKOUL, Philippe VASSARD e André BOUDOU, di sicuro talento ed esperienza .
La velocità di punta stimata in 200 kmh su strada e 180 su sabbia e con un peso a secco di 170 kg non eleggevano sicuramente la DKW la moto più maneggevole alla Dakar…

N.d.r. purtroppo questo interessante progetto “europeo” non ebbe molta fortuna, in quanto tutti i 3 piloti si ritirarono.

Honda XL 500 R Dakar 1982

In Honda erano decisamente stanchi! La Dakar stava sempre più diventando un evento mediatico planetario, e la casa dell’ala a distanza di 3 anni non aveva ancora vinto!! Due volte la Yamaha e una volta la BMW si erano aggiudicati la competizione offroad del momento. Per tentare la scalata alla vetta della classifica, questa volta si decisero a fare  le cose per bene. Per l’edizione del 1982, infatti la moto uscì preparata direttamente dal reparto R&D Honda. I prototipi che verranno marchiati XL solo per motivi di marketing (la base è a tutti gli effetti una XR) erano già pronti a settembre e i test proseguirono incessanti, 6000 km percorsi in fuoristrada permisero di mettere a punto un mezzo affidabile e maneggevole, pronto per scatenare i 4 piloti ingaggiati (Neveu, Rigoni, Vassard e Drobecq) sulle dune africane.

Il motore era il classico monocilindrico di derivazione XR portato a 550 cm3 che sviluppava circa 45 CV, con alcuni accorgimenti per migliorare l’affidabilità, come il radiatore dell’olio posizionato sotto al fanale anteriore e protetto da un’apposita griglia. Il cambio manteneva la rapportata a 4 marce con frizione rinforzata per resistere ai maltrattamenti.

Le sovrastrutture vennero modificate totalmente, il serbatoio manteneva le colorazioni classiche di casa Honda, ma passava da 32lt a 42lt di capienza, questo richiedeva lo spostamento verso il retrotreno della sella, che venne ridotta nelle dimensioni e aumentata nell’imbottitura. Dettaglio che farà sorridere se letto di questi tempi, ma assolutamente non secondario, era la piastra saldata sotto la base del cavalletto per aumentare la superficie d’appoggio e evitare lo sprofondamento nella sabbia…questa volta nulla doveva essere lasciato al caso!

I freni, entrambi a tamburo, erano realizzati in magnesio, quello anteriore in particolare monta una doppia camma per azionare le due ganasce e migliorare il potere frenante. Il comparto sospensioni vedeva montare al posteriore per la prima volta un mono Showa con sistema ProLink e un paio di forcelle tradizionali anteriori a perno avanzato.

L’insieme di tutti questi fattori uniti all’abilità dei piloti, permisero un risultato fantastico per la casa si Tokio, Cyril Neveu si aggiudicò la Dakar, Philippe Vassard si piazzò al secondo posto, Bernard Rigoni al settimo, mentre Drobecq si ritirerà.

 

Yamaha XTZ 660 Wild Team 1991

Il sogno era correre una Dakar in sella ad una moto fatta su misura: Massimo Montebelli e Fabio Marcaccini pensarono per la prima volta alla realizzazione di una moto destinata a correre nei rally africani nel corso di una notte buianel gennaio 1988 quando, in compagnia di parecchi altri piloti privati dovettero ritirarsi dalla gara decorso della lunghissima tappa (oltre 800 chilometri) che portava i piloti della Parigi Dakar da Bordj Omar Driss a Tamanrasset. Al ritorno in patria i due iniziarono la realizzazione di sempre più rinomate special destinate a correre nelle classiche africane.

La Wild Bike preparata per la stagione 1991-92 aveva già conquistato con Marcaccini il 13° posto alla decima edizione del Rally dei Faraoni ed è pronta per la prima partecipazione della Dakar.

Questo special si sviluppa attorno al monocilindrico Yamaha che equipaggia la XTZ 660 Ténéré. Il propulsore è la parte sottoposta alle minori modifiche. Solo il profilo delle camme, che comandano le 5 valvole della distribuzione è stato incattivito per accrescere la potenza. Su nessun’altra componente si è voluto intervenire, preservando così le doti di robustezza e affidabilità del monocilindrico Yamaha. Persino l’avviamento elettrico è stato mantenuto, che se da una parte penalizza di qualche chilo la moto, dall’altra si rivela utilissimo nell’accensione dopo le inevitabili cadute e relativi ingolfamenti. Il raffreddamento ad acqua si avvale di un ampio radiatore frontale presa da una Cagiva Mito su cui è stata montata una elettroventola, comandata sia da un termostato che manualmente dal pilota attraverso un pulsante posto sul manubrio.

Strettamente di serie è pure il carburatore a doppio corpo YDIS, a cui è stata modificata solo la regolazione, arricchendo un poco la carburazione. Il motore è però solo una felice eccezione. Dell’originale Yamaha 660 Ténéré, da cui la Wild Bike deriva, rimangono solo i numeri di immatricolazione sul cannotto del telaio. Tutto il resto è stato ricostruito con materiali e geometrie diverse, a cominciare dall’inclinazione del cannotto dello sterzo che è ora di 28°. Davvero notevole per una moto che, sia pur speciale, rimane una moto da fuoristrada. Ma nel deserto, tra la sabbia, più che agilità occorre una grande stabilità nei tratti misti-veloce caratteristiche delle piste africane.

La moto a secco, esclusi i 55 litri di benzina contenuti nei serbatoi, pesa solo 165 kg. Un risultato davvero buono se pensiamo che non ci troviamo di fronte ad un mastro di qualche team ufficiale, con tante risorse e tecnologie ma davanti al frutto del lavoro e della passione di un gruppo di amanti della moto, che divide sede e officina con un laboratorio di falegnameria in una vecchia casa colonica. Naturalmente, massiccio è stato l’impiego di materiali speciali e il risultato finale non è certo stato ottenuto a scapito dell’affidabilità generale: delle tre moto presentate dal Wild Team al via parigino della Parigi-Dakar dello 1991, non una ha presentato nel corso della gara problemi e cedimenti.

Tutte e tre hanno potuto togliersi la soddisfazione di appoggiare le ruote sulla spiaggia di Dakar con ottimi piazzamenti. Il telaio è stato sottoposto a cura radicali e rifatto praticamente ex-novo. Il risultato finale è il frutto dell’esperienza in prima linea di piloti che non salgono solo sulla moto e aprono il gas, ma che passano la notte tra una tappa e l’altra lavorando sul loro mezzo. Il progetto ha privilegiato la ricerca di una maggiore resistenza nelle zone più sollecitate (come gli attacchi del cannotto di sterzo e del monoammortizzatore), e la definizione di una diversa distribuzione dei pesi (con un netto sbilanciamento verso il retrotreno, che aiuta la ruota anteriore a galleggiare sulla sabbia migliorando così la guidabili della moto).

Per la costruzione della culla, che adotta la classica soluzione a motonave sdoppiato, sono stati utilizzati i noti tubi Columbus al cromo-molibdeno saldato con il procedimento a TIG (Tungsten Inert Gas). Telaio e forcellone sono stato sottoposti a trattamento di rinvenimento, per equilibrare la diversa rigidità tra tubi e saldatura per evitare così rotture per i diversi carichi tensioni.
Orgoglioso del proprio lavoro, i ragazzi del Wild Team non nascondono l’aiuto e i consigli ricevuti dalla BYRD anche se accettati ed elaborati in piena autonomia, a cominciare dal progetto del porcellone posteriore e i relativi cinematismi punto cruciale della moto e della sua guida. Il forcellone, in Anticorodal, risulta ora ben 32 mm più lungo di quello montato sulla Yamaha 600 TT e con una straordinaria rigidità.

Naturalmente completamente rivisto è stato il gruppo sospensioni-monoammortizzatore, che ora utilizza componenti della White Power, che, oltre ai materiali, ha fornito al team la propria consulenza. Anteriormente è montata una forcella di 40 mm upside-down. Una soluzione non comune tra le moto dakariane, ma che, a detta dei piloti, ha portato ad un notevole incremento della rigidità torsionale della forcella, assorbendo magnificamente le svergolature che sono impresse all’avantreno quando si affrontano a velocità sostenute buche e oued, o in fase di frenata.

Le piastre, in avional, sono ricavate dal pieno con una lavorazione completamente manuale dalla ditta Martini di Gambettola (FC). Il serbatoio è realizzato in alluminio e diviso in due semi gusci autonomi ancorati al trave centrale del telaio su silent block. Quello posteriore, in kevlar, funge anche da culla, sostenendo sella e pilota. Il travaso della benzina tra i due serbatoi avviene mediante una pompa a depressione, fatta funzionare dal gioco dei flussi d’aria del carburatore al quale è collegata con un tubo di raccordo. La fiancata laterale sinistra del serbatoio centrale presenta un grosso foro per lo spurgo dei flussi d’aria calda del motore ed è provvista di un apposito attacco per la radio balise.

Tra i due semigusci, sopra il trave superiore che funziona anche da serbatoio dell’olio motore, trova posto la batteria, da cui dipende il funzionamento di tutto l’impianto elettrico. Accanto alla batteria è posto l’elemento filtrante dell’aria. Di tipo cartaceo, è proveniente niente meno che dalla Fiat Uno diesel, ed è protetto da una scatola in alluminio forata posteriormente per l’ingresso dell’aria. Sotto la culla anteriore del telaio è posto un piccolo serbatoio contentnente 5 litri d’acqua obbligatori per regolamento.

Le ruote montano mozzi in magnesio e cerchi in alluminio dai canali nelle classiche misure di 2,50×18” e 1,85×21”, su cui sono montate coperture Michelin con mousse sia anteriore che posteriore. I freni sono di provenienza BYRD, con anteriormente un disco di 300 mm e pinza YZ (montata sui modelli cross della Yamaha) a doppio pistoncino e posteriormente un disco di 230 mm con pinza Brembo a doppio pistoncino contrapposto. Sia dischi che pompe sono di tipo flottante. Pignone e corona sono realizzati in lega speciale dalla ditta Chiaravalli, che fornisce al team anche la catena mod. GY520X0, dall’eccezionale robustezza nel corso dell’ultima Paris Dakar non è dovuto procedere alla sua sostituzione!

Il ponte di comando è imponente come quello di un piroscafo. davanti al manubrio in Ergal, che monta comandi e leve originali Yamaha, troneggia il road book MD comandato elettricamente. Sopra e sotto i tue trip master: quello principale della ICO e quello secondario, per i totali chilometrici, di provenienza Honda. Lateralmente è posta una bussola giroscopica di derivazione aeronautica montata su tamponi antivibranti.

Testi e foto Fabio Marcaccini

Team Stalaven Dakar 1990

Nel 1990 il Team Jean Stalaven decise di scegliere una strada alternativa per quel che riguarda la moto da presentarsi alla Dakar: si  puntò tutto sulla leggerezza piuttosto che sulla potenza.
La scelta cascò sul propulsore monocilindrico Husqvarna 510, portato a 570 cm3 ed addolcito nella curva di erogazione, mentre per quel che riguarda la ciclistica venne mantenuta quella di serie.

La scocca, disegnata da Michel Assis, era però rivoluzionaria per una moto «africana». Era infatti costituita da due parti saldate tra di loro in modo da irrigidire tutta la struttura mantenendola estremamente snella e filante, un’estetica insolita confrontandola con i mastodonti di quell’epoca. Risultato di tutta l’operazione, un motore con una sessantina di cavalli per 130 kg di peso a secco, e 185 kg a pieno carico: contro i 250 kg delle bicilindriche. Un rapporto peso/potenza decisamente interessante sulla carta. Purtroppo nessuno dei tre i piloti scelti per portarla in gara, Michel Merel, Laurent Charbonnel e l’assistenza veloce Luc Pagnon videro la fine della competizione.

Villa: una bolognese con obiettivo Dakar

Alcuni amici del sito ci hanno chiesto di trovare informazioni sulla possibile partecipazione di un Team che partecipò alla Dakar 1984 con due moto Villa 2T. Reperire informazioni a distanza di oltre 30 anni non è mai facile, ma la magia della rete e la passione di molti di voi, hanno fatto il miracolo. Dalle informazioni in nostro possesso, il team effettivamente è esistito ma non vi sono tracce della partecipazione alla Dakar. Qui di seguito il testo dell’articolo trovato su un Motocross dell’epoca. Chiunque sia in possesso di ulteriori informazioni e le voglia condividere con noi è il bene accetto. 

Passione sfegatato per la moto, voglia di avventura e di provare emozioni diverse, un pizzico di fascino per il rischio. Questi i principali motivi che hanno spinto Riccardo Taroni e Stefano Bucci ad estiverai e partecipare al prossimo Rally dei Faraoni che prenderà il via in ottobre. Una decisione che per la verità non ci stupisce molto conoscendo l’amore per il fuoristrada e l’affiatamento che accomuna i due, uno di Forlì e l’altro di Faenza, che nell’inverno appena concluso hanno studiato un programma a lunga scadenza con l’obiettivo finale di disputare almeno una prova della massacrante Parigi-Dakar.

Saggiamente prima di addentrarsi in una avventura che potrebbe risultare al di là delle loro attuali esperienze, hanno deciso di avvicinarsi a queste particolari gare di enduro attraverso un programma per gradi che li vedrà, tanto per cominciare, cimentarsi nel Rally della Sardegna in giugno, per proseguire poi con quello dei Faraoni in ottobre e arrivare cosi al prossimo anno con un solido bagaglio di esperienze sulle spalle.

Naturalmente un simile calendario ha comportato notevoli problemi di ordine tecnico ad iniziare dalla scelta della moto e degli sponsor, indispensabili per un progetto così ampio; dopo una serie di trattative, la scelta del mezzo si è indirizzata sulla Villa.

La Casa motociclistica studierà e curerà espressamente per i due piloti e per questo tipo di competizioni, una moto da enduro in vista anche di una probabile produzione.

Durante l’inverno sono cosi iniziati i collaudi della Rommel, una due tempi di 410 cc. con la quale Bucci e Taroni parteciperanno in veste di piloti ufficiali della marca bolognese alle gare in programma. Numerosi sponsor hanno aderito con merito al team che ha come direttore sportivo Tiziano Pantoli: quelli tecnici sono la Giemme tute. la M. Robert che ha fornito gli stivali e gli accessori, la Nava, la Wiseco Italia, mentre un appoggio consistente e venuto anche dal Club del Motore, dall’oreficeria Tramonti, dalla Baby garden ma soprattutto da “Le Magiche Stagioni” ditta di abbigliamento giovanile diretta da Eris Bravi che ha visto nel fuoristrada un veicolo pubblicitario adatto a lanciare il proprio marchio.

Massimo Zanzani

Yamaha FZT 900 Dakar 1987

Tre vittorie consecutive della BMW convinsero nel 1986 la Honda, che per tornare al successo alla Parigi-Dakar era necessario giocare la carta del motore bicilindrico. Una scelta obbligata per tenere il passo nei lunghi tratti desertici dove la maggior velocità di punta consente alle due cilindri di acquistare un margine di vantaggio tale da mettersi al riparo da ogni recupero delle pur agili «mono». La Yamaha decise, invece, di confermare fiducia al monocilindrico dopo che si era ventilata la realizzazione di una bicilindrica da affidare alla squadra francese.
La risposta di Jean Claude Olivier, team manager della Sonauto, fu la realizzazione in proprio di un prototipo spinto dal motore della FZ 750 a venti valvole. Un progetto avventuroso, che ha fatto storcere il naso ai dirigenti della Casa di Iwata, ma non poi fino al punto da bocciare l’idea del pilota che nel 1985 era arrivato per secondo a Dakar.
Alla quattro cilindri per il deserto si è cominciato a lavorare in ritardo ed il banco prova della gigantesca enduro franco-giapponese furono proprio le piste della Parigi-Dakar. Ne esisteva un unico esemplare, ed a portarlo in gara fu proprio Jean Claude Olivier.
Così facendo rinunciò in partenza ad ogni chance di vittoria trovandosi a guidare una moto che erogava sì una potenza di 90 Cv ma il cui peso era sui 270 chili in ordine di marcia.

Nel 1986, JCO finì la gara dodicesimo, staccato di oltre 10 ore dal vincitore, ma portò la moto fino a Dakar.

Un traguardo importante che ha convinto Olivier ad insistere sulla strada intrapresa. E così in questi giorni è stata ultimata la Yamaha FZ 900 T Evoluzione 1, la moto che Olivier e Serge Bacou guideranno verso Dakar con propositi ben più bellicosi di quelli che hanno animato la spedizione ’86. Alla prima occhiata si capisce che si tratta di una moto completamente nuova senza alcun pezzo in comune con la versione sperimentale dello scorso anno.
Si è fatto un grande lavoro di alleggerimento ed alla fine l’impegno è stato premiato dal raggiungimento di un peso a secco leggermente inferiore ai 200 kg (20 chili in meno dello scorso anno) e soprattutto una suddivisione della masse che è quasi ottimale con il 45% all’avantreno ed il 55% al retro-treno.
Il telaio ha ora una culla inferiore in alluminio (smontabile) e per eliminare i problemi di pattinamento è stata diminuita la potenza massima a vantaggio di una migliore erogazione. Inoltre, sempre su indicazione di Olivier, è stata aumentata la cilindrata.
Il risultato è una cilindrata totale di 911 cc ed una potenza massima di 85 Cv, 53 dei quali già disponibili a 4.000 giri.
Nelle prove effettuate nel mese d’agosto nel deserto del Ténéré la FZ 900 T ha dimostrato di poter viaggiare in rettilineo ad una velocità di oltre 160 km/h (a titolo indicativo la «mono» ’87 nelle mani di Picco non è andata oltre i 135 km/h) e su un percorso tecnico nei dintorni di Agades il ritardo nei confronti del mono non andava oltre il secondo e mezzo al chilometro.
Anche i pneumatici hanno fatto enormi progressi sia in grip che in accelerazione, stabilità laterale ed ancora in durata. Cosciente dei progressi del quattro cilindri, che potrà essere la sorpresa della Parigi-Dakar ’87, ma anche dei suoi handicap (peso, ingombro, complessità meccanica) Olivier ha preferito seguire come lo scorso anno due strade parallele. Lui e Serge Bacou guideranno la FZ 900 T mentre Thierry Charbonnier e (con ogni probabilità) l’americano Danny La Porte saranno in gara con la monocilindrica vincitrice del Rally dei Faraoni con Franco Picco. Non si sa mai…

Fonte motosprint

Honda NXR 750 Dakar 1988

Gli ottimi risultati conseguiti dai piloti italiani nelle maratone africane e in particolare nella Parigi-Dakar, cominciano ad avere il giusto riconoscimento da parte delle Case giapponesi. Per la prima volta quest’anno la Honda Italia potrà scendere in campo con le stesse moto affidate dalla Casa madre alla consorella francese.

Uno dei piloti di punta del team italiano, posto sotto la guida tecnica di Massimo Ormeni, sarà Andrea Balestrieri che sulla pista per Dakar condurrà la versione ’88 della NXR 750, vincitrice nel 1987 con Cyril Neveu della maratona africana. Lo stesso “Balestra” ci ha illustrato al Motor Show di Bologna l’arma con la quale tenterà di diventare il primo italiano vincitore della Parigi-Dakar. Balestrieri ha già provato la NXR 750 in Tunisia e ne è entusiasta.

«Rispetto alla monocilindrica che guidavo l’anno scorso, la NXR 750 è tutta un’altra cosa. E una moto particolarmente equilibrata, sfruttabilissima già ai bassi regimi di giri. Si può riprendere in quinta da 2000 giri senza che il motore denunci il minimo problema. La velocità di punta sui rettilinei sterrati è fantastica, oltre 190 km/ora, contro i 160 scarsi della monocilindrica. Nonostante sia più pesante e voluminosa, si manovra altrettanto bene e la posizione in sella è senz’altro più comoda e meno affaticante. Inoltre, rispetto alla monocilindrica il motore è meno “tirato”, a tutto vantaggio dell’affidabilità, elemento determinante nel-e maratone come la Parigi-Dakar. Gli unici problemi di tenuta possono sorgere nel misto stretto e sulle pietraie, dove peso e ingombri si fanno sentire, ma sulle immense distese di sabbia la superiorità delle bicilindriche non si può mettere in discussione.

Si tratterà piuttosto di riuscire a mantenere per oltre venti giorni il forsennato ritmo che moto come la NXR sono in grado di consentire».

«Sotto il profilo tecnico», prosegue Balestrieri «la versione ’88 della NXR 750 non ha subito sostanziali modifiche rispetto alla moto che ha vinto la Dakar lo scorso anno. Alla HRC (il reparto corse Honda) hanno lavorato soprattutto sui diagrammi della distribuzione per rendere l’erogazione della potenza fluida e costante a ogni regime. Sono state poi adottate numerose soluzioni in grado di semplificare il lavoro dei meccanici nelle operazioni di manutenzione.
Per esempio è stata ricavata sul cilindro un’ampia finestrella per il controllo della fase e la registrazione delle punterie.
In una gara come la Dakar è importante valutare ogni minimo particolare, a questo proposito un elemento che può apparire di scarsa importanza come la stampella laterale è stata invece frutto di un attento studio, non solo per quanto riguarda la ovvia robustezza del materiale, ma anche la forma e l’inclinazione necessarie per offrire il migliore ancoraggio sulla sabbia.

«Lo staff di Ormeni», spiega Balestrieri «ha ulteriormente migliorato quanto fatto in Giappone e si è preoccupato di fornire la motocicletta di tutti gli accessori necessari per affrontare una dura e imprevedibile maratona quale è la Parigi-Dakar.

Come si sa, uno dei problemi più difficili da risolvere è rappresentato dall’orientamento.
Ad aiutarmi quest’anno ho addirittura una bussola da elicottero e due sofisticati tripmaster elettronici. Le tappe della Dakar prevedono anche trasferimenti notturni e in condizioni di scarsa visibilità, indispensabile quindi un più che efficiente impianto di illuminazione. Il doppio gruppo ottico anteriore ha la potenza di un faro alogeno da vettura da gran turismo tanto che abbiamo avuto problemi per trovare una griglia di protezione in grado di sopportare il notevolissimo calore sviluppato.
Potente anche il fanale posteriore che per ragioni di sicurezza è doppio La capienza del serbatoio è rimasta di 55 litri (di cui 20 in un secondo serbatoio ricavato nel retrotreno e 17,5 ripartiti nei due alloggi laterali). La moto pesa a vuoto 180 chili, ma a pieno carico supera i 230, meglio non pensare cosa può succedere se cade per terra!»

Fonte Tuttomoto

Special tks Enrico Bondi

Suzuki DRZ 750 SR43 Dakar 1991

Per Franco Picco avrebbe dovuto essere la Dakar della rivincita dopo i problemi della scorsa edizione, invece non è nemmeno iniziata: il 23 dicembre Franco Picco è caduto mentre stava allenandosi sul campo cross di Arzignano in sella ad una Suzuki 250, per il bloccaggio della ruota anteriore. Sbalzato avanti e dopo aver effettuato una capriola in aria è ricaduto battendo violentemente il bacino.
Ricoverato presso l’ospedale di Valdagno (Vi) gli sono stati riscontrati una frattura alla sinfisi pubica ed un’incrinatura all’osso sacro, danni non gravissimi ma che comunque lo costringono ad almeno due mesi di immobilità, il Team di Gaston Rahier ha dovuto così rinunciare al suo pilota di punta per l’appuntamento più importante della stagione. Franco Picco, considerando che il suo contratto con la Suzuki scade a luglio, è comunque intenzionato a tornare in sella per poter partecipare al Rally di Tunisia.

SUZUKI DRZ 750 – Di base è rimasta la stessa moto dell’anno scorso, attualmente l’unica monocilindrica competitiva a livello di classifica assoluta anche se in passato non troppo forte in termini di affidabilità. Proprio per questo si è lavorato parecchio sul motore, un quattro tempi con raffredda-mento misto aria-olio a quattro valvole, doppia accensione elettronica ed alimentazione tramite due carburatori Mikuni shot. Nonostante la denominazione DRZ 750 la cilindrata effettiva è di 830 cm. una soluzione alla quale si è arrivati dopo numerose prove. Il cambio resta a cinque rapporti e la frizione è in bagno d’olio.
La Suzuki, che per i rally si è affidata totalmente alla squadra gestita da Rahier, ha rinnovato anche il telaio: un monoculla sdoppiata con sospensione posteriore Full Floater modificata nel sistema dei leveraggi, forcella Kayaba e freni a disco davanti e dietro; non si è comunque trascurato il discorso dell’aerodinamica e del comfort, che ha portato a ridisegnare il gruppo serbatoi, due anteriori ed uno posteriore per un totale di 62 litri, ed il cupolino. Numerosi gli alleggerimenti che hanno portato ad un peso a secco di 154 kg, spinti da un motore che eroga una potenza massima dichiarata di 71 CV a 7.000 giri.

62 – GASTON RAHIER Il suo caratteraccio è allo stesso tempo il suo miglior pregio ed il suo peggior difetto. Gli ha causato problemi di convivenza con alcuni piloti della sua squadra ma allo stesso tempo gli ha consentito di raccogliere risultati eccezionali. Tre mondiali cross 125, due Parigi-Dakar e tre Rally dei Faraoni non sono che una piccola parte di un curriculum sportivo che ha pochi eguali.
Titolare del team che porta il suo nome e che fa correre le Suzuki ufficiali, a 43 anni suonati Rahier è tuttora un uomo da tenere d’occhio, in grado di aggiudicarsi un paio di tappe anche nella precedente edizione della Dakar e di ottenere buoni piazzamenti.

64 – JEAN-CHRISTOPHE WAGNER Eterna assistenza veloce della squadra, ha sempre svolto diligentemente il suo compito e questo talvolta ha penalizzato le sue prestazioni. Però ha ottenuto buoni piazzamenti di quando in quando, dimostrando che Rahier ha avuto buon fiuto nell’assicurarsi la presenza in squadra del ventiduenne francese quando ancora non aveva disputato altro che corse nazionali.

65 – AKIRA WATANARE Non è un nome nuovo per gli appassionati di cross, che lo ricordano campione del mondo cross ’78 e protagonista anche nelle stagioni successive. Tornato in Giappone nell’84, non ha mai smesso di correre in fuoristrada passando pero all’enduro dove ha vinto più volte il titolo nazionale. Pilota benvoluto dalla Suzuki, a 36 anni tenta la carta dei rally è però praticamente al debutto, avendo partecipato solo all’ultima edizione del Faraoni.

Della squadra fanno parte altri quattro uomini: lo svizzero Andy Brunner l’esperto francese Raymond Loizeaux e due italiani che anche lo scorso armo raggiunsero in buona posizone la spiaggia di Dakar, Franco Zotti e Giampaolo Aluigi. Pur correndo col Team Rahier ed in sella a delle Suzuki non sono ufficiali: le loro moto sono derivate dalla serie, ma ricevono comunque una certa assistenza dalla formazione francese, compatibilmente con le esigenze dei quattro piloti di punta.

Ndr: non fu una Dakar particolarmente gloriosa per il Team Suzuki, Rahier si classificò solo al 13° posto, Brunner 17°, Watanabe 23°, Loizeaux 29°.

Fonte Motosprint
Si ringrazia per le foto Stefan Heßler